Categorie: Editoriali NBA

Utah Jazz: Storia Di Una Franchigia Perdente (parte seconda)

Nonostante le continue sconfitte in postseason a Jerry Sloan e soci sembrava chiaro che quei Jazz avessero l’ossatura giusta per poter inserirsi nella corsa all’anello. La dirigenza decise quindi di muoversi sul mercato per rinforzare ulteriormente il roster, dai Wizards arrivò Jeff Malone e dai Kings Pervis Ellison. L’inizio di stagione non fu esaltante ma dopo aver carburato e dopo aver capito i meccanismi di gioco, la squadra iniziò a girare bene inanellando una serie di 32 vittorie in 45 gare. Il record non fu sufficiente per aggiudicarsi la Midwest Division; al primo turno di playoff la griglia li vedeva impegnati contro gli stessi Suns che solo un anno prima avevano interrotto la loro corsa al titolo. In questa occasione i Jazz ebbero la loro rivincita eliminando agevolmente i Suns per poi, tuttavia, essere sconfitti dai Portland Trail Blazers di Clyde Drexler nel secondo turno.

Nel ’91/’92 la squadra di Salt Lake City disputò una straordinaria stagione riuscendo ad aggiudicarsi la Division, sospinti dal pubblico del Delta Center che proprio in quest’annata sostituì il Salt Palace. La squadra era stata ulteriormente rinforzata e quando la regular season si concluse i risultati non mancarono. Clippers e SuperSonics furono spazzati via senza troppi problemi e per la prima volta nella loro storia i Jazz si trovarono a disputare una finale di Conference. L’avversario era lo stesso che li eliminò l’anno precedente, ancora i Blazers. L’esito fu anche questa volta nefasto e l’Aliante sorvolò l’ostacolo Utah, per poi schiantarsi nella finalissima contro i Bulls di Jordan.

Il ’92/’93 fu un’annata scarna per i Jazz che ottennero un record ben inferiore rispetto alle stagioni precedenti nonostante la vittoria a pari merito di MVP dell’All Star Game per Stockton e Malone, ai playoff si arresero già al primo turno contro Seattle.

Ben altra storia ci riserva il ’93/’94, in questo caso Utah sembra veramente una delle principali pretendenti al Larry O’Brien data l’ottima stagione regolare disputata, grazie anche al buon impatto del nuovo acquisto Jeff Hornacek arrivato da Philadelphia in cambio di Jeff Malone. In postseason i Jazz si imposero prima sugli Spurs dell’ammiraglio e poi sui Nuggets, approdando ancora alla finale di conference. In questa occasione gli avversari saranno i Rockets, la serie dura appena 5 partite. Troppo forte Houston, squadra compatta e con giocatori di livello assoluto come Cassell, Olajuwon e Horry, il ’94 è il loro anno e dopo aver spazzato via i Jazz si aggiudicheranno il loro primo titolo contro i Knicks in una spettacolare serie conclusasi solo a gara 7.

Passa un’altra stagione, la squadra di Salt Lake City aumenta di profondità e sulla carta è tra le favorite ma, nonostante il record di 60-22, la sorte regala al primo turno i Rockets campioni in carica che anche questa volta si impongono facendo finire anzitempo la stagione di Malone e soci.

Nel ’95/’96 i Jazz riescono a prendere al draft Greg Ostertag con la 28esima chiamata. Il centro proveniente da Kansas darà subito il suo contributo. Utah arriva ai playoff con il terzo record ad ovest e dopo aver battuto Portland riesce ad imporsi per 4-2 contro gli Spurs. Terza finale di conference, ma anche questa volta nulla da fare. In sette partite hanno la meglio i Sonics di Payton e Kemp.

Feriti dall’ennesima occasione buttata i Jazz diedero prova di grande forza e tenacia nel ’96/’97. Guidati da Karl Malone, che ottenne il titolo di Mvp, a fine stagione il record fu il migliore di sempre per la franchigia, 64-18. Ai playoff sfidarono prima le due squadre di Los Angeles, imponendosi nettamente su entrambe e raggiungendo ancora una volta la finale di Conference che in questo caso vinsero 4-2,contro gli stessi Rockets che pochi anni prima erano diventati il loro incubo peggiore. Prima finale NBA, difronte i Bulls di Jordan, le prime quattro partite seguirono il fattore campo e la serie si fissò sul 2-2, ma in una combattutissima gara 5 Utah dovette arrendersi, davanti al pubblico amico, 90-88. A Chicago per gara 6 i Jazz misero in campo tutte le energie rimaste in un disperato tentativo di prolungare la serie, tentativo vano, nel finale punto a punto si imposero i Bulls.

Nel ’97/’98 Utah chiuse ancora con il miglior record nella West Conference , 60-22, e dopo aver sconfitto Rockets e Spurs nei primi due torni di postseason si trovarono a fronteggiare i Lakers di Kobe e Shaq. Nonostante il perentorio 4-0 con cui i Jazz si imposero la serie fu molto equilibrata e quasi tutte le partite decise sul filo del rasoio. Giunto in finale i rivali erano gli stessi della stagione precedente, ancora i tori, ancora Jordan e ancora gli incubi di sempre. L’incapacità di vincere della franchigia di Salt Lake City unita allo strapotere di MJ e dei Bulls fu fatale. Sotto 3-1 Utah riuscì a riaprire la serie espugnando lo United Center vincendo di due lunghezze. 14 Giugno, Delta Center mancano una trentina di secondi alla fine, Utah ha la palla in mano e conduce 86-85 su Chicago. Stockton palleggia, i secondi passano 29, 28, 27, 26, 25, 24, 23, 22, ne mancano 9 alla sirena dei 24, il play decide di servire il fido Malone in post basso ma Jordan arriva da dietro e gli scippa il pallone. 21, 20, ripartono i Bulls, palla incollata nelle mani di MJ che supera la metà campo, 19, 18, 17, 16, 15, 14, tutti sanno che tirerà lui. Michael si isola e prosegue a palleggiare, 13, 12, 11, vuole vincerla e sa che è tutto perfetto, è il suo momento, lo è sempre stato, vuole decidere lui del sul sesto anello e non vuole aspettare una gara in più. 10, 9, 8 Jordan attacca, 7, 6, step back, tiro, retina che si muove. Mancano 5 secondi e spiccioli per i Jazz ma è tutto già chiuso, la conclusione del libro è scritta, seconda finale consecutiva persa, ancora 4-2, a Utah rimarrà la magra consolazione di aver perso con il migliore.

I sogni di gloria di Salt Lake City finirono quel giorno, l’ossatura della squadra era troppo vecchia per poter sperare di tornare ancora a giocare una finale. Nella stagione 1999, ridotta dal lockout, Malone vinse il titolo di MVP per la seconda volta ma i Jazz vennero sconfitti da Portland al secondo turno di playoff, il copione dell’anno successivi fu lo stesso, ancora Trail Blazers al secondo turno, ancora eliminazione.

Utah non c’era più, troppe sconfitte, troppe speranze andate in fumo, nel 2000/2001 avanti 2-0 con i Mavs riuscirono a perdere la serie 3-2.

La storia dei Jazz è un copione che si ripete così dopo i Mavs furono per due anni consecutivi i Kings ad eliminare Utah al primo turno. Proprio al termine dei playoff del 2003 Salt Lake City vide la squadra sfaldarsi, prima il ritiro di Stockton e poi Malone ai Lakers.

Ora bisognava costruire. Dopo anni bui si giunse al 2006 quando un Deron Williams al suo secondo anno in NBA trascinò la franchigia fino alla finale di conference. Ma si sa ci sono squadre che hanno la vittoria nel DNA, Lakers e Celtics su tutte, e squadre che devono accontentarsi degli avanzi. L’insuccesso è parte integrante della franchigia dello Utah e anche in questo caso vennero sconfitti 4-1 ad opera degli Spurs targati Parker, Ginobili e Duncan.

Nelle tre stagioni successive Utah dovette sempre arrendersi ai playoff dinanzi a Kobe e ai suoi.

Arriviamo dunque al recente passato e al presente. Nel 2010/2011 dopo aver ceduto la stella Deron Williams i Jazz non centrarono nemmeno i playoff, mentre la passata stagione dopo una discreta annata Utah ha agganciato la postseason salvo poi essere annientata 4-0 dallo strapotere degli Spurs.

Oggi Utah occupa l’ottava piazza ad Ovest e deve cercare di difenderla dal nemico giurato degli ultimi anni: i Lakers. Non è lecito sapere quale delle due franchigie otterrà il lasciapassare per la postseason, tuttavia penso che in molti preferiscano vedere un Kobe affamato e in cerca di un altro anello piuttosto che una squadra perdente per natura. In molti considerano i Clippers come perdenti per antonomasia ma la mia personale opinione è che il vero perdente è chi ha le potenzialità per vincere ma non riesce a farlo.

Questa è dunque la storia tragicomica degli Utah Jazz, franchigia spesso ignorata o poco considerata ma che raramente ha mancato l’appuntamento con il basket che conta, quello di Maggio/Giugno, salvo poi non portare mai infondo l’opera. Concludi spezzando una piccola lancia a favore dei mormoni che hanno avuto l’incredibile sfortuna di avere come avversario un certo Michael Jeffrey Jordan.

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