Categorie: Film e Libri NBA

“Il basket eravamo noi”, Magic e Bird raccontano tutti i retroscena delle loro meravigliose carriere!

Da questa settimana apriamo una nuova rubrica, chiamata “Film e Libri NBA”, all’interno della quale ogni giovedì (sperando di mantener fede agli impegni presi) ci assumiamo la “responsabilità” di suggerire letture e film riguardanti il mondo Nba e non solo.

Come primo appuntamento oggi raccontiamo qualcosa del libro “Larry Bird, Earvin Magic Johnson: Il basket eravamo noi”, scritto dalla giornalista americana Jackie MacMullan, una sorta di biografia che racconta gli eventi più importanti della carriera dei due simboli del basket anni 80, facendoci vivere quegli episodi dal loro punto di vista. Chi non ha mai sognato di sapere cosa passava per la testa a quei due giovani promettenti il 26 Marzo del 1979, finale NCAA tra Michigan State e Indiana State, ma soprattutto il primo palcoscenico sul quale si sono confrontati i due? Oppure al termine delle finali Nba degli anni Ottanta che li hanno visti più volte come protagonisti assoluti? Inoltre il racconto ci da quella dimensione personale degli eventi, quell’aggiungere al fatto cestistico anche la propria storia personale. Non so voi, ma io amo l’Nba anche per questo. Perché oltre a parlare di sport, di talento, di prestazione fisica, è in grado anche di narrarti la storia del ragazzo povero del playground che ce l’ha fatta, del teppista che grazie al basket ha evitato la galera, e le storie di Magic e Bird non fanno eccezione in quanto a particolarità ed interesse.

Ma il libro ci racconta anche altro della loro vita, ci parla del loro rapporto, di come inevitabilmente fosse nata tra loro una simbiosi che andava al di là del gioco e al di là di ogni rivalità, un’amicizia vera, sincera, che non arretra di fronte ai momenti di difficoltà che entrambi hanno vissuto nell’arco delle loro gloriose carriere.

Un libro completo in cui sia Magic sia Bird danno tanto ai loro fan (la dedica del libro è infatti “Ai nostri tifosi”) e ci permettono di entrare all’interno delle loro vite, di scoprire retroscena e aneddoti che difficilmente avremmo potuto immaginare. Riporto di seguito uno dei tanti episodi raccontati nel libro, un spezzone preso da uno degli ultimi capitoli.

Barcellona, agosto ’92, il Dream Team sbarca nella città spagnola per le Olimpiadi, folle adoranti inseguono dappertutto le star Nba e loro, nei sedici giorni di permanenza in terra catalana, passano le serata nella sala da biliardo dell’hotel, a giocare e a discutere (è un po’ lunghetto, ma ne vale la pena):

La notte del 7 agosto, i due bambini dormivano (i figli di Magic e Bird). I loro padri, invece, erano ben svegli, infervorati in una discussione che era partita da una semplice domanda posta da Bird: qual era stata la più grande squadra Nba di tutti i tempi?

“Ovviamente i Lakers degli anni Ottanta” disse Magic appoggiandosi alla stecca da biliardo. “Abbiamo vinto 5 titoli, più di tutti voi”.

“No, sono stati i Celtics di Bill Russell” disse Patrick Ewing, che giocava per i New York Knicks ma era cresciuto a Cambridge, nel Massachussets. “Hanno vinto undici anelli”.

“Vi state dimenticando i Celtics del ’86, con il miglior reparto lunghi della storia del basket, incluso il ragazzo seduto qui” disse Ahmad Rashad, il commentatore della CBS, indicando Bird.

“Quella front line dei Celtics era incredibile” aggiunse Charles Barkley.

Jordan, evitando di farsi distrarre da tutte quelle chiacchiere, piazzò la palla nella buca d’angolo e tirò una lunga boccata del suo sigaro. Avevo 29 anni, aveva appena vinto il suo secondo anello e la sua sesta corona di miglior marcatore del campionato. Alcuni dei suoi compagni, in quella stanza, erano pluridecorati veterani dell’Nba, ma erano ormai a fine carriera. La stella dei Bulls era invece soltanto all’inizio.

“La miglior squadra di tutti i tempi non l’avete ancora vista”, disse Jordan. “Ho appena cominciato. Vincerò più titoli di tutti voi messi insieme. Vi dico una cosa. Parliamone quando mi sarò ritirato”.

“Non vincerai cinque anelli”, disse Magic.

“Michael, te ne porterò via almeno uno”, aggiunse Barkley.

La discussione continuò, con cinque dei più grandi giocatori della Nba che cercavano di farsi spazio, a parole, nella storia della pallacanestro. Magic si indignò quando sentì dire che la squadra migliore non potevano certo essere i Lakers dell’87, compagine che, secondo lui, era stata la più forte in quegli anni.

“Mettimi con Kareem, Worthy, Coop e Byron Scott e vedrai come domineremmo i tuoi Bulls” disse Magic a Jordan.

Barkley stava per dire ancora una volta la sua, quando Bird, dopo aver finito la sua birra, si alzò in piedi.

“Silenzio”, disse. “Statemi tutti a sentire. Charles, tu non hai vinto niente. Sei fuori dalla discussione. Ahmad, stessa cosa. Patrick, neanche tu hai mai vinto un titolo, quindi siediti qui, stai zitto e impara un paio di cose”.

Barkley, messso di fronte all’evidenza dei fatti, obbedì. Ewing, che all’inizio della sua carriera considerava Bird un feroce avversario ma che, durante le Olimpiadi, scoprì di avere con lui una curiosa affinità, fece quel che gli era stato detto e si sedette. Rashad seguì il suo esempio, affascinato dal duello verbale in corso in quel gruppo di giocatori, ognuno dei quali, a un certo punto della sua carriera, avrebbe potuto legittimamente affermare di essere il migliore della lega.

Jordan insistette che i suoi Bulls erano tra le migliori squadre di tutti i tempi. Bird gli ricordò che, quando non era afflitto dai problemi alla schiena, maltrattava con facilità il suo compagno Scottie Pippen.

“Mi dispiace per te”, disse Magic a Jordan. “Non avrai mai quello che abbiamo avuto Larry ed io. Ogni anno passavamo notti insonni sapendo che non potevamo sbagliare perchè, se l’avessimo fatto, l’altro ne avrebbe approfittato. Tu contro chi ti misuri?”.

La conversazione scemò senza che a nessuno venisse data definitivamente ragione. Poi l’argomento cambiò: chi era il miglior giocatore uno contro uno di tutti i tempi?

“Signori”, disse Jordan,”lasciate perdere. Su questo non avete nessuna possibilità. Larry, non sei abbastanza veloce per starmi dietro. Magic, io ti posso marcare, ma tu non potrai mai fermarmi. Nessuno di voi due può difendere ai miei livelli, e nessuno di voi due può segnare come faccio io”.

“Di questo non sono convinto”, disse Magic. “Avrei potuto segnare molto di più nella mia carriera, se avessi voluto”.

Jordan si fece scuro in volto. Durante quei giorni a Barcellona era stato incredibilmente conciliante, facendosi da parte quando venne deciso che Magic e Bird sarebbero stati i capitani della squadra. Jordan rispettava Magic e non fece storie quando questi venne eletto a uomo immagine del Dream Team, nonostante fosse lui ad aver vinto negli ultimi due titoli di MVP della lega. Aveva capito che la carriera di Magic era arrivata al capolinea e che quello era il suo ultimo palcoscenico importante.

In quel momento Jordan si sarebbe aspettato che Magic riconoscesse qualcosa di ovvio: il numero 23 dei Bulls era il miglior giocatore al mondo. Si girò quindi verso Johnson, spense il suo sigaro e gli si avvicinò alzando la voce.

“Ti conviene smetterla”, disse Jordan a Magic. “Verrò a casa tua e te ne segnerò 60 in faccia. L’ho già fatto con i Celtics, puoi chiederlo al tuo amico Larry. Tu e Bird siete stati dei grandi giocatori, avete fatto delle cose incredibili, ma ora è finita. Adesso sono il padrone della Nba”.

“Michael non ti dimenticare che Larry e io abbiamo rivoltato questa lega come un calzino. Noi due siamo la Nba” rispose Magic.

“Okay, ma io l’ho portato a un nuovo livello”, rispose Jordan, “e ormai non è più la vostra lega”.

“Non è ancora la tua”, insistette Magic.

Bird osservò in silenzio, mentre i toni della discussione si alzavano. Vide in Jordan una spavalderia che non aveva mai notato prima di allora, Bird riconobbe quella sicurezza nei propri mezzi, perchè era la stessa che aveva lui quando era al top della carriera.

“Per molti anni fui convinto di essere il miglior giocatore sulla terra”, ricorda Bird. “Quella sera capii che quel giocatore non ero più io, e neanche Magic”.

Rashad, amico sia di Magic che di Jordan, cercò di placare gli animi, ma senza riuscirci. Jordan voleva che Magic ammettesse che in quel momento il migliore era lui, e Magic era inamovibile nel non concedergli quella soddisfazione.

“Penso solo che sia peccato che non siate stati tutti giovani nello stesso periodo”, disse allora il campione di Los Angeles, “avremmo potuto essere tutti e tre l’immagine della Nba”.

“I tuoi tempi sono passati”, gli rispose Jordan. “Sei un vecchio ormai, fatti da parte”.

“Non sarei tanto sicuro in proposito”, disse ancora Magic.

“Ora basta”, intervenne Bird. “Magic, abbiamo avuto il nostro momento. C’è stato un periodo in cui nessuno era meglio di me e te. Ma ora non più. Michael adesso è il migliore. Passiamo il testimone e facciamoci da parte”.

Non è un libro tecnico, che racconta schemi o descrive partite. E’ ovvio che sia per forza di cose un libro che trasudi basket, che te ne fa respirare l’aroma, che enfatizza la dimensione della sfida tra due dei migliori giocatori della storia del gioco, però è anche un racconto che fa vedere il lato umano di due eroi indiscussi dello sport mondiale e fa capire che dietro due grandi giocatori come Magic e Bird, ci sono due grandi amici e soprattutto due grandi uomini.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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