*Focus sui New York Knicks, la migliore squadra in questo primo quarto di stagione ad Est (e forse dell’intera Nba), scritto a quattro mani da Stefano Salerno e Pietro Caddeo.
Il punto di Stefano
Nella notte non hanno giocato, ma le ultime vittorie arrivate contro i Nets e contro i Lakers hanno dato la definitiva dimostrazione di quanto possa dirsi forte una franchigia che ad inizio stagione aveva problemi d’età (è nettamente la squadra Nba con l’età media più alta, superiore ai 32 anni) e soprattutto grosse lacune sotto l’aspetto dell’amalgama di squadra, spaccata tra gli isolamenti di Carmelo, l’utilizzo inflazionato del tiro da tre, la cronica assenza di un playmaker affidabile, gli infortuni (Shumpert e Stoudemire dovrebbero rientrare a breve).
Stiamo parlando ovviamente dei New York Knicks, risaliti nel power ranking settimanale al secondo posto, dietro i Thunder che quest’anno sembrano davvero giocare un basket inarrivabile, non avendo subito minimamente il colpo dato dalle partenza di Harden e soprattutto dimostrando di aver acquisito quella consapevolezza e quella maturità che nella fase finale della scorsa stagione sono venute un po’ a mancare.
I Knicks di questa stagione però, si stanno rivelando sorprendenti sotto molti altri aspetti. Dopo la sconfitta contro Brooklin nel derby giocato con quasi un mese di ritardo rispetto la data prevista, causa uragano Sandy, che sancì il terzo Ko in quattro partite (unico vero momento difficile della stagione dei bluarancio), sono arrivate 8 vittorie nelle successive 9 partite. L’unica sconfitta di questo filotto di partite è stata quella arrivata contro i Bulls, complice sia l’assenza di Anthony dovuto al problema al dito della mano sinistra lacerato contro i Bobcats, sia la straordinaria partita giocata dal Beli, conclusasi con 22 punti a referto. Le due sconfitte sopracitate (Brooklin e Chicago) sono le uniche due partite in cui l’efficienza offensiva della squadra di New York non ha superato i 100 punti calcolati su 100 possessi (eccezion fatta per la vittoria contro Indiana, in cui sono bastati 88 punti per avere la meglio su David West e soci).
Le due partite della consacrazione ad Est sono state però le due vittorie contro i campioni in carica. La prima ad inizio stagione, in cui molti (tra cui anche il sottoscritto) videro, per ampi tratti della partita, chiari segnali rispetto al fatto che Wade, James e compagnia non dimostrassero tutto l’agonismo necessario sul parquet perchè a loro avviso quella partita non andava giocata (la Grande Mela era ancora sconvolta dal passaggio dell’uragano Sandy). La partita comunque la vinsero i Knicks di 20, tirando con un 54% di percentuale reale dal campo e mettendo a referto il primo trentello della stagione di Anthony.
Se la partita d’esordio poteva lasciare qualche dubbio, questi sono stati definitivamente spazzati via dalla partita giocata a Miami, una decina di giorni fa. Giunti sul parquet degli Heat senza Carmelo a causa dell’infortunio precedentemente ricordato, hanno “scherzato” i campioni Nba, tirando nuovamente con una percentuale reale dal campo prossima al 55%, con una percentuale pesata superiore al 60% da tre. Una macchina da canestri insomma.
L’aspetto principale quindi di questo straordinario inizio di stagione è sicuramente l’attacco, secondo migliore dell’Nba (sempre dietro i soliti Thunder, che sembrano fare corsa solitaria un po’ in tutte le classifiche statistiche), ma a mio avviso il più bello da vedere in questo inizio stagione. A coach Woodson sono riusciti alcuni “miracoli” cestistici che difficilmente potevano essere preventivabili a inizio stagione.
Primo su tutti è l’integrazione di Carmelo Anthony e dei suoi isolamenti in un attacco strutturato, da sempre grandissimo realizzatore che però con il suo modo di giocare spesso spezzava il ritmo dell’attacco, fermava la circolazione della palla, intestardendosi nella ricerca solitaria del canestro. Quest’anno invece, sembra aver finalmente trovato una sua identità in un attacco che lo vede protagonista, ma che, a differenza del passato, lo coinvolge in ricezioni dinamiche, che gli permettono di ridurre al minimo i palleggi, o che comunque gli consentono, appena entra in possesso della palla, di poter subito attaccare il diretto avversario. Variazione del suo modo di gioco che molti imputano anche all’esperienza estiva, in cui l’esempio e i consigli ricevuti da Bryant, James e Durant durante l’esperienza olimpica sembra siano stati tutti dati nel tentativo di convincere la guardia dei Knicks a diventare una spietata macchina da canestri, cercando però di non distruggere la chimica di squadra (certo che pensare che questo consiglio l’abbia dato il Kobe di questa stagione..). Anche in ragione di questo Melo sembra essere il maggior indiziato ad oggi a ricevere il titolo di MVP stagionale, ampiamente meritato per quello che ha fatto vedere finora.
Secondo aspetto sorprendente è la qualità che la squadra può vantare in fase di playmaking, sulla carta ad inizio stagione non di certo la front line migliore della Lega, anzi. Invece, giocando addirittura con il doppio playmaker, la squadra newyorchese in questo inizio di stagione può vantare un Raymon Felton in grande spolvero, che tira con il 41% da tre, viaggia a più di 16 punti di media a partita, distribuendo 6.8 assist ogni volta che scende in campo e giocando assieme a Chandler quello che in molti non esitano a definire “il miglior pick and roll di questa stagione a livello Nba”, sostanzialmente il migliore al Mondo in questo momento. Dati alla mano, il Felton più bello mai visto a New York, paragonabile a quello dantoniano del 2011 (esperienza nella quale le sue cifre erano ritoccate da un tipo di pallacanestro che “falsa” un po’ i numeri di chi gioca nella sua posizione). Secondo play, ma non di certo per importanza, è Jason Kidd, rinato dopo la profonda depressione che lo aveva attanagliato in quel di Dallas la scorsa stagione, si sta imponendo giocando 27 minuti a partita di ecumenico basket (Buffa mi perdonerà per il ricorrente uso di aggettivi da lui declinati), facendo molto più di quello che i 9 punti e 3,6 assist a partita dicono (vedere il canestro decisivo contro i Nets per credere). Terzo in playmaking è Prigioni, rookie 35enne che sembra essere già un veterano, che gioca in Nba come se non avesse fatto altro nella vita, che si integra a perfezione con gli altri due, mettendo in campo un rapporto minuti/qualità invidiabile.
Il terzo ed ultimo aspetto dell’attacco dei Knicks che va considerato poi è il numero di triple tentate. Sostanzialmente continuando così (ne tirano 30 partita di media) batterebbero tranquillamente tutti i record ogni epoca in quanto a tentativi da dietro l’arco in una stagione Nba. Ed un utilizzo così massiccio del tiro dalla lunga distanza è giustificato dalla qualità dei suddetti tiri, la maggior parte presi piedi per terra, in situazioni di libertà o comunque di spazio. Se a questo aggiungiamo l’avere a disposizione giocatori come Novak e Smith oltre ai già citati Anthony, Felton e Kidd, si può facilmente capire come i Knicks possano fare tranquillamente affidamento sul tiro da tre.
Oltre a tutto questo ci sarebbe da parlare del “recupero” (in tutti i sensi) di Sheed Wallace, dimostratosi più che valido rincalzo, osannato dal Madison Square Garden, che giocando al minimo salariale sta dando una grossa mano alla franchigia newyorchese; di Tyson Chandler, senza se e senza ma il miglior difensore Nba, nonchè colui che tira con la più alta percentuale dal campo (71%); del prossimo rientro di Stoudemire e di come dovranno essere riscritte le gerarchie.
Insomma, i Knicks sono la squadra del momento (in senso positivo, visto che “negativamente” parlando i Lakers risultano ad oggi essere insuperabili) e speriamo per loro che lo restino a lungo, magari anche quando si ritroveranno ad affrontare quei Thunder che le statistiche pongono nettamente al di sopra di tutte le altre, ma che sul campo potrebbero invece incontrare non poche difficoltà ad accoppiarsi con questi Knicks.
Il punto di Pietro
Sono la squadra rivelazione dell’anno, con la migliore panchina della NBA e buone possibilità di soffiare l’anello ai campioni in carica di South Beach. Belle parole. Ma i Fatti?
Al momento, con un record di 17-5, i New York Knicks si trovano al primo posto della eastern conference. Vengono da un mese e mezzo di fuoco, in cui hanno sconfitto le big ad est ( senza Anthony hanno sbancato a Miami) ma anche le grandi favorite della costa ovest( sentire gli Spurs per maggiori delucidazioni). Una squadra che a settembre sì, era data come valida competitor in quella landa desolata che è la eastern conference dove oltre a Miami, Brooklyn e Boston non si vede del gran basket, ma da qui a diventare una testa di serie ne passa.
Qual è il mantra di questi Knicks di inzio stagione? Cosa ha permesso alla squadra storica della Grande Mela di fare il salto di qualità?
Per rispondere, proviamo a isolare tre punti:
CARMELO ANTHONY ( IL REDIVIVO)
Sarebbe ingiusto parlare del momento magico dei Knicks senza nemmeno citare il giocatore che tiene viva( insieme ad altri fattori) la fiamma del successo.
Quest’anno Melo sembra finalmente un giocatore decisivo, continuo ed estremamente motivato.
Nel derby newyorchese di martedì sera, ha deliziato il MSQ segnando 45 punti e riportando lo scontro diretto della Grande Mela in parità( l’ultimo vinto dagli avversari di Brooklyn).
Ma non è solo una questione di punti, Anthony sta abbranciando il ruolo di Leader dei Knicks e con esso diverse responsabilità che prima non si prendeva. Quali? Per esempio difendere. Oppure scegliere i tiri con un certo criterio, essere pazienti, leggere meglio le situazioni offensive.
Se domani si chiudesse la regular season, l’MVP spetterebbe solo e soltanto al numero 7 di New York.
I VETERANI (GOOD OLD BOYS)
Come si fa a trasformare una debolezza in punto di forza? Chiedere a Jason Kidd, Marcus Camby, Rasheed Wallace e Kurt Thomas, gli over 35 dei Knicks che formano il roster più vecchio di sempre, ma non sembrano sentire l’età che avanza ( soprattutto il primo che in quanto visione di gioco non è secondo a nessuno). E’ vero, le gambe non rispondono come 15 anni fa, ma quello che manca di atletismo si compensa con l’esperienza. Kidd per la prima volta nella vita è chiamato a fornire il suo apporto partendo dalla panchina. E dire che sta rispondendo bene sarebbe un eufemismo. Come riserva sta facendo registrare 8.9 punti di media e 3.7 assist in 28 minuti di impiego. Anche se il dato più impressionante è la continuità oltre il perimetro, da cui sta tirando con il 52%! Spendere due parole su Rasheed Wallace non è possibile, non basterebbe un libro a descrivere il personaggio. Quando uscì ufficialmente la notizia del suo ritorno dopo due anni di silenzio cestistico, i tifosi dei Knicks avevano già ordinato la sua canotta. Al di là del Sheed personaggio però, c’è un lungo atipico che tira da fuori e un giocatore che conosce molto bene i playoff. Da trattare con i guanti.
MIKE WOODSON A.K.A. THE RESOLUTOR
Quando subentrò a l’altro Mike (D’antoni) come head coach, I Knicks avevano un record di 18-24. Con Woodson alla guida, nel giro di un mese e mezzo New York ha visto ribaltare il record in positivo , chiudendo la regular season sopra il 50% di vittorie (36-30).
Woodson è stato l’artefice di due piccole rivoluzioni o adattamenti che si sono rivelate decisive per quest’ inizio. Non avendo a disposizione un’altra ala grande (infortunio di Stat) che non fosse Novak, troppo specialista e poco affidabile in difesa, Woodson ha convinto Melo a fare quello che D’Antoni non era riuscito a fare, schierando l’ex Nuggets da numero quattro.
Altro colpo di genio: utilizzare il doppio playmaker. Con Brewer spostato in ala e con l’assenza di Shumpert, Woodson ha fatto affidamento sull’esperienza di Kidd che in difesa può marcare sia 2 che 3. In un mese e mezzo di regular season è nato un gioco ad alto numero di possessi, con un Felton in forma smagliante che si alterna tra play e guardia, sempre pronto ad uscire dai blocchi. Woodson, entusiasta o meno del mercato estivo, ha fatto ciò che gli riesce meglio: arrangiarsi con quello che ha.