La chiusura del 2012 con 5 vittorie su 6 partite aveva fatto pensare a un assestamento in casa Lakers che, complice anche il ritorno di Steve Nash dall’infortunio che lo ha tenuto fuori per più di 20 partite, si affacciavano all’anno nuovo con tutta l’intenzione di diventare una squadra competitiva per il titolo: dopo appena 3 partite, diventa complesso anche pensare di raggiungere la post-season.
Domenica sera allo Staples Center, si è avvertita la tensione, l’ansia per una squadra, costruita in estate per dominare la NBA e ora incapace di produrre uno sforzo adeguato sui due lati del campo. La fase difensiva rimane ancora il problema principale, subire 110 punti è ormai la norma ogni sera, la fase offensiva diventa spesso stagnante, esattamente l’opposto di quello che l’arrivo in panchina di Mike D’Antoni doveva produrre.
I Denver Nuggets, hanno confermato di avere invece una squadra molto più coesa, con una panchina di primo livello, guidata da un coach di grande spessore: meno talento dei gialloviola, ma più voglia di sacrificarsi per l’altro, più voglia di correre, più voglia di vincere.
Kobe Bryant è stato generoso nel primo tempo con i compagni, servendoli ad ogni occasione e limitandosi ad appena 5 tiri dal campo per 6 punti nei primi 24 minuti di gioco. Gasol e Metta World Peace sembravano in buona serata, con 11 e 12 punti rispettivamente nella prima metà di gioco. Al rientro dallo spogliatoio, Kobe si ritrova solo con Dwight Howard dominante sotto i tabelloni (26 rimbalzi), ma senza aiuto in fase realizzativa. Pau Gasol non segnerà un punto dopo l’intervallo, MWP si fermerà a quota 4 e Howard, condizionato comunque da una spalla malconcia, chiuderà con appena 7 conclusioni dal campo.
Dall’altra parte invece si vede una squadra vera, guidata dal talento di Lawson e Gallinari, da un Igoudala perfettamente a suo agio nel sistema di George Karl e da un Javale McGee dominante in zona pitturata in appena 26 minuti di impiego.
Se si volesse indicare con un dato lo stato dei Lakers attuali, basta guardare proprio ai punti in vernice. I Lakers, che partivano con un netto vantaggio fisico con Howard e Gasol, la coppia di lunghi teoricamente migliore della lega, subiscono 60 punti in area su 112, segnandone appena 38. La dimostrazione della mancanza di comunicazione difensiva, di voglia di sacrificio l’uno per l’altro.
Come spesso è accaduto fin qui in questa stagione, i Lakers avranno comunque la possibilità di rientrare in partita grazie alla grandezza di Kobe Bryant che, come venerdì nel derby coi Clippers, domina il quarto periodo segnando 18 punti negli ultimi 12 minuti e gli ultimi 7 canestri dal campo della squadra, incluse due triple impossibili dall’angolo sinistro del campo nel finale con lo sguardo di chi non accetta di perdere. I suoi compagni non hanno il suo sguardo, non hanno quel fuoco nelle vene, quello di chi sa che cosa c’è in gioco da qui in poi: la credibilità e il futuro stesso della franchigia della famiglia Buss.
Certo, la carambola che porta al tiro decisivo e difficilissimo di Danilo Gallinari a 13 secondi dal termine dopo la stoppata di Dwight, è anche segnale di sfortuna, ma si sa che la fortuna aiuta gli audaci, quelli che lottano, quelli che combattono insieme per vincere: i Lakers non sono questo. Giocano sempre con la convinzione di avere tempo, che prima o poi grazie al loro talento riusciranno a venire fuori da tutto questo, a diventare la squadra che sono stati costruiti per essere. Ora forse qualche dubbio sta cominciando a venire anche a loro e la settimana in arrivo con le due trasferte texane (Houston e San Antonio) e la sfida con OKC allo Staples si preannuncia molto ma molto lunga.
Luca De Gaspari
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