Categorie: Editoriali NBA

Think Big in Tennessee

 

Il basket del ventunesimo secolo interpretato alla vecchia maniera. I Memphis Grizzlies escono vincenti dal primo turno di Play-off contro i Clippers, cadono al sussulto finale di Capitan America KD in gara-1 di secondo turno e sbancano la Chesapeake Arena in gara-2. Vincono con l’esecuzione aderente allo spartito, con il valore dei propri interpreti, con i meccanismi di un gruppo dalla chimica solida, ma vincono soprattutto con un’identità ed un’idea di gioco precisa: giocare sui propri lunghi

Marc e Zach, centri di gravità di tutta la struttura di gioco che modella ritmo, distribuzione di tiri e difesa sulla base della presenza dei due imprescindibili big men, non solo in grado di coesistere sullo stesso parquet, ma capaci di essere base ed anima del progetto dei Grizzlies. Caso unico nel panorama del basket a stelle e strisce, se si escludono i Lakers del tandem, disfunzionale per demeriti propri e terzi, composto da Howard e dal maggiore dei fratelli Gasol, Memphis vive della presenza simultanea di due lunghi d’area.

Niente Stretch Four, niente campo aperto, niente power forwards dirottate al ruolo di centro, come previsto dalla ricetta d’antoniana che ha fatto- e fa ancora- la fortuna di diverse compagini, compresi campioni in carica di South Beach. Il quintetto base è oggi composto come segue, con relative statistiche nei minuti giocati in contemporanea in campo nell’arco della partita.

Molto più somiglianti ad una squadra degli anni ’90, I Grizzlies ricercano e capitalizzano situazioni di Post Offense, attacchi che coinvolgono due giocatori di post, strategie ormai disperse al punto da apparire desuete nel basket contemporaneo d’oltreoceano, sfruttando spaziature e movimenti assimilabili alla Princeton alla perfezione e cavalcando la polivalenza di Gasol, in grado di capitalizzare al meglio le ricezioni profonde grazie a doti tecniche che pochi lunghi possiedono, controllo del corpo da centro puro e capacità di lettura sia in fase di post basso sia in fase di post alto, in cui fronteggia spesso il canestro e richiama l’attenzione grazie al buon piazzato dalla lunetta che obbliga la difesa a rispettarlo e apre l’area al migliore (opinione faziosa) giocatore di post della lega. Perché questo è Zach Randolph, devastante per velocità di piedi, potenza e tocco, nel più classico (e tondeggiante) dei corpaccioni d’area NBA, in una combinazione difficilmente rintracciabili in altri indirizzi. Tutto l’impianto di gioco di Memphis è basato sulla chimica tra i due lunghi e sulle loro abilità peculiari, che rendono possibile una suddivisione di ruoli che valorizza i comprimari perimetrali, a partire dall’ottimo Conley, terza chiave dei successi nel Tennessee, ma anche passando da Allen, Prince e le guardie dinamiche un uscita dalla panchina, con persino Bayless, dall’anno da rookie sempre nel limbo tra talento e a trovare una collocazione tattica ideale e ad incidere. Le caratteristiche dell’attacco dei Grizzlies si riflettono sulla Shooting Chart della regular season di Memphis.

Le zone dipinte in azzurro indicano gli spot chiave dell’attacco, aree in cui Memphis segna di più rispetto alla media dell’intera lega. In grigio invece in cui il dato è simile ai valori medi NBA. Non si tratta di percentuali che esprimono il rapporto tra tiri tentati e canestri realizzati, ma di dati finalizzati a scomporre il fatturato di punti realizzati in stagione tra le diverse aree del campo.

I Grizzlies producono la maggior parte della propria mole di gioco all’interno dell’arco dei 7 metri e 23, finalizzando ben il 45,5% dei propri punti in the paint, nel cuore della difesa, l’area dei 3 secondi. A ciò si aggiunge il quasi 17% di tiri rispetto al totale realizzati tra le tacche o in situazioni di post alto. Discende proprio dalla pericolosità dalle tacche la più alta percentuale di corner three, triple dall’angolo, che i Grizzlies mandano a bersaglio, essendo il tiro piedi a terra dall’angolo una delle soluzioni più semplici nel caso di raddoppi in situazioni di post.

Il mid-range game, arte rara nella NBA di oggi è più sviluppato all’altezza dei gomiti dell’area, dove i Grizz realizzano oltre il 15% dei propri canestri. Il tiro da tre punti frontale è tendenzialmente al di sotto degli standard della lega. Si tratta di una distribuzione di tiri ben diversa da quella che caratterizza le squadre odierne ed in particolare quelle con concrete ambizioni di vittoria. Basti confrontarsi con la Shooting Chart di Oklahoma City, campione in carica della Western Conference e riassuntiva del trend maggioritario di allargare il campo per poter attaccare l’area con i propri esterni e giocare situazioni di penetra e scarica per i tiratori da tre.

Poco gioco sulle tacche e moltissimo tiro da tre, con mid range game relativo alle situazioni di pick and roll e palleggio arresto e tiro delle due superstar Durant e Westbrook. Unico, apparente, punto di contatto tra le due Shooting Chart è l’importanza dei canestri in area per l’economia di entrambi gli attacchi. Ma proprio da questa apparente somiglianza nasce la differenza chiave per spiegare tutte le diametrali distanze dei due attacchi. I Thunder, in linea con la pallacanestro odierna, attaccano il canestro da fuori area, sfruttando situazioni di uno contro uno e giochi a due frontali rispetto al canestro. Perno del gioco sono gli esterni, i piccoli (per quanto in appropriato sia il termine nella fattispecie dei Thunder e di Kevin Durant)

I Grizzlies agiscono al contrario ed attaccano l’area partendo da più vicino possibile e spesso spalle a canestro. I giocatori interni giocano il ruolo fondamentale e da questa sostanziale opposizione di visioni di gioco nascono tutte le situazioni tattiche caratteristiche appena evidenziate delle due squadre e che separano gli anomali Grizzlies dall’intero panorama NBA. Loro giocano la palla dentro, ed attorno a questa priorità sviluppano la propria struttura offensiva e distribuzione di tiri. E il gioco, la cultura controcorrente rispetto al momento storico della squadra di Hollins funziona come meglio non potrebbe, anche, e forse ancor meglio, dopo la cessione del talento strapagato di Rudy Gay a Toronto.

Think big, win big in Tennessee

 

Emiliano Tolusso

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Pietro Caddeo

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