Categorie: Editoriali NBA

Gli Spurs surclassano in gara 3 Miami! Merito dell’attacco, del tiro da 3 e della difesa su Lebron!

Asfaltati. Distrutti. Annientati. Se ne sono lette tante di parole utilizzate per definire la disfatta di Miami a fronte della partitissima degli uomini di coach Popovich, dominatori del parquet per 48 minuti. In molti pronosticavano che con l’approdo della serie in Texas gli scenari potessero cambiare, ma dopo il parziale di 33-5 in gara 2 a favore di Lebron e soci di soli 3 giorni fa, sfido chiunque a dire che un divario del genere fosse pronosticabile. 113-77. 36 punti di scarto in una gara delle Finals, terzo disavanzo ogni epoca dopo quello di 42 punti del 1998 targato Bulls e il +39 che Pierce, Allen e Garnett rifilarono ai Lakers nel 2008.

Innegabile che l’elemento di maggiore peso sia stata la fluidità offensiva degli Spurs, in particolar modo la precisione nel tiro da 3.

Gli Heat, ritrovatisi travolti da un bombardamento secondo solo a quello di Pearl Harbor del 1941, non sono riusciti a trovare le adeguate contromisure al rapido ed efficace movimento della palla dei nero argento. La shot chart mostra impietosa come San Antonio sia riuscita a convertire ben 16 canestri con i piedi dietro la linea dei 7,25, record NBA ogni epoca nelle Finals (so che fare una disamina ricca di numero appesantisce il discorso, ma le statistiche della gara sono così “incredibili” da dover essere citate “per forza”). Danny Green, miglior realizzatore con i suoi 27 punti e con il suo 7/9 da 3, raggiunge le 16 triple realizzate, riuscendo in sole 3 partite a superare il record di franchigia di triple segnate da un singolo giocatore in una serie per il titolo. A tutto questo si aggiunge il dato a mio avviso più eclatante di tutti: gli Spurs hanno messo a referto su 43 canestri segnati ben 29 assistenze, così suddivise:

– 17 assist sulle realizzazioni da 2 punti su 27 canestri totali (63%): 34 punti

– 12 assist sulle realizzazioni da 3 punti su 16 canestri totali (75%): 36 punti

Insomma, 70 punti assistiti, frutto della perfetta circolazione, delle spaziature e certamente della vena realizzativa di quelli che alla vigilia non potevano di certo considerarsi i protagonisti più attesi. Gary Neal ad esempio, 24 punti in gara 3, ha superato di molto il suo massimo in carriera nella post season che prima della partita era di soli 14 punti. Decisamente non gli attori principali che tutti si aspettavano.

Deludente. Inceppato. Sopravvalutato. Questi invece alcuni degli aggettivi utilizzati per definire la partita di Lebron James, chiusa con soli 15 punti con un misero 7/21 al tiro. Il numero 6 degli Heat ha tirato 2/14 con i piedi fuori dal pitturato ed ha messo a posto un po’ le cifre grazie ad un filotto di 9 punti messi a segno gli ultimi 96 secondi del terzo quarto, quando il suo tormento, la sua ombra, insomma Kahwi Leonard si è andato a sedere in panchina. Le cifre sono ancora più impietose, se si tiene conto anche del -32 di plus/minus, peggior prova in NBA per James.

La domanda a questo punto sorge spontanea: cosa è successo? Davvero il Lebron dominante di questa stagione si è dissolto nel nulla? La sola “pressione” dovuta al giocare partite così importanti lo ha reso così inconcludente come realizzatore?

A mio avviso, la vera risposta a queste domande è legata al lavoro della difesa della Spurs, vero deterrente nelle prestazioni del Prescelto. San Antonio ha fatto una scelta molto chiara. Concedergli su ogni possesso quella che è l’opzione a lui meno gradita: il tiro dal perimetro. Vediamo un paio di situazioni esplicative.

Andersen in questo caso porta il blocco a Lebron sul quale Green decide di passare dietro. Nonostante questo Splitter non si preoccupa di andare a dar pressione al numero 6, restando saldamente inchiodato vicino al canestro e lasciando almeno 3 metri di spazio a James per prendersi il jumper.

Oltre alle situazioni di blocco, anche in quelle a difesa schierata i giocatori degli Spurs preferiscono concedergli spazio sul perimetro. In questo caso Kahwi Leonard, vero tormento del giocatore degli Heat, lascia dello spazio tra se e l’attaccante, guadagnando inoltre la possibilità di difendere meglio su un eventuale penetrazione.

Terzo ed ultimo esempio il video riportato nel seguente link (clicca qui per vedere il video). Splitter nel rientro difensivo si ritrova accoppiato con il numero 6 di Miami e decide di lasciarli lo spazio per il tiro, lo lascia pensare, lo lascia palleggiare e perdere tempo. Lebron alla fine tiene la palla tra le mani per 20 secondi, non costruisce nulla e prende un tiro da 3 abbastanza contestato e senza ritmo.

Sicuramente la squadra di coach Popovich può permettersi questo tipo d’atteggiamento cavalcando le deficitarie percentuali dalla distanza di James, ma anche questo è frutto di attente scelte, fatte con la consapevolezza dei notevoli miglioramenti al tiro che il giocatore ha apportato al suo arsenale offensivo, ma allo stesso tempo consci del fatto che in penetrazione e nei pressi del ferro diventi incontenibile. In ragione di questo la difesa focalizza grande attenzione nel marcarlo all’interno del pitturato, cercando di contestare il più possibile i tiri in avvicinamento.

Solito caso esemplificativo. James attacca con forza l’area, ma Leonard tiene bene lo scivolamento e Duncan è lì pronto al raddoppio. Morale della favola, tiro contestato da 3 mani e “the King” sbaglia.

Altra situazione. In questo caso Splitter a braccia alte copre su di lui. Leonard come al solito è francobollato al numero 6 ed anche Green, anche se non direttamente coinvolto, è dentro l’area pronto in caso di necessità ad intervenire.

Terzo caso di questo tipo è quello del video riportato nel seguente link (clicca qui per vedere il video) in cui James, vedendosi marcato da Green, va in post facendosi dare la palla spalle a canestro. Appena la mette a terra viene subito triplicato con tempi perfetti da Duncan e da Joseph che lo costringono a scaricare fuori, inducendo poi Miami all’errore.

Tutto questo poi ovviamente lo porta a perdere lucidità nel prendere le decisioni e quindi a forzare. Come palesemente dimostrato da questa situazione di transizione.

Gary Neal nel pieno della sua estasi di tiratore in giornata si (“One of those nights” come dicono dall’altra parte dell’oceano) prende l’ennesima conclusione dalla lunga distanza, sbagliando. Lebron si avventa sul rimbalzo, mette palla a terra e riparte in contropiede, ritrovandosi però, pochi palleggi dopo, a fronteggiare una difesa già schierata (i rientri difensivi degli Spurs sono poetici alle volte). Sarebbe consigliato dunque rallentare e chiamare un gioco, ma il divario sta diventando troppo grande e James attacca a testa bassa perché vuole risolverla lui. Risultato: palla persa. (clicca qui per il video).

Gli Spurs in definitiva hanno deciso di sfidare al tiro Lebron dalla media (48,8% la percentuale dai 20 ai 24 piedi dal ferro, certamente meglio del 71% nell’ultimo metro di campo), tenendolo lontano dal canestro, rendendolo meno aggressivo e lasciandogli la possibilità di distribuire caterve di assistenze, non sempre convertite dai suoi compagni. “Tutti tranne lui” sembra essere il mantra dei nero argento. Fin quando gli sparring partner dei texani mettono a referto 65 punti in 3, mentre ,con l’eccezione del solo Miller, gli altri tendono a fare molta fatica a far canestro, per gli Heat è dura pensare di poter vincere.

Questa serie però ormai ci ha abituati ad un’altalena di emozioni non prevedibile con anticipo. L’orgoglio ferito di Miami da una parte e il possibile colpo del ko (o quasi) per San Antonio dall’altra. Questa notte, ore 3, gara 4. Per scoprire un altro capitolo di quella meravigliosa storia che sono le Finals NBA.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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