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I Nuggets scambiano anche Koufos, il punto dell’intricata situazione in Colorado!

Le ultime novità di mercato in casa Denver Nuggets sono arrivate 3 giorni fa, la notte del Draft. La squadra di Danilo Gallinari, avente diritto alla 27esima scelta della notte, ha chiamato Rudy Gobert, centro francese, subito ceduto agli Utah Jazz in cambio della 46esima scelta e di “cash consideration” (in sostanza la differenza in contanti tra il contratto di una scelta n.27 rispetto alla n.46). Con quella i Nuggets hanno chiamato la guardia di Virginia Tech Erick Green. A leggere i numeri una presa di tutto rispetto. 25 punti di media e 3.8 assist, soltanto 4 volte su 32 gare disputate ha messo a referto meno di 20 punti. Negli incontri che l’hanno visto opporsi a squadre dal ranking elevato (Oklahoma State, 2 volte Miami e Duke) 24.5 punti, 3.8 rimbalzi e 3 assist di media.

A questo si aggiunge lo scambio che ha visto il sacrificio di Kosta Koufos, starter nell’ultima esaltante stagione in casa Nuggets, che con i suoi 22 minuti in campo riportava un po’ “d’ordine”, alternando la sua presenza sul parquet con quelle dei certamente più dotati (ma anche più indisciplinati) Faried e McGee. La trade con Memphis ha portato in Colorado Darrell Arthur e la 55esima scelta, con la quale è stato preso Joffrey Lauvergne, giocatore francese ventunenne del Partizan.

Per Koufos, se possibile, gli spazi da titolare si restringono ancora di più, ritrovandosi davanti giocatori del calibro di Gasol e Randolph, mentre per i Nuggets, quella che apparentemente può sembrare una scelta senza fondamento, viene giustificata così:

Abbiamo provato ad essere aggressivi con le scelte a nostra disposizione, scambiando un pezzo chiave del roster della scorsa stagione. Un ragazzo che ha un futuro garantito, non è stato facile. Noi ci siamo concentrati sulla ricerca di un determinato tipo di giocatore e Arthur calza a pennello con quel ruolo. Lui è un ottimo difensore, ti permette di allargare il campo in attacco ed ha anche la giusta esperienza, avendo preso parte più volte con successo ai Playoff.

Le scelte quindi sono ricadute su due ottimi atleti, perfetti per il gioco senza ruoli fissi di coach Karl. Ah già, l’allenatore che ha ricevuto il premio come “Coach of the Year” è stato mandato via, nonostante avesse ancora un anno di contratto ed avesse trascinato i suoi al miglior record stagionale della storia della franchigia. La notizia, ormai di qualche settimana fa, è una di quelle con alle quali si ha difficoltà a familiarizzare. Ma ovviamente le cose sono sempre molto più complesse di quanto possano apparire ad una prima superficiale disamina.

Come spiegato da più parti infatti, le “fratture” interne in Colorado c’erano già da qualche mese e per gli addetti ai lavori non è stata molto eclatante questa dismissione totale di pezzi importanti da parte dei Nuggets, anzi.

Nel caso di Karl a pesare è stato il tentativo fatto dall’allenatore di battere i pugni sul tavolo, pretendendo, dopo la magnifica stagione, un prolungamento di contratto, sapendo così di mettere con le spalle al muro la società, forte proprio dei risultati ottenuti. I Nuggets però hanno a loro volta colto la palla al balzo, liquidandolo e prendendo al suo posto Brian Shaw, già 3 volte campione NBA da giocatore e stimato assistente allenatore in quel di Indiana.

A questo punto (per i pochi davvero male informati) si potrebbe pensare che la scelta al Draft potrebbe essere l’ennesimo capolavoro di Masai Ujiri. Ehm, no. Direi di no. Anche lui, votato in questa stagione come l’NBA Executive Of The Year, poche settimane fa ha fatto le valigie e prenotato un biglietto di sola andata, destinazione Toronto.

In questo caso però le motivazioni che hanno spinto il general manager nigeriano a prendere questa decisione sono molto più semplici da individuare. Sono 15 milioni di buoni motivi, che in Canada gli verranno gentilmente concessi in 5 anni, secondo quanto scritto nel faraonico contratto su cui Masai ha apposto la sua firma. Eh bè, al cuor non si comanda, ma neanche ai soldi direbbe qualcuno.

A completare questo quadro di totale scombussolamento ci ha pensato Andre Iguodala, giocatore simbolo (quantomeno economicamente) della squadra. L’ex dei 76ers infatti, arrivato soltanto un anno fa in Colorado, ha deciso che non eserciterà la cosiddetta “Player Option” che gli avrebbe permesso di allungare di un anno il suo contratto, aumentando gli introiti grazie alla Larry Bird Exception (clausola che permette ai giocatori di aumentare di anno in anno il proprio stipendio) che lo avrebbe portanto a guadagnare più di 15 milioni di dollari. Come quelli di Ujiri, tutti in un anno però.

Il giocatore di Arizona però ha deciso di non accettare quest’opzione perché, essendo questo il suo decimo anno in NBA (scelta n.9 al Draft del 2004) potrebbe sperare di ottenere da parte di una franchigia il 35% del salary cap (la base economica massima a cui un giocatore può ambire), partendo quindi da un minimo di 20 milioni di dollari l’anno, a salire per i prossimi 5.

Sinceramente, vista l’attuale situazione delle varie franchigie, ritengo sia difficile che Iguodala riesca ad ottenere da qualcuno il massimo salariale, anche tenendo conto del tipo di giocatore di cui si sta parlando (forte si, ma non di certo un giocatore franchigia a mio avviso).

Insomma, il buon Danilo non ha fatto in tempo a gioire per l’accorciarsi dei tempi di recupero dall’infortunio, che subito le sue ansie hanno dovuto per forza di cose focalizzarsi sul destino della sua società. Con la partenza di Iguodala il suo peso all’interno della squadra se possibile aumenta ancora di più e sebbene riconfermarsi è sempre più difficile, farlo in una situazione che presenta tutte queste novità lo sarà ancora di più.

Il Gallo ha la spalle larghe, ma nella prossima stagione dovrà “ingrandirle” ancora di più.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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