Una notte così Stephen Curry l’aveva sempre sognata. I tiri che entrano uno dopo l’altro, la folla ammutolita e/o impazzita, i giocatori avversari che non sanno come fermarlo e i suoi compagni di squadra aggrappati alla performance del proprio leader. Il tutto nella “World’s most famous Arena”, il Madison Square Garden, casa dei New York Knicks.
La stoppata subita da Curry, per mano di Raymond Felton, negli ultimi possessi e col punteggio in bilico, ha risvegliato bruscamente il giocatore. 109-105 il punteggio finale, ma per New York, trascinata, oltre che dai soliti Anthony e Smith, anche dal career-high di 28 rimbalzi di Tyson Chandler. Massimo in carriera alla voce recuperi, 6, per Shumpert: evidentemente c’era qualcosa di speciale nell’aria ieri notte al Madison.
La sconfitta non può certamente cancellare la prova di Steph, una delle più esaltanti degli ultimi anni. Ecco le cifre di questa storica serata: 54 punti, ovviamente record personale, frutto di 18-28 dal campo e 7-7 ai liberi, conditi da 7 assist, 6 rimbalzi e 3 recuperi, il tutto giocando per 48 minuti filati. C’è un dato che però balza subito all’occhio: 11-13 da tre punti, seconda prestazione di sempre nella NBA dopo le 12 triple realizzate da Kobe Bryant e Donyell Marshall. A quota 11 ricordiamo anche lo stesso J.R. Smith e Dennis Scott, uno degli scudieri di Shaq ai tempi di Orlando.
Le statistiche accumulate da Curry nella sua notte magica sono state subito oggetto di studi più approfonditi da parte degli appassionati del genere, in primis il tante volte citato sito Elias. Alcune di esse sono particolarmente interessanti. Da quando è stato aperto il nuovo Madison Square Garden, nel 1968, solo due giocatori avevano segnato più dei 54 punti di Steph da avversari dei Knicks. I nomi rappresentano il gotha di questo sport: Bryant, con 61 nel 2009 e Michael Jordan con 55 nel marzo del 1995, vestendo la maglia numero 45 dei Bulls. Curry ha realizzato inoltre l’84% delle sue conclusioni dalla lunga distanza, un numero astronomico. Con almeno dieci triple tentate, nella storia NBA solo Ty Lawson, Rex Chapman e Dan Majerle hanno fatto meglio, col 90%.
Purtroppo per il giocatore e per i Warriors, anche l’aver perso tirando con una percentuale complessiva di oltre il 60% rappresenta un unicum nel suo genere. Per Steph resta la magra soddisfazione di aver sbriciolato il record di punti (38) del padre, Dell Curry, uno dei più grandi tiratori di sempre. Nonostante la sconfitta, la serata del Madison potrebbe aver sancito la consacrazione di un ragazzo in grado di essere, già in un futuro molto ravvicinato, una delle stelle più splendenti di questa Lega.
Al momento il giocatore, ignorato da pubblico e allenatori per l’All Star Game, sta segnando circa 22 punti di media, con 6 assist e mezzo a partita. Sono numeri da uno dei tre quintetti stagionali All-NBA, a maggior ragione all’interno di un contesto vincente come quello dei Warriors di quest’annata, di certo non avvezzi nelle ultime decadi alle posizioni di vertice ad Ovest.
Da più parti ci si interroga sullo stato di salute di Golden State, soprattutto in chiave Playoffs. E’ vero, Curry o non Curry, la squadra è in un momento di flessione. 8 sconfitte nelle ultime 11 uscite, 1 sola vittoria in trasferta nel mese di Febbraio e vantaggio sulle dirette inseguitrici sempre più assottigliato. Il calendario però da una mano fondamentale ai Warriors: 16 degli ultimi 24 incontri sono previsti tra le mura amiche della Oracle Arena, con 4 situazioni complessive di back-to back.
A meno di imprevisti harakiri, la franchigia della California tornerà a disputare la postseason dopo 6 anni. Al primo turno, molto probabilmente, ci sarà un accoppiamento impegnativo con una delle corazzate della Western Conference. Per i ragazzi di coach Mark Jackson sarà già positivo provare a vincere un paio di gare nella serie. Ma con uno Stephen Curry così, meglio non fare previsioni troppo affrettate.
Alessandro Scuto