Categorie: Editoriali NBA

Spurs, una macchina perfetta grazie alla sapiente regia di un Tony Parker da MVP!

Far parte di un meccanismo semi perfetto che di anno in anno si perfeziona, che aggiunge aspetti ancora più complessi ad un’idea di gioco già sopraffina, certamente aiuta, mettendo il giocatore nella condizione di rendere al meglio delle sue possibilità, riuscendo ad esaltarne le doti e a nasconderne i difetti. Discorso inappuntabile, nulla da eccepire, se non fosse per il fatto che in realtà considerazioni di questo genere possono essere facilmente ribaltate. Quanto è importante avere giocatori funzionali alla propria idea di gioco, senza i quali si rischierebbe di non vederla mai realizzata? E, entrando nello specifico, quanto è importante per gli Spurs avere Tony Parker in cabina di regia?

Beh, visti gli automatismi più che affidabili, la molteplicità di ottimi giocatori che compongono il roster e la qualità delle soluzioni offensive a cui ricorrere, si potrebbe tranquillamente pensare che San Antonio con l’organizzazione riuscirebbe a sopperire ad un’assenza così importante. In realtà, come tutti i sistemi di gioco, anche quello della franchigia texana fa affidamento su alcuni fondamenti dei quali sarebbe difficile pensare di fare a meno. Il campione francese è proprio uno di quei pochi, insostituibili tasselli, senza il quale pensare di ottenere un record di 42-12 sarebbe pura utopia. E, numeri alla mano, non credo di esagerare nel definirlo così importante.

Partiamo, come al solito, dalle cifre.

Questa è la shot chart dell’intera stagione dei San Antonio Spurs. Imbarazzanti per quanto sono efficaci, semplicemente spaventosi. Non c’è una zona rossa, cioè una porzione di parquet dalla quale stanno tirando con percentuali inferiori per un valore superiore al 5% rispetto a quelle generali di tutta l’NBA. In pratica, a leggerla a primo impatto, sembrerebbero non avere difetti, non avere punti punti deboli. In realtà le cifre complessive rendono ancora più valida l’idea che gli Spurs assumano i contorni dell’ingranaggio offensivo perfetto, impossibile da arginare. San Antonio mette a referto 104,2 punti di media a partita, quarta della Lega, mandando a bersaglio 39,6 canestri (seconda in NBA), tirando col 48,7% dal campo, seconda anche in questa rilevazione statistica. E’ terza per triple mandate a bersaglio nonostante sia una delle squadre che più utilizza il tiro da dietro l’arco, prima per numero di assist a partita e seconda per Plus/Minus totale, chiudendo le partite con una media di +8,4 di squadra. Incredibile.

Di fronte alla straordinarietà di questi numeri si è facilmente portati a pensare che coach Popovich possa far veramente poco per migliorare in quanto ad efficacia una squadra che sembra davvero sapere in ogni situazione quale sia la cosa giusta da fare. La cosa che però più mi impressiona è la capacità di esaltarsi nelle difficoltà. Il 13 Gennaio Ginobili è rimasto infortunato durante la partita contro Minnesota, restando fuori dai giochi per diverse partite. Alla sua assenza si è aggiunta anche quella di Duncan, partito nei primi mesi di questa stagione in uno stato di forma invidiabile, rientrato nella partita vinta nella notte contro i Cavaliers, durante la quale coach Popp ha potuto nuovamente avere a disposizione tutti e 3 i suoi campioni (ovviamente il canestro decisivo l’ha segnato Leonard, in nome di quella idea di “gruppo” ormai nota dalle parti dell’Alamo).

In queste settimane di emergenza quindi sarebbe stato lecito aspettarsi qualche battuta d’arresto o quantomeno un fisiologico calo. Invece gli Spurs, non solo non hanno mollato un centimetro, ma sono riusciti a migliorarsi. 15 partite, 14 vittorie. Percentuale dal campo che sfiora il 50% su un campione di 1200 tiri, numeri mostruosi. A questi si aggiunge il 63,9% da sotto nonostante l’assenza di Duncan o il 48,3% dall’angolo destro, sintomo del fatto che quei tiri vengono tutti presi in totale libertà ed in ritmo. Insomma, neanche le assenze e le rotazioni accorciate sembrano scalfire minimamente l’efficienza offensiva degli Spurs.

Possibile che non ci sia una parte che sia insostituibile, qualcosa senza il quale questo sistema possa essere messo in difficoltà? Quel qualcosa a mio avviso ha un nome e un cognome, Tony Parker. All’interno del roster dei texani non c’è nessuno che possa pensare di poterlo sostituire e non perché la dirigenza di San Antonio non lo stia cercando, ma semplicemente perché un’altro come lui non c’è, quantomeno in questa galassia e su questo pianeta.

Parker è il perno attorno a cui gira tutto il mondo offensivo degli Spurs. Tutto il credo offensivo basato su spaziature perfette tra i vari giocatori perderebbe di efficacia se il sapiente Tonì (alla francese) non servisse ogni santissima volta il compagno più libero e meglio piazzato. Il gioco sugli scarichi sarebbe facilmente marcabile se il playmaker 30enne non fosse in grado di alternarlo con letali penetrazioni e con un ormai affidabilissimo tiro dalla media. Vedere per credere.

Se escludiamo il tiro da 3 “frontale” (zona dalla quale nel complesso Parker ha preso 14 tiri in stagione, lo 0,017% delle conclusioni totali), in realtà lui, come la sua squadra, non ha una zona all’interno della quale possa ritenersi quantomeno contenibile. Tirare il 53,6% in stagione è qualcosa di incredibile, impresa seconda forse solo a quelle di Lebron e KD in quanto a percentuale dal campo. A questo aggiunge anche 7,6 assist in poco meno di 33 minuti di utilizzo. Di cifre per palesarne l’importanza ce ne sono decine e decine. Mi soffermo su quella alla quale ormai mi sono affezionato, il PIE, Player Impact Estimate, cioè quanto un giocatore abbia contribuito percentualmente al raggiungimento del risultato della propria squadra. Nonostante la capillare distribuzione di responsabilità, la palese ricerca di omogeneità, Parker “pesa” per il 16,7%, non aggiungo altro.

So che in una Lega di così alto livello e con così tanti talenti nominare un MVP porta con sé la certezza che si sta compiendo un torto verso qualcun’altro. Credo soltanto che segnare 20 punti a partita come quelli messi a referto da Parker sia molto più importante che farne 40 ogni sera come Bryant o Anthony (a mio avviso poco funzionali alla squadra) e distribuire 7,6 assist di pregevole fattura non sia da meno rispetto a quello che fanno playmaker più chiacchierati di lui come Paul e Rondo. So che nel momento in cui scendono in campo sui parquet NBA giocatori come James e Durant il discorso su chi sia il migliore della Lega si riduca ad una mera questione a 2, però, pensando a quelli già vinti dal primo e a tutti quelli che vincerà il secondo, dare il premio ad un giocatore come Parker sarebbe il giusto riconoscimento ad un gruppo e soprattutto ad un giocatore straordinario. Il pubblico dell’AT&T Center lo urla a squarciagola ogni volta che va in lunetta, spero tanto che al termine di questa stagione possa diventare realtà. MVP, MVP, MVP!

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Stefano Salerno

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