Categorie: Film e Libri NBA

“Dream Team”, la storia della squadra che “non doveva mai chiedere un timeout”!

Di libri sul basket ne sono stati scritti parecchi, non tutti purtroppo tradotti in italiano, ma cercando su internet si può facilmente intuire come l’NBA sia una fonte quasi inesauribile di storie. Dal lieto fine alcune, tragiche o fallimentari altre. Quello di cui però si è sempre parlato tanto (ma tanto), ma di cui non si è poi scritto a dovere è il Dream Team.

Per i 2 che non conoscessero che cos’è. Anzi, non lo spiego, lo do per scontato. Se non ne avete mai sentito parlare “non vi voglio nemmeno conoscere” (semicit.). Fatto sta che questa era la mia opinione almeno fin quando, ignaro del meraviglioso “incontro” che stavo per fare, vagavo sconsolato tra le pile di tomi della mia libreria di fiducia.

Come al solito entro, butto un occhio sui titoli della “Top 10” dei più venduti (i vari illeggibili Sophie Kinsella o “50 sfumature di qualcosa”, sintomo di come in questo Paese leggano praticamente solo le donne). Compiuto l’usuale rito di finto interesse, arrivo in fondo agli scaffali, imbocco la scala a destra, scendo al piano di sotto, percorro un altro corridoio e mi fermo in fondo a sinistra. Ovviamente l’angolo più remoto della libreria. Categoria “Sport”.

Ecco, diciamo che sport è una parola grossa. Se possibile la chiamerei “Calcio, sempre calcio, fortissimamente calcio (e sport minori)”. Bisogna spulciare parecchio per trovare qualcosa che non sia il libro di Josè Altafini (si, anch’io mi chiedo chi possa mai crederlo capace di scrivere un libro) o di uno dei 23498483mila giornalisti sportivi che parlano rigorosamente di calcio.

Ad un certo punto però, vedo una copertina rosso fiammante. Nuova. Mai vista. “Dream Team” scritto sul dorso. Neanche lo sfoglio. Lo prendo, lo porto in cassa, pago ed esco. Per poco non rischio di andare a sbattere contro i passanti mentre torno a casa perchè la mia testa è piegata su di lui. Lo leggo già (in realtà stavo leggendo l’introduzione di Buffa.. Poesia!).

Il libro è di quelli che vorresti venissero scritti ogni settimana. Jack McCallum, giornalista di SportIllustrated, ha avuto l’onore (e nessun onere talmente è bello il suo mestiere) di seguire quella meravigliosa squadra nel 1992, dal ritiro a Portland per il torneo preolimpico a quello di MonteCarlo nelle due settimane che hanno preceduto la marcia trionfale di Barcellona. Ne racconta le origini, chi l’ha pensato e il perché. Il come si sia giunti ad allestire una squadra del genere e al come di volta in volta ci si meravigliasse di quanta importanza e di quanto clamore suscitassero quei 12 lì (Christian Laettner più che altro era di contorno, ma merita a tutti gli effetti gli onori delle cronache anche lui).

Viene fuori la storia di un ispettore della carne di Belgrado, primo promotore della possibilità che professionisti NBA partecipassero all’Olimpiade. Si parla di Magic, della sua sieropositività (poco) e del suo carisma e capacità di leadership (tanto). Si parla di Micheal, del veto messo alla candidatura di Isaiah Thomas e della controversa vicenda dell’uccisione del padre. Si parla di Larry The Legend Bird e delle sue ultime partite da professionista in quel di Barcellona. E di tanto tanto altro.

Non è un libro facile da recensire, perché quando lo si finisce di leggere si ha una voglia matta di raccontare agli altri tutti i particolari ignoti di cui si è venuti a conoscenza, degli aneddoti che ti hanno fatto ridere da solo come uno scemo mentre lo leggevi (ci sono alcune “perle” di Barkley davvero di livello). Però se devi scriverne, non puoi e non devi anticipare nulla.

Quando lo metti a posto sulla mensola vicino agli altri perché hai finito di leggerlo, ti senti più ricco, ti senti più sapiente. Io avevo 2 anni nel 1992, pensavo al massimo al biberon, al ciuccio e ai pannolini, poco altro poteva interessarmi in quel momento data l’età. Ma quando ci si appassiona all’NBA si diventa quasi “cannibali” di questo tipo di contenuti, di storie che ti facciano sapere qualcosa in più su quello che è successo, su quello che è stato.

Beh, questo è un nettare di 300 pagine dal quale abbeverarsi, da andare a risfogliare ogni qual volta ci si dimentica qualcosa, ogni volta che si vuole essere sicuri di ciò che è stato.

Non è un resoconto, è un insieme di impressioni venute fuori da interviste postume fatte a quelli che quelle emozioni le hanno vissute (giocatori in primis). Un racconto dettagliato e particolareggiato, che rende onore alla “grandezza” di quel momento, senza mai scadere però nella banale autocelebrazione.

In sostanza, se ancora non l’avete capito, correte in libreria a comprarlo!

P.S. Una “chicca” la devo riportare (per rendere l’idea). Si parla di Stockton, Dream Teamer, e di quanto (almeno fino al ’92) non fosse mai riuscito ad incidere a fondo, anche facendo tuttavia sempre “il suo dovere”. Una situazione ambigua, un giocatore certamente importante e costante (soprattuto nel distribuire assist) che però sembra non avere quel qualcosa necessario per diventare un vincente in NBA. Citando Bill Simmons, l’autore esplica la situazione dicendo: “Per i tifosi dei Jazz, guardare Stockton era come essere intrappolati nella posizione del missionario per vent’anni. Certo, stavi facendo sesso (in quel caso vincevi delle partite), ma sesso normale, non di quello di cui ti saresti potuto vantare con gli amici”. Il giorno che leggerete un paragone più divertente e allo stesso tempo azzeccato fatemi sapere, nel frattempo io mi tengo questo.

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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