Martedì pomeriggio. Siamo nella Chicago violenta, in quel sottobosco metropolitano distante anni luce dai domicili di Rose e compagni. Una Chicago tanto banale quanto terrificante. Già, perchè questa volta a lasciare i parquet non è un ragazzo qualsiasi. Malcolm Whitney ha detto addio a tutti i sogni. La sua colpa? Avere un fratello totalmente antitetico, il più classico lupo nero della famiglia, trovatosi a premere il grilletto d’un destino non suo.
È successo tutto in un lampo: il giovane Malcolm in bagno, il diciannovenne consanguigno Michael che estrae la pistola ed esplode due colpi casuali nell’altra stanza. Uno colpisce, senza rimorsi, la fronte del fratellino. Sedici anni d’allenamenti duri, di traguardi raggiunti, d’occhi d’osservatori puntati sempre più addosso. Sedici anni di studi, di medie scolastiche rarefatte. Sedici anni, una vita intera cancellata. A poco contano i macabri particolari degl’istanti seguenti: Michael, che tenta di depistare la polizia, sparando contro il vetro della finestra e cercando irrazionalmente di fingere un colpo dall’esterno, non è altro che il prodotto di un’infanzia dedita al culto delle gang ed al lato oscuro d’un America mai veramente compresa fino in fondo.
“Se diventassi padre vorrei che mio figlio fosse proprio come Malcolm.”. Una piccola stella di 5’10, tributata da queste parole e dalle annesse lacrime di coach Sean Conner dell’Hyde Park Academy. Un piccolo grande campione della vita, dello sport, che si è dovuto piegare dannatamente troppo presto ad un insensato proiettile, sparato del più insospettabile dei giustizieri.