Siamo a Gennaio, la regular season sta per arrivare al suo giro di boa, e tra conferme, sia positive che negative, multe, esoneri e fattacci (risse varie), come tutti gli anni la NBA ci ha riservato tante, davvero tante sorprese.
Cominciamo dalla Eastern Conference, e precisamente da New York, si perché è proprio lì, nella ” Mecca” del basket, che c’è stata una totale rivoluzione che ha portato praticamente tutti nell’ambiente a cambiare radicalmente opinione su una squadra da un anno all’altro: ovviamente stiamo parlando dei New York Knicks.
La franchigia blu arancio, dopo la deludente stagione 2011/12 (anche se testimone del ritorno alla vittoria nei PO dopo troppi anni e’ stata un totale fallimento), ha profondamente cambiato il suo modo di agire sul mercato, nonostante resti una delle franchigie con i contratti più pesanti nella lega. Certo non si voleva del tutto accantonare quanto costruito in precedenza con i Big Three, e allora si è cercato di correggerlo: quello che è cominciato come una piccola “riaggiustatina” si è rivelata una vera e propria rivoluzione. Via i vari Baron Davis, Jeremy Lin, Tony Douglas, dentro i Jason Kidd, i Raymond Felton e i Rasheed Wallace.
Il risultato e’ stato un cambio totale nell’affrontare il gioco, con la ricerca costante dell’extra pass e dell’azione “costruita” a discapito delle soluzioni individuali di Melo (sta vivendo la miglior annata della sua carriera, non fraintendeteci). Tutti questi accorgimenti, piccoli e grandi, hanno portato la squadra al secondo posto ad Est, e nonostante una piccola flessione nell’ultimo periodo, ad essere la candidata principale per insidiare Miami nella strada verso le Finals.
Se comunque i Knicks sono sempre stati una squadra blasonata, famosa e “ricca” (anche a fronte dei “soli “due titoli conquistati), lo stesso non si può certo dire dei Golden State Warriors, che per la prima volta da molto tempo pero’, quest’anno non stonano se messi nella stessa frase della parola “Playoff”.
L’ossatura della squadra, bene o male, e’ rimasta quella degli anni scorsi, con il duo Lee-Curry a dettare legge, ma intorno qualcosa si è mosso, eccome.
Il draft, come previsto non ha deluso le grandi aspettative, e il rendimento offerto fin qui da Harrison Barnes ne è l’assoluta conferma: designato da molti come il prossimo grande realizzatore dell’NBA, a “pick number seven” e’ stato chiesto di cambiare il suo stile di gioco, sfruttando la grande fisicita’ di cui dispone per dare una mano in difesa: il risultato e’ sotto gli occhi di tutti.
Non è solo merito del rookie, però, se la trasferta alla Oracle Arena e’ diventata una partita insidiosa praticamente per tutti: grande merito va allo staff tecnico dei Warriors, riuscito nella non facile impresa di far coesistere Curry, vera stella del squadra, e Jarret Jack, arrivato in estate dagli Hornets per dare più profondità al backcourt e che sta facendo vedere cose molte importanti come guardia/secondo playmaker.
Se poi Curry si è confermato giocatore da grandi numeri, sia per i punti che per gli assist, il vero salto di qualità e’ stato fatto grazie all’incredibile miglioramento di David Lee: ottimo rimbalzista nella passata stagione (9 rpg), quest’anno il numero 10 si è scoperto anche grandissimo realizzatore, diventando una vera e propria “macchina” da doppie doppie. Klay Thompson come shooting guard è la ciliegina sulla torta. Anzi no, la vera ciliegina sulla torta sarebbe l’integrazione positiva di Andrew Bogut nella squadra, scommessa dell’estate ancora alle prese con i soliti problemi fisici, ma che una volta tornato a livelli decenti, renderebbe i Warriors una squadra realmente pericolosa agli occhi di tutti.
Dulcis in fundo, siamo davvero felici di riaccogliere RIP City tra le squadre degne di nota: nella notte scorsa contro i Thunder si è interrotta la striscia di 9 vittorie tra le mura amiche, ma questo non basta a sminuire quanto di buono messo in evidenza fin’ora dalla franchigia dell’Oregon, che con i sopracitati Warrios , merita il titolo di squadra rivelazione nella Western Conference.
Sono arrivate tante risposte positive dalle operazioni effettuate in off-season, una su tutte quella del pareggio dell’offerta proposta dai T–Wolves a Nicolas Batum, che sta ripagando gli sforzi della società tenendo quasi la tripla doppia di media (l’altro giocatore che ci riesce nella lega e’ il 6 degli Heat). Se poi sono state importanti le risposte date anche dai vari Aldridge, Matthews e Hickson, e’ inutile nascondersi, grande merito dell’operato dei Blazers fino a questo momento va dato a Damian Lillard: la sesta scelta assoluta del draft rappresenta forse la novità più grande a cui abbiamo assistito quest’anno; sta giocando talmente bene che a Portland e’ stata giudicata “così e così” la sua ultima prestazione da 9 punti+9assist, non proprio bruscolini per una point-guard rookie. In Oregon uno con queste potenzialità non lo vedevano dai tempi di Brandon Roy, ma i presupposti (fisici sopratutto) tendono a far pensare che tra pochi anni non parleremo di Lillard come di un talento inespresso a causa di vari fattori esterni.
Ps: Se qualcuno si sente stupito o pensa che ci sia stato un errore nel non vedere citati i Clippers, protagonisti fin qui di una stagione praticamente perfetta, basta che vada a vedere chi gioca per loro nella posizione di playmaker ed avrà finalmente tutto chiaro.
Leonardo Granduardo Flori