Categorie: Editoriali NBA

Regular Season NBA, sempre più bello il campionato a stelle e “strisce”!

Ore 3.40 circa, occhio ormai più chiuso che aperto dal sonno che inevitabilmente a quell’ora chiede il conto e pretende che tu spenga quel dannato pc e vada a dormire. Ma Chicago Miami è partita vera, gli Heat mai come in quel momento sembrano arrivati al capolinea di un’esaltante carrellata di vittorie. Lebron si butta dentro e Taj Gibson abbatte la mannaia sulle poderose spalle del dominatore assoluto della Lega. Dopo il replay gli arbitri decidono di non fischiare un Flagrant Foul ed uno James nervoso fa 1 su 2, per un -8 che a 4 minuti dalla fine ci consegnava una partita tutt’altro che finita. Quando si va dall’altra parte “The King” si accoppia con Hinrich (sisi, lo so che è il playmaker, ma lui può.. LUI se vuole PUO’!) il quale cerca di giocare l’ennesimo pick and roll centrale della partita. E lì che succede quello che non ti aspetti. L’intoccabile Lebron, l’inarrivabile, il freddo killer delle ultime settimane, perde la testa e carica a testa bassa un Boozer che si becca una randellata non da poco. Flagrant di tipo uno per il numero 6 di Miami e partita adesso sì sostanzialmente finita.

27 vittorie consecutive resteranno per molto molto tempo nella storia del gioco, come verrà ricordata l’eroica “armata Thibodeau” che rimaneggiata e con una rotazione ridotta all’osso è riuscita ad interrompere una cavalcata molto affascinante perché prossima al record ogni epoca dei Lakers del 71/72, ma davvero poco altro. Dico questo perchè gli Heat sostanzialmente ad Est hanno fatto il vuoto ed anche se adesso iniziassero a perderle tutte si ritroverebbero comunque come testa di serie n.1 ai nastri di partenza dei Playoff. Certo, bisogna buttare anche un occhio al Texas perchè in caso di eventuale Finals con i neroargento sarebbe molto comodo giocare il meno possibile all’AT&T Center, fortino inespugnabile dei sorprendenti Spurs di questa stagione.

Ed è proprio la squadra di coach Popp ha assestato un bel colpo nella notte a quella che nelle ultime settimane aveva assunto i contorni della più “imprevedibile” avversaria ad Ovest, quei Denver Nuggets del nostro Gallo mai domi e sconfitti soltanto di un punto in un 100-99 molto piacevole. Anche i Nuggets erano appena “usciti” da una striscia di vittorie lunga 15 match che aveva aperto il dibattito sull’idoneità o meno di questa “squadra senza stelle” a poter interpretare il ruolo di contender per il titolo.

A questo proposito ho letto un favoloso commento di Bob Mahoney, giornalista per SI.com, che, rievocando addirittura analisi statistiche del 2006, “condanna” i Nuggets perchè non posseggono le doti che più ricorrentemente le squadra da titolo hanno manifestato. Secondo questo studio, il 92% delle squadra vincitrici hanno avuto in quintetto almeno un giocatore che negli ultimi 3 anni era stato selezionato per l’NBA 1st Team Selection, cosa di cui Denver non dispone all’interno del roster.

Può questo diventare una fattore determinante per l’essere considerata una squadra non in grado di competere quando l’aria ai Playoff diventa rarefatta (e non soltanto perchè si gioca ai 1700 metri d’altezza di Denver)? Secondo me (purtroppo) si e non lo dico a causa della sconfitta della scorsa notte, anzi. I Nuggets stanno riuscendo ad imporre un gioco fatto di ritmo offensivo, tiri aperti e soprattutto continui attacchi al ferro che la rendono di gran lunga la squadra che prende più tiri nell’ultimo metro di campo. Milwaukee, seconda della Lega, prende poco più di 30 tiri nei pressi del ferro. Denver ne tenta quasi 43, un’enormità rispetto al resto delle squadre.

Tutto questo però in una logica Playoff diventa molto più difficile da mettere in pratica. Affidare il proprio gioco a scorribande e penetrazioni che nascono nella maggior parte dei casi dalla capacità del singolo diventa complesso quando nella post season battere dal palleggio un avversario è impresa ardua per davvero. Se a questo si aggiunge l’assenza di una Star di valore assoluto, riuscire in una serie giocata alle 7 partite ad imporsi in trasferta (cosa che il record e la posizione in griglia renderà necessaria già da un eventuale secondo turno) sarà a mio avviso molto difficile, come d’altro canto sarà dura per chiunque andare a vincere in Colorado.

Se posso permettermi un paragone tra le due squadre sconfitte nella notte e richiamare il titolo dell’articolo, i Nuggets sembrano a mio avviso non rispondere ai due requisiti “necessari” in Regular Season per dimostrare di essere pronti ad affrontare i Playoff da protagonisti. Da questo nasce il mio parallelo con la bandiera statunitense perchè Denver ha sì dimostrato di essere in grado di mettere a segno un’importante striscia di vittorie, ma allo stesso tempo la carenza di stelle non le permette di fare il definitivo salto di qualità (da amante del gioco di Karl e del Gallo spero tanto di sbagliarmi!).

Dall’altro lato Lebron e soci non sembrano più imbattibili e soprattutto, da quando The King ha trasferito la sua residenza a South Beach ha un record di 7-8 contro i Bulls che, se riuscissero a recuperare tutti i pezzi (non mi avventuro nella vicenda Rose, troppo complessa da trattare), si candidano come una delle poche franchigie in grado di poter quantomeno provare ad arginare la corsa dei Big Three. La notte porterà consiglio per Spoestra e tutti i Miami Heat che avranno molto su cui riflettere in queste ultime 3 settimane di Regular Season e, mai come in NBA, questo motto sembra essere davvero pertinente.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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