Categorie: Editoriali NBA

Analisi tattica gara 5: come Danny Green riesce sempre a prendere tiri “aperti”!

Sarà stato il 60% al tiro, saranno state le prestazioni maiuscole di tutto il quintetto titolare, fatto sta che San Antonio infligge la sesta sconfitta consecutiva dopo una vittoria in questi Playoff ai Miami Heat, portandosi sul 3-2 e avendo a disposizione 2 match point nella tana del nemico. La novità balzata agli onori delle cronache più delle altre è che tra i 5 titolari che hanno ipotecato la vittoria per i nero argento c’era anche quel Manu Ginobili deriso e precocemente pensionato dai più.

Piccola rivincita da sostenitore convinto del giocatore di Bahia Blanca quale sono. Cito il caso di Paul Flannery (pesco un nome dal mazzo, ma potrei indicarne a decine), autore di un pezzo non più di 48 ore fa intitolato “The sad song of Manu Ginobili’s decline”. Un declino talmente rapido che non si è fatto in tempo a celebrarlo che lo stesso giornalista il giorno dopo si ritrova “costretto” dagli eventi a scrivere l’articolo “The Manu Ginobili Game puts Spurs 1 win away from another championship”. Per la verità, abbiamo visto periodi di decadenza più lunghi.

I 24 punti e 10 assist del playmaker argentino sono stati certamente decisivi per avvicinare gli Spurs al titolo, ma ad essi si sono sommate le doppie cifre di tutti gli altri starter dei texani, dai 17 di Duncan ai 26 di Parker, passando per i 16 di Leonard. Quelli che invece ormai sono numeri che diamo per scontato sono quelli dell’indiscusso Mvp della serie fino ad oggi, quel Danny Green che non vuol saperne di smettere di segnare, già realizzatore di 25 triple in 5 partite, recordman per le Finals NBA.

Ed è di lui e del suo tiro che oggi volevo parlare. Partendo da un’azione che non lo vede coinvolto direttamente.

Finale di partita. Gli Spurs sono ritornati in controllo della partita e nel frame sono a 7 secondi dal termine dell’azione d’attacco e Parker, ritrovandosi accoppiato con Miller, si spazia pronto ad attaccarlo dal palleggio. Nell’angolo, sornione, Danny Green sfrutta il blocco lontano dalla palla di Duncan che lo libera nell’angolo.

In questo momento il playmaker francese attacca l’avversario, attirando su di sè le attenzioni della difesa, in cui Allen resta a contatto con Duncan, senza preoccuparsi di seguire l’uomo sul perimetro. Green in questo caso, segue a sua volta il movimento del compagno e cerca di mettersi il più possibile in visione.

Alla fine Parker attacca per davvero e grazie al lavoro del caraibico a rimbalzo gli Spurs riusciranno a lucrare un fallo. Quello che a noi interessa però è la posizione di Green, totalmente indisturbato e lontano da ogni possibile recupero della difesa. In questo momento di partita il giocatore sta tirando 5/8 da 3, non proprio l’uomo che si dovrebbe lasciare libero.

Vista così, la domanda sorge spontanea: perché Miami non lo segue a uomo, francobollandosi ai suoi pantaloncini, senza lasciargli possibilità di ricezione? La risposta sta tutta nel credo difensivo della squadra di coach Spoelstra. Lebron e compagni predicano difatti una difesa all’interno della quale tutti quanti sono chiamati ad interessarsi costantemente dell’uomo con il pallone, blizzandolo, raddoppiando, giocando d’anticipo, mettendo pressione o forzandone la persa.

Tutto questo ha dei vantaggi notevoli (gli Heat con il loro atletismo sfruttano tutto questo offensivamente con contropiede e transizione veloce), però ha il difetto di “perdere di vista” tutti i giocatori che si muovono senza palla. Per questo, ritornando al caso precedente, se Green fosse rimasto in angolo sarebbe rimasto ad una distanza accettabile da Allen che avrebbe potuto provare un ipotetico recupero, ma egli, ruotando verso il centro, ha consolidato la sua posizione difensiva e soprattutto si è liberato per un eventuale scarico illuminante da parte dei suoi compagni.

Oltre al mettersi in visione, altro schema offensivo che permette al giocatore ex Olimpia Lubiana di godere di metri di spazio è quello in cui si sfrutta la sua capacità di taglio sulla linea di fondo. Vediamo come.

In questa situazione la difesa di Miami si ritrova a fronteggiare il solito problema, il contenimento di Parker, operazione che difficilmente può esser frutto di un solo uomo in marcatura. Gli Spurs, avendo notato la qualità della copertura sul p&r da parte degli Heat, lasciano l’isolamento al numero 9, che con 2 palleggi batte il diretto avversario e attira l’attenzione degli altri 4. James e Wade in particolar modo focalizzano la loro attenzione su di lui, perdendo totalmente di vista Green che ne approfitta per tagliare nell’angolo opposto.

Parker non aspetta altro che il numero 4 metta i piedi a posto per scaricare su di lui un pallone che gli concede metri e metri di spazio. Questi canestri poi vanno certamente segnati, però diciamo che con questa qualità di tempi e spazi è quantomeno un bell’andare.

Altro problema per Miami è quello del così detto “overhelped” a cui questo tipo di difesa ti espone, cioè il portare un aiuto al marcatore sulla palla anche quando non ce n’è bisogno.

Primo caso, Ray Allen si avventa su Parker già marcato,provando un improbabile recupero da dietro. Green da solo con i piedi dietro l’arco.

Secondo, Haslem, mentre il playmaker francese ha già interrotto la sua penetrazione verso il canestro, arrestandosi in area e dando le spalle al tabellone, corre verso di lui e sinceramente (mi scuso Udonis) non riesco ad immaginarne il motivo. Green, neanche a dirlo, con metri di spazio.

Infine Mike Miller, che flotta in maniera spropositata la sua posizione verso l’area, non lasciandosi una minima possibilità di recupero sul tiratore che ha già messo i piedi a posto ed è pronto ad aprire il fuoco.

Tutto questo, unito anche alla straordinaria circolazione che gli Spurs alle volte fanno, fa si che il record di triple di Green si ritrovi all’interno di un contesto che ne spiega almeno in parte i motivi. Per quanto sopra raccontato credo quindi che sia sbagliato ragionare su concetti del tipo “San Antonio non può mantenersi su queste percentuali ancora per molto”. Ormai sono 5 partite che, soprattutto dai 7 metri e 25, difficilmente si scende sotto il 40%. In più i giocatori adesso hanno fiducia ed avranno dalla loro l’adrenalina che soltanto la vista del Larry O’Brien Trophy a bordo campo può dare.

La serie è rapsodica, fuori da ogni logica e sarebbe sbagliato contravvenire alla regola “Non fare pronostici”. Certo che dire a questo punto che San Antonio è quantomeno favorita non mi sembra un’eresia (se vince Miami in 7 spero non venga indicato come “gufo” o robe simili..).

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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