Categorie: Hall of Famer

Tanti auguri Verme!

Lunatico, spigoloso, folle, tenace. Eccentrico, eccessivo, stravagante, vincente. Tutti questi aggettivi, e molti altri, vengono riassunti da un nome ed un cognome: Dennis Rodman. Esattamente il 13 maggio di 52 anni fa nasceva nel New Jersey uno dei più grandi rimbalzisti nella storia della Lega, un personaggio a tutto tondo che, sino alle scorse settimane, ha sempre fatto capolino all’interno delle notizie di cronaca.

L’infanzia del Verme non fu delle più felici, come è successo a parecchi giocatori NBA. Il padre, veterano del Vietnam, abbandonò la famiglia, lasciando Dennis a versare in condizioni di povertà in uno dei quartieri peggiori di Dallas. Le sorelle, ironia del destino, erano più dotate tecnicamente del fratello, costretto in un primo momento ad abbandonare il basket per dedicarsi ad altri lavori. Solo in un secondo momento, anche grazie ad una repentina crescita fisica, Rodman tornò a concentrarsi sulla pallacanestro, riuscendo ad avere una chance al Cooke County College, sempre nel Texas.

Nel 1983 Dennis si trasferì alla Southeastern Oklahoma State University, un college appartenente alla Naia e quindi non di primissimo piano. Con la maglia dei Savages il giocatore si segnalò per la ferocia con cui andava a rimbalzo. Non a caso, le medie nei suoi 3 anni universitari parlano, rispettivamente, di 13,1, 15,9 e 17,8 palloni catturati sotto le plance. Contrariamente a quanto sarebbe accaduto negli anni venturi, il giovane Rodman era un fattore in attacco con almeno 24 punti di media segnati a stagione. Questi numeri gli permisero una chiamata al Portsmouth Invitational Tournament, uno dei più famosi camp pre-Draft per giocatori desiderosi di mettersi in bella mostra davanti agli occhi di decine e decine di scout NBA. Dennis non si fece pregare e non deluse. Fu nominato MVP della kermesse e convinse i Detroit Pistons a sceglierlo, al secondo giro, con la 27esima chiamata assoluta del Draft 1986. Per quel giovane costretto a vivere in povertà, e che per anni era stato considerato inferiore rispetto alle sorelle, il sogno si era avverato. Avrebbe giocato nella National Basketball Association.

Rodman arrivò in una squadra che stava iniziando a farsi sentire nella Eastern Conference. Il nucleo di quei Pistons, allenati da Chuck Daly, era composto da Isiah Thomas, Joe Dumars, Bill Lambeer ed altri validi giocatori che avevano una cosa in comune, la durezza. Chi non si ricorda la spigolosità, la cattiveria, la ruvidità dei Bad Boys della Detroit di fine anni’80? Il Verme si integrò alla perfezione nel gruppo di una città operaia, che voleva vedere sputare il sangue dai propri giocatori. Con il suo contributo dalla panchina ed una difesa da manuale, Rodman si dimostrò uno dei tasselli mancanti al completamento di una squadra destinata a dominare per anni.

Nella sua stagione da rookie, Dennis The Menace si fece notare anche per comportamenti e dichiarazioni non proprio da consumato diplomatico. In quell’anno i Pistons fecero sudare nella Finale dell’Est le proverbiali sette camicie ai Boston Celtics. I bianco-verdi li sconfissero solo in 7 memorabili partite e grazie al celebre furto di Larry Bird che permise a Dennis Johnson di segnare sulla sirena il canestro della vittoria. Al termine della serie, Rodman, in una conferenza stampa, attaccò il prodotto di French Lick. A suo giudizio, spalleggiato da Thomas, considerò Bird sopravvalutato in quanto bianco. Apriti cielo. In un paese in cui le considerazioni razziali sono da sempre sotto i riflettori, il buon Dennis si ritrovò dentro l’occhio del ciclone, subissato di critiche e insulti. Se il buongiorno si vede dal mattino, era chiaro già nell’estate del 1987 che quel ragazzo avrebbe fatto parlare di sé, dentro e fuori dal campo.

L’impatto di Rodman sui Pistons, come già detto, fu straordinario all’interno della metàcampo difensiva. Oltre a far intravedere le doti di rimbalzista, il giocatore di dimostrò in grado di annullare gli avversari di qualsiasi tipo, dai playmaker ai centri. La stagione 87-88 fu l’unica per Dennis in doppia cifra di punti in carriera. I Pistons compirono un ulteriore step mentale e tecnico, arrivando alle Finals ma perdendole in 7, drammatiche gare contro i Lakers dello Showtime.

Dalle “ceneri” della sconfitta di gara-7, e con l’aggiunta di Aguirre, nacque la squadra che nel biennio successivo dominò l’NBA portandosi a casa 2 titoli. Rodman era il panchinaro di lusso assieme a “The Microwave”, Vinnie Johnson, capace di sfiorare i 10 rimbalzi di media pur partendo raramente in quintetto e con meno di 30 minuti di impiego. Con le Jordan Rules quella squadra fu in grado di limitare l’ascesa dell’irresistibile numero 23 di Chicago, con il Verme spesso in prima fila nella marcatura di Michael. Rodman vinse il premio di Difensore dell’anno nel 1990, l’anno della doppietta, ripetendosi anche nella stagione successiva. A suon di intimidazioni, botte, difesa e fisicità quei Pistons sono passati alla storia come una delle più grandi squadre di sempre.

Lo stile di gioco dei Bad Boys provocò tuttavia un rapido declino di molti giocatori e, di conseguenza, della stessa dinastia della franchigia della Motown. Rodman trovò posto in quintetto base dal 1991, anno dello sweep subito contro i Bulls in Finale di Conference. Dalla stagione seguente il numero 10 fece esplodere la propria ferocia rimbalzo in maniera vigorosa all’interno della Lega. Rodman, infatti, vinse la classifica dei palloni catturati per 7 anni consecutivi dal ’92 al ’98, con un massimo di 18,7 nel 1991-92, numeri degni del miglior Bill Russell. La squadra però si indebolì ulteriormente, mancando l’accesso alla postseason nel 1993. Per Dennis era arrivato il momento di spedire le proprie labbra ad indirizzo nuovo.

Proprio nel mezzo della stagione 1992-93 avvenne un episodio drammatico destinato a cambiare la vita del giocatore. Una sera Rodman si ritrovò nella sua macchina con un fucile, meditando il suicidio. Il proposito fu abbandonato dopo qualche tentennamento. Viceversa, Dennis si ripromise di essere una persona diversa, di passare lo shock del divorzio e di cambiare atteggiamento nei confronti della vita stessa.

La trasformazione più evidente di Rodman avvenne nel look. Ceduto ai San Antonio Spurs, iniziò a radersi i capelli tingendoli, al contempo, di colori variopinti. Inoltre, fecero “capolino” anche i primi piercing, che da allora sono uno dei tratti distintivi del Verme. Di pari passo si intensificarono i comportamenti bizzarri, dentro e fuori dal campo. Nel primo caso con risse, espulsioni e sospensioni che gli costarono soldi e partite perse. Nell’altro caso con il famoso flirt con Madonna, l’incidente in motocicletta che gli fece perdere diverse settimane e tante altre notizie di cronaca. Pur formando una buonissima coppia con David Robinson, gli Spurs delusero in quel biennio, finendo puntualmente eliminati durante i Playoffs.

Nell’estate del 1995 Dennis fu ceduto ai Chicago Bulls, in cerca di rilancio dopo due anni poco fruttiferi. Rodman doveva coprire il posto che era stato precedentemente occupato da Horace Grant, garantendo ai Bulls una grande copertura difensiva ed a rimbalzo. La risposta fu la singola migliore stagione per una squadra, 72 vittorie in regular season ed un alone di invincibilità attorno alla franchigia. Jordan, Pippen e coach Phil Jackson cercavano di limitare le tendenze auto-distruttive del giocatore, spronandolo sul campo a diventare l’anima della difesa di Chicago. Rodman fu anche decisivo nelle Finali del 1996 contro Seattle, che gli valsero il suo terzo anello.

Nella stagione 1996-97, conclusasi con un altro titolo NBA, Dennis fu protagonista di due “prodezze” d’autore. In primis debuttò nel mondo cinematografico, recitando in “Double Team”, classico film di Jean Claude Van Damme, con risultati però alterni. In secondo luogo, durante una partita contro Minnesota, diede un calcio ad un fotografo a bordocampo, dopo essergli finito sopra durante un’azione di gioco. Il gesto gli procurò diverse giornate di squalifica e la censura da tutta America. Limitato da qualche infortunio, Rodman comunque aiutò Chicago a battere gli Utah Jazz nella Finale del 1997.

Nel 1998, l’anno della “Last Dance” dei Bulls, Rodman vinse la sua ultima classifica di miglior rimbalzista. A 36 anni era ancora il perno di una delle migliori difese della Lega, sempre in grado di marcare al meglio il proprio avversario. Epiche furono le battaglie con Karl Malone, che si ripeterono anche nelle Finali del 1998. Bersaglio facile della tifoseria dei mormoni di Salt Lake City, nell’ambiente estremamente ostile del Delta Center, Rodman combatté sino alla morte per limitare il Postino. Insieme agli eroismi di Jordan, la difesa del Verme aiutò Chicago a completare il suo secondo Three-peat. Durante i giorni delle Finals, fece scalpore la presenza di Dennis in alcuni episodi della WWE, con match di wrestling in cui l’antagonista era proprio Malone.

Rodman era ormai un giocatore in parabola discendente. Nei due anni successivi giocò per i Lakers e i Mavericks, venendo però sempre tagliato nonostante il consueto contributo a rimbalzo. Ormai incontrollabile dentro e fuori dal campo, la stagione 1999-00, durata per lui solo 12 gare, rappresentò l’ultima disputata da Dennis Rodman nella NBA.

Dall’inizio del nuovo millennio il Verme ha giocato a basket sporadicamente. Tentò un ritorno nella NBA dalla porta secondaria, militando nei Long Beach Jam della ABA nel 2003-04, rimanendo in questa lega per altre due stagioni. Successivamente ha disputato alcune partite in Gran Bretagna, Filippine e Finlandia. Nel 2011, con un po’ di ritardo, è stato eletto nella Hall of Fame. Col suo consueto look, accompagnato da Phil Jackson, Rodman è scoppiato in lacrime ringraziando la madre e scusandosi con i figli per le sue carenze da padre.

Fuori dal campo i problemi non sono certo mancati. Un matrimonio fallito con Carmen Electra, tanti guai con la legge e l’ammissione della dipendenza dall’alcol. In parecchie occasioni l’ex-stella di Pistons e Bulls è apparsa in trafiletti di giornale nelle sezioni di cronaca nera, con arresti vari per i più svariati motivi, dalla violenza domestica sino alla guida in stato di ebbrezza.

Nel 2013 Rodman è tornato d’attualità con due vere e proprie apparizioni in contesti molto particolari. In primo luogo è andato addirittura in Corea del Nord ad incontrare Kim Jong-un, il dittatore del paese di cui, pare, Dennis fosse l’idolo anni addietro. La sua visita, in qualità di vero e proprio ambasciatore, è avvenuta in un momento di particolare tensione tra i due paesi, con una crescente minaccia nucleare ad incombere. Negli scorsi giorni Rodman ha anche chiesto a Kim Jong-un di rilasciare un prigioniero americano condannato a 15 anni di carcere.

Se eravate a Roma lo scorso marzo ed avete incontrato un omone di colore alto due metri con una faccia fin troppo conosciuta, non vi siete sbagliati. Il vecchio, inimitabile, irraggiungibile “Rodzilla” era accorso al conclave per l’elezione del Papa, per promuovere un sito di scommesse irlandese. Unico.

Sono state, e probabilmente saranno, tante le trasformazioni di Dennis Rodman. Feroce rimbalzista o lottatore di wrestling. Asfissiante difensore o protagonista di film d’azione. Ancora della difesa o vestito da sposa per promuovere la propria biografia. Capace di prendere 34 rimbalzi in una gara e di essere l’unico mediatore tra Stati Uniti e Corea del Nord. Vincitore di 5 titoli NBA e sull’orlo del suicidio. Tutto questo e molto altro è stato, è e sarà Rodman, un personaggio unico in una Lega di personaggi unici. Tanti auguri Verme!

Alessandro Scuto

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Alessandro Scuto

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