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Playoff Preview: Bulls e Nets inaugurano la postseason al Barclays Center

La serie di playoff tra Brooklyn Nets e Chicago Bulls è sicuramente una delle più incerte di questa postseason 2013, ma che al contempo potrà fregiarsi di un primato “storico”: infatti questa sfida consegnerà agli annali la prima serie giocata dai Nets in quel di Brooklyn a seguito del trasferimento estivo dal New Jersey che ha interessato la franchigia in questione. Nel contempo la serie consentirà ai tifosi delle retine di ritrovare la propria squadra in postseason a distanza di 6 anni dall’ultima apparizione datata 2007, quando nel roster dei Nets c’era gente del calibro di Jason Kidd, Vince Carter e Richard Jefferson. Negli ultimi 6 anni gli ex New Jersey Nets avevano collezionato solo delusioni su delusioni (culminate nella disastrosa stagione 2009-2010 da 12 vittorie e 70 sconfitte, successive alle cessioni dei tre giocatori sopracitati), salvo poi lentamente (molto lentamente a dir la verità) risalire grazie a una nuova proprietà , quella del russo Mikhail Prokhorov, desideroso di portare lustro alla franchigia e di riportarla ai fasti dei primi anni 2000, quando nel 2002 e nel 2003 i Nets centrarono ben due finali NBA consecutive (per le quali Jason Kidd è in attesa di beatificazione nel New Jersey!).

Ma lungi dalle divagazioni storiche, proviamo ad analizzare sinteticamente i caratteri principali delle due franchigie contrapposte in questa serie, entrambe interessate quest’anno da una stagione turbolenta, fatta di costanti alti e bassi, dovuti tanto a fattori tecnici quanto anche a elementi che con il parquet non hanno diretta attinenza.

Con l’intenzione di proseguire il discorso a proposito delle retine, facciamo un po’ il punto della situazione dalle parti di Brooklyn. La squadra di Jay-Z ha fatto registrare quest’anno un record di 49 vittorie e 33 sconfitte (59,8% vittorie) passando sotto le mani di due allenatori diversi, ma in un certo senso simili tra loro: Avery Johnson, esonerato il 27 dicembre dopo un serie disastrosa da 3 vittorie e 10 sconfitte, successive all’ottimo avvio da 11-4 , e P.J. Carlesimo, vice di Johnson, che ha “traghettato” la squadra nelle acque (non particolarmente) impervie della Eastern Conference, dimostrando infine, nella bagarre di nomi fatti per la panchina dei Nets (tra i quali anche coach Zen, Phil Jackson), di poter essere più che un misero ripiego per il ruolo di coach e di potere tranquillamente ambire a calzare il “vestito” da capo allenatore per il resto della stagione.

La regular season ha tuttavia dimostrato i limiti di una squadra che ha alternato delle buone prestazioni ad altre nelle quali la svogliatezza dei singoli e la tensione di un ambiente, che soprattutto ad inizio stagione, non è mai stato del tutto sereno (anche perché attesi ad una stagione da protagonisti dopo le difficili annata precedente) e che è stato frustrato nella prima parte della stagioni dal rapporto non facile tra Deron Williams, che di questa squadra è la stella (sulla carta) e il leader designato, e Avery Johnson, culminato poi nel licenziamento dell’allenatore in questione, che nell’ambiente NBA è noto con il soprannome “Il piccolo generale”, indice di un carattere non proprio accomodante, che trovava ampio sfogo nelle plateali urla che coach Johnson indirizzava ai suoi durante le partite; tanto che, per citare Federico Buffa, P.J.Carlesimo, anche lui con una reputazione acclarata di urlatore, “in confronto a Avery Johnson, è l’uomo che sussurrava ai cavalli”. Ma proprio D-Will è stato uno dei fattori chiave della non esaltante stagione dei Nets: la PG delle retine è ormai da un paio di anni interessato da un fenomeno di spaventosa involuzione cestistica che lo ha portato a perdere molte posizioni nell’ideale ranking delle point guard della lega, sicuramente non aiutato dal basso livello della franchigia negli anni passati. I 18,9 punti di quest’anno, cui fanno il paio 7,7 assist, sono cifre che, pur essendo alterate dalla presenza nel backcourt di un altro membro di pregio quale può essere Joe Johnson, non raccontano fino in fondo i problemi di un Williams che in questa stagione ha denunciato problemi di fiducia nei propri mezzi e dato segni di insicurezza all’atto pratico, e che meglio si adatterebbero a giocatore normale e non uno con il talento (e il contratto) del no.8 dei Nets . Accanto a Williams, va annoverata anche la disastrosa stagione di Gerald Wallace, reduce dalla peggiore stagione in carriera, dove ha fatto segnare 7,7 punti di media (con il 39,7% dal campo) e 4,6 rimbalzi in 30,1 minuti di impiego a partita, cifre che accompagnate a prestazioni svogliate e clamorosi errori in partita, non possono rasserenare i Nets sullo stato di quello che dovrebbe essere il loro miglior difensore ora che la stagione entra nella sua fase più calda.

A fronte dei deludenti Williams e Wallace, va evidenziata l’ottima stagione di Brook Lopez, che ha concluso come leader per punti (19,4 con il 52,1% dal campo) e stoppate (2,08) della franchigia, stagione peraltro consacrata dalla prima convocazione all’All-Star Game per il centro no.11 dei Nets. Va infatti notato il netto miglioramento sotto tutti i profili statistici rispetto alle ultime 3 stagioni (l’ultima delle quali non andrebbe considerata visto che il nostro è stato fermo per tutta la stagione, giocando solo 5 partite), anche per quanto riguarda il gioco a rimbalzo, da sempre uno dei punti deboli di Lopez, che ha scarsa propensione al gioco sotto le plance: i 6,9 rimbalzi a partita sono sicuramente un dato migliorabile, ma che va comunque soppesato alla luce della contemporanea presenza nella frontline dei Nets di una calamita per rimbalzi come Reggie Evans (leader in questa voce statistica per i Nets con 11,1 a partita carambole a partita): la presenza di Evans toglie pressione a rimbalzo a Lopez, che così può dedicarsi alla fase offensiva, da lui sicuramente preferita.

Riassumendo, la stagione che ha condotto i Nets ai playoff è stata una stagione normale tutto sommato: sicuramente non eccelsa, visto comunque che Brooklyn risulta solo 17esima nella lega per punti segnati con 96,9 a partita, dato di per sé non eccezionale che è probabile possa subire un’ulteriore decurtazione trovandosi di fronte la coriacea difesa dei Bulls che a partita concedono soltanto 92,9 punti agli avversari (terzi in questa particolare classifica dietro Memphis e Indiana). Anche alla voce assist i Nets non meritano particolari menzioni, posto che con 20,3 assistenze di squadra a partita risultano solo 27esimi nella lega. A livello statistico sono invece da evidenziare i 95,1 punti che la difesa concede a partita, statistica che li qualifica settimi in tutta la lega che fa il paio con i 42,8 rimbalzi di media catturati, cifra che li colloca al decimo posto nella lega. Queste voci statistiche dunque ci danno l’idea di un squadra assolutamente normale, senza eccellenze e con qualche difetto ancora da limare e, proprio per questo, difficilmente decifrabile in chiave playoff, vista anche la scarsa esperienza in postseason di alcuni membri della squadra (Brook Lopez su tutti), che saranno chiamati ad un apporto determinante e dovranno dimostrare di sapere reggere alla pressione.

Veniamo ora a Chicago. I Bulls sono sicuramente più facili da inquadrare rispetto ai Nets per tante ragioni, tra le quali ne spiccano due in particolare: la prima è che una squadra che si basa su un nucleo ormai consolidato di giocatori, al quale di anno in anno vanno aggiunti alcuni tasselli per aumentare la profondità di un roster abituato a contare sull’apporto della propria panchina (il cui uso da parte di coach Thibodeau non è per nulla inflazionato); e la seconda è la maggiore esperienza playoff di una squadra abituata alla postseason e allo stress che questa comporta. I Bulls infatti dall’inizio dell’era Rose non hanno mai mancato i playoff, uscendo nel 2009 e 2010 al primo turno (rispettivamente contro Boston Celtics e Cleveland Cavaliers), raggiungendo la finale di conference nel 2011 (serie persa 4-1 contro i primi Miami Heat) e uscendo l’anno scorso al primo turno contro Philadelphia, in una serie fortemente condizionata dall’infortunio di Derrick Rose in gara-1 a 1 minuto dalla fine della partita (probabilmente un incubo che tiene ancora Thibodeau sveglio di notte a distanza di un anno).

Quest’anno la stagione dei Bulls non è stata esaltante: il record dei Bulls recita solo 45 vittorie e 37 sconfitte, con un record casalingo di 21-20 che sicuramente non fa onore alla franchigia della Windy City, colpevole di non avere saputo sfruttare il fattore campo al pari delle due passate stagioni nelle quali i Bulls, hanno fatto registrare rispettivamente 36-5 e 26-7 , ottenendo in entrambi i casi il miglior record della lega (62-20 nel 2011 e 50-16 nel 2012). Dato significativo che evidenzia sicuramente una certa flessione dei Bulls che può essere dovuta a vari fattori. Il primo è stato il costante accompagnarsi di infortuni a membri fondamentali della squadra, Noah in primis, che non hanno consentito alla squadra di mantenere un ritmo costante e di esprimersi al meglio dal punto di vista fisico.  Il secondo è stato il cambiamento di buona parte del roster: infatti se, come detto prima, il roster dei Bulls si fonda su un nucleo già formato, quest’anno la cessione di Korver, Brewer e C.J.Watson ha comportato uno stravolgimento nel roster che ha portato all’acquisizione di Belinelli, Nate Robinson, Hinrich e i due veterani Nazr Mohammed e Radmanovic.  Si è reso dunque necessario al coach capire come ruotare i nuovi elementi del roster che si andavano a unire ai superstiti Taj Gibson e Jimmy Butler . Il terzo fattore, anche se si tratta forse più di un alibi, è l’infortunio di Rose e il caos mediatico intorno al suo rientro o non rientro. Più volte durante la stagione si è vociferato circa il ritorno della stella dei Bulls, e tutte le volte questo queste voci si sono risolte in un’ulteriore complicazione della situazione attuale di Rose, che vive avendo sulle spalle le pressioni di un’intera città. Alla luce delle enormi aspettative sul suo ritorno, è innegabile che forse abbia fatto la giusta scelta a volere saltare totalmente la stagione per tornare (si spera) completamente ristabilito l’anno prossimo, quando in condizioni fisiche ottimali potrà reggere meglio le aspettative di titolo che i tifosi dei Bulls coltivano ansiosamente sin dall’approdo ai tori della PG di Chicago.

In una stagione probabilmente di transizione, i Bulls hanno comunque mostrato di poter competere con chiunque a dispetto delle assenze che quasi sempre hanno segnato le loro uscite, riuscendo a porre fine ben due strisce, quella dei Miami Heat, arrivata a 27 vittorie di fila, prima di terminare allo United Center, e più recentemente quella dei New York Knicks arrivata a 13 vittorie prima di essere fermata dai tori in versione “Streakbusters”. La chiave di questi successi va ricercata nella tanto decantata difesa di coach Thibodeau che riesce anche in difetto di uomini importanti come Noah, a reggere anche contro squadre offensivamente devastanti (ricordiamo, come detto prima che i tori concedono solo 92,9 punti a partita), e a coprire quel deficit in attacco (quest’anno di proporzioni più preoccupanti) ampiamente rispecchiato nei soli 93,2 punti che i Bulls producono a partita e che li classifica al 29esimo posto nella lega. Eccettuato questo dato, i 23 assist di squadra e i 43,2 rimbalzi consentono ai Bulls di rimanere ai vertici della lega, pur senza eccellere.

Per completare l’analisi su Chicago va menzionata l’ottima stagione di Jimmy Butler, giocatore al secondo anno della lega, che nel momento di massima difficoltà dei Bulls, falcidiati dagli infortuni si è fatto avanti con prestazioni notevoli, contrassegnate da grande energia e atletismo, a cui sposa delle capacità difensive di sicuro affidamento, e una fase offensiva, ancora da costruire in buona parte: termina la stagione 8,6 punti di media e 4,0 rimbalzi in 26 minuti di impiego giocando tutte e 82 le partite (con 20 presenze in quintetto). Altresì meritevoli di menzione sono rispettivamente Marco Belinelli e Nate Robinson, entrambi notevoli nel proprio apporto alla causa: l’italiano è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante, conquistandosi anche un posto in quintetto pienamente giustificato da giocate e canestri determinanti, spesso foriere di vittorie per la sua squadra; Robinson invece, con la sua imprevedibilità è riuscito, offensivamente parlando, a dimostrarsi il fattore X di un attacco deficitario e ristagnante, che troppo spesso ha bisogno di essere tolto dalle secche da qualcuno con il coraggio di prendere dei tiri, spesso anche impensabili; poiché quello di Nate non è coraggio, ma più incoscienza, a volte il talento dei Bulls può essere controproducente. Proprio per questo Robinson può essere per Chicago l’ago della bilancia della serie contro i Nets : se riuscirà a fornire un apporto senza esagerare nella leggerezza con cui prende i suoi tiri, darà senza dubbio un contributo importante alla propria squadra; diversamente i Bulls avranno parecchi errori a cui rimediare!

Tuttavia il giocatore su cui i Bulls faranno sicuro affidamento in questa serie di playoff, ancorchè in precario stato fisico, sarà Joakim Noah, reduce dalla stagione che lo ha consacrato come uno dei migliori centri della lega (sicuramente uno dei primi 3 difensori tra i lunghi), e in cui è diventato sempre più il leader carismatico di questa squadra.

E proprio il duello tra il giocatore francese e Brook Lopez potrebbe essere il più interessante della serie, dopo che comunque in tutti e 4 i confronti stagionali, il centro dei Nets ha sempre trovato in Noah un avversario piuttosto duro da superare, venendo comunque contenuto nelle 4 gare tra le due squadre, gare che hanno sempre visto i Bulls vittoriosi a danno della franchigia di Brooklyn.

Con precedenti stagionali simili il risultato potrebbe sembrare scontato: tuttavia dare per vinti i Nets potrebbe essere un grave errore, vista comunque la carica e gli stimoli che un stagione nuovamente vittoriosa può avere provocato nei giocatori in bianco e nero; e alla quale va aggiunto il tifo agguerrito di un palazzetto che non vuole vedere la propria squadra soccombere al tanto ritorno in postseason. Ma i Bulls sono all’erta e pronti a sfruttare ogni errore di Brooklyn: del resto, come Miami e New York hanno avuto modo di capire, il miglior attacco è la difesa e su questo mantra Chicago ha fondato ogni sua vittoria da due anni a questa parte.

Gli elementi per una serie spumeggiante ci sono tutti dunque: ora sta alle due squadre stupirci e divertirci sul palcoscenico più bello e più atteso dell’anno, quello dove grandi squadre passano alla storia e grandi campioni vengono alla ribalta: benvenuti ai playoff!

P.S. Per chi fosse intenzionato a seguire questa serie, ecco a voi il calendario

GARA-1 CHI@BKL Domenica 21 Aprile ore 2.00

GARA-2 CHI@BKL Martedì 23 Aprile ore 2.00

GARA-3 BKL@CHI Venerdì 26 Aprile ore 2.30

GARA-4 BKL@CHI Sabato 27 Aprile ore 20.00

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