Categorie: Editoriali NBA

Febbraio 2013, il mese di Lebron James! La definitiva consacrazione di uno dei migliori giocatori di tutti i tempi?

Oggi primo Marzo ci lasciamo alle spalle un Febbraio pieno di tribolazioni, di sorprese e di incertezza. Abbiamo visto un papa abbandonare la propria carica, elezioni politiche al termine delle quali si è riusciti nel brillante risultato di non far vincere nessuno, ma in particolar modo, per gli appassionati di questo meraviglioso sport, Febbraio 2013 verrà certamente ricordato come il mese di Lebron James. Non che in passato il giocatore dei Miami Heat non ci avesse abituato a prestazioni e cifre da capogiro, ma negli ultimi 28 giorni è riuscito a metterne insieme di incredibili, cose che se non le avessimo viste con i nostri occhi stenteremmo a crederle vere. L’anello della scorsa stagione sembrava aver finalmente dato il giusto lustro ad un giocatore che da anni prometteva di diventare il numero uno indiscusso della Lega (3 premi di MVP negli ultimi 4 anni sono lì a dimostrarlo), ma queste ultime 4 settimane sembrano aver consolidato in maniera definitiva l’idea che Lebron James in realtà è un giocatore trascendentale e che per questo è in grado di fare cose che resteranno nella storia del gioco.

Il mese appena trascorso non era iniziato nel migliore dei modi. Difatti la squadra della Florida il primo di Febbraio aveva subito per la seconda volta in stagione una cocente sconfitta sul parquet di casa di quegli Indiana Pacers che tanto hanno fatto penare Wade e soci nella scorsa edizione dei Playoff. Nonostante la cattiva prestazione di gruppo, Lebron ha messo insieme comunque 28 punti con il 53% dal campo, numeri fantastici per giocatori normali, ma di gran lunga la peggior prestazione del giocatore (non soltanto dal punto di vista numerico) all’interno di un filotto di partite che non vedrà più sconfitti gli Heat.

13 partite in queste ultime 4 settimane, striscia di 12 vittorie consecutive ancora aperta.

Quello che ha determinato tutto questo è stata non soltanto la vena realizzativa che ha accompagnato James durante l’ultimo periodo, ma la maturità e la completezza del suo gioco. Ciò che più impressiona è che le cifre mostruose messe insieme da “The King” in realtà non sono state dannose per la squadra, ma al contrario ne hanno favorito e migliorato la fluidità offensiva.

Miami con Lebron in campo nelle ultime 13 ha 120,4 punti di media ogni 100 possessi, 10 punti in più rispetto alla miglior prestazione fatta registrare nei precedenti 3 mesi dagli stessi Heat. In pratica questo James fa si che tutta la squadra inizi a viaggiare a velocità offensive che soltanto un mese fa sembravano impensabili. Lo stesso Wade è il primo beneficiario di tutto questo, riuscendo a realizzare in queste settimane 24 punti di media con il 53% dal campo, tirando 1 su 9 da tre e prendendo tutte le restanti 228 conclusioni dall’interno dell’arco dei 3 punti, praticamente attaccando di continuo il ferro con un’efficacia (l’esplosività purtroppo non è più quella) che ricorda il Dwayne del 2006.

Ad un Wade così si aggiungono poi le meravigliose percentuali di squadra. Nel suo complesso Miami viaggia con un invidiabile 52% dal campo (ovviamente la migliora squadra NBA in questo campo statistico delle ultime settimane), il 41% da tre e mettendo a referto più di 107 punti a partita. Con queste cifre le ripercussioni “benefiche” sulla difesa sono facilmente intuibili, classificandosi prima sia per quel che riguarda la percentuale concessa dal campo all’avversario e incredibilmente anche sotto la voce “rimbalzi offensivi concessi”, di gran lunga il vero problema della prima metà di stagione della squadra della Florida.

C’è chi scherzosamente può pensare che la linfa vitale sia stata l’innesto all’interno del roster di “The Birdman” Chris Andersen (che i suoi 3,4 rimbalzi a partita li porta dignitosamente a casa), ma in realtà la chiave è stata quella che io definirei la definitiva acquisizione di consapevolezza da parte di un giocatore che ha sempre saputo che il giorno in cui fosse riuscito a perfezionare il suo gioco sarebbe sostanzialmente diventato imbattibile. Beh, quel momento sembra proprio essere arrivato.

Partirei dalla carta che mostra la distribuzione dei tiri che Lebron ha preso in questo ultimo mese. E’ questo che fa la vera differenza rispetto al passato e che gli permette poi di diventare così efficace. Il 60% dei suoi tiri vengono presi a ridosso del ferro, dove riesce, data la straordinaria forza fisica, a non risentire di eventuali contatti con giocatori più alti e strutturati di lui. Questa ricerca della penetrazione costringe il suo marcatore a distanziarsi da lui per sperare di tenere lo scivolamento nel momento in cui metterà la palla a terra, lasciandogli quindi quel mezzo metro in più di spazio che,unito ad una migliore meccanica di tiro, sta facendo si che, nonostante alcuni tiri vengano presi da distanza siderale e con equilibrio precario, la media dal campo non scenda mai al di sotto del 50%.

La distanza a cui sono costretti gli inermi difensori a porsi, permette anche al Prescelto di avere una maggiore visione del campo e dei suoi compagni, consentendogli di distribuire assist ai vari Battier e Chalmers, tornati ad essere realizzatori con grandi percentuali con i piedi dietro l’arco.

Può diventare realizzatore inarrestabile che decide di non sbagliare mai  (vedi la striscia di 6 partite con almeno 30 punti e il 60% dal campo, tirando dal campo con un 66-92 complessivo), per poi arrivare alla settima partita contro OKC alla Chesapeake Energy Arena, metterne a referto 39 con un 14-23 che gli permetteva di continuare la sua incredibile striscia e poi sul finire della partita prendere un improponibile tiro da 9 metri sbagliato, rinunciando coscientemente a quello su cui tutti ponevano l’attenzione, dimostrandosi semplicemente superiore.

Come ultimo tassello ho lasciato ciò che più di tutto sorprende, la shot chart delle ultime 4 settimane.

Le conclusioni vicino a canestro vengono realizzate con percentuale superiore a quella che Lebron ha ai tiri liberi. Di gran lunga il migliore dell’intera NBA per percentuale realizzativa nei pressi del ferro. Inoltre è facile notare la distribuzione fatta con precisione certosina delle conclusioni che per metà vengono prese nei pressi del tabellone (alle volte anche più su, viste le quote raggiunte in schiacciata dal Prescelto), mentre l’altra metà viene presa in maniera più o meno uniforme in tutte le zone del parquet. Di fronte a questi numeri è chiaro come anche offensivamente (visto che difensivamente marca ogni tipo d’avversario senza problemi) si possa pensare ad un playmaker (tira con più del 40% da 3, uno dei migliori penetratori della Lega e di distribuisce più di 7 assist a partita) ed allo stesso tempo possa essere accostato ai migliori centri dell’NBA (80% da sotto, 7,5 rimbalzi a partita, subendo quasi 7 falli).

Uno spot pubblicitario di qualche anno fa con James protagonista recitava “We are all witnesses”, siamo tutti testimoni. In queste difficili settimane non avremo più un papa, forse non avremo neanche un Governo, ma di certo possiamo dire di aver trovato il nostro King.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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