Categorie: Editoriali NBA

Kevin Durant e il suo contratto: quando l’interpretazione del salary cap può creare problemi..

Partiamo dalla notizia. L’NBA Board Of Governors (in sostanza l’organo decisionale composto dai vari proprietari delle franchigie) ha deciso di rimborsare ai Thunder quasi 15 milioni di dollari relativi al contratto quinquennale firmato da Kevin Durant nel 2010. Per comprendere fino in fondo il perché però, bisogna fare un salto indietro nel tempo.

Estate 2010. Durant ha terminato il suo terzo anno da rookie e il suo contratto quadriennale impone ad OKC di accelerare i tempi della trattativa per cercare di trattenere in Oklahoma il giocatore di Washington. Le volontà tra le parti coincidono e con relativa facilità si giunge ad un accordo. Uno come Durant non può valere che il massimo, cioè il 25% del salary cap (o una base iniziale al massimo pari a 15 milioni di dollari) a salire per i successivi 5 anni. Secondo quello che era il cap della stagione 2010, la base sarebbe stata di quasi 13 milioni, portando in totale nelle tasche del giocatore più di 74 milioni di verdoni.

Tutto questo a partire dalla stagione 2011/2012, cioè al termine del contratto da rookie. Nell’autunno di quell’anno però il lockout, oltre a rimandare l’inizio della regular season, ha fatto si che venissero riscritte buona parte delle regole salariali (le cosiddette “exception”). In particolare una, tramandata alla posterità con il nome di “Derrick Rose Rule”, prevede che un “giovane meritevole” possa sin dal terzo anno in NBA firmare un maxi contratto partendo da una base pari al 30% del salary cap (cosa precedentemente permessa soltanto a giocatori che militino nella Lega da almeno 7 anni).

Vengono anche definiti i parametri di “merito”. Difatti, nei 3 anni trascorsi nella NBA, il giocatore deve rispettare uno dei 3 requisiti seguenti:

– esser stato nominato almeno 2 volte in uno dei tre quintetti All-NBA;

– aver partecipato nel quintetto di partenza ad almeno 2 All Star Game;

– essere stato nominato MVP della Lega almeno una volta (vi ricorda qualcuno???)

In definitiva KD si ritrovava nella condizione di poter richiedere tale “trattamento particolareggiato” (il nome tecnico è “Designated Player”), avendo però firmato precedentemente un contratto senza sapere che le norme sarebbero diventate più favorevoli economicamente. Fatta presente questa situazione, l’NBA decise di convertire il contratto del giocatore n.35 secondo le nuove norme, portandolo ad un totale sui cinque anni pari a 89 milioni, ben 15 in più rispetto a quello su cui Durant aveva apposto la sua firma.

E’ da qui che nasce l’equivoco e l’interpretazione bizzarra delle regole. Difatti nel CBA del 2011 (l’accordo contrattuale raggiunto durante il lockout) non venivano previste regole particolari rispetto a contratti firmati prima dell’entrata in vigore delle nuove regole. Per questo, aver adeguato il contratto di Durant secondo i parametri del Designated Player ha scatenato una serie di paradossi regolamentari che hanno favorito non poco la franchigia dell’Oklahoma.

Difatti, come viene esplicitamente affermato, ogni squadra che ha sotto contratto un Designated Player per tutto l’arco del suo contratto non può firmare nessun altro quinquennale. I Thunder però, soltanto pochi mesi dopo, all’inizio del 2012, avevano già raggiunto un altro accordo di massima con Westbrook, il quale però ha ritardato l’apposizione della firma, sapendo che qualora fosse stato selezionato all’interno di uno dei primi 3 quintetti All-NBA (cosa poi accaduta) avrebbe potuto beneficiare anch’egli della “Derrick Rose Rule”.

Voi direte: ma com’è possibile? Non si può firmare soltanto un giocatore secondo quelle norme? Si, è vero. Ma il caso Durant, se economicamente è stato adeguato ad un DP, nella sostanza non lo è. Per questo i Thunder hanno potuto trarre un ingiusto beneficio, trattenendo alla propria corte 2 giocatori franchigia, contravvenendo a quello che è lo spirito dell’istituzione della regola, cioè quello di evitare il più possibile l’addensamento di giocatori di talento che, ritrovandosi free agent nello stesso anno, decidano di andare a giocare nella stessa squadra (ogni riferimento a Miami NON è puramente casuale).

Oltre al danno, se possibile, arriva anche la beffa. I Thunder, mai domi rispetto al fatto che il contratto era stato firmato prima del lockout 2011, pretendevano che dovessero pagare a Kevin Durant il vecchio importo, consci del fatto che anche all’interno del salary cap non fosse considerato come un Designated Player. Alla fine quindi OKC è riuscita a trattenere entrambi i giocatori, si vede “rimborsata” dei 15 milioni aggiuntivi e, qualora venisse rivisto il contratto all’interno del cap, potrebbe liberare anche un po’ di spazio per provare a firmare un free agent (Mike Miller in cima alla lista).

La “frittata” è stata fatta a mio avviso nel momento dell’adeguamento del contratto di KD (hai firmato prima, prendi quanto c’è scritto sul contratto). Da lì, per cercare di riparare, si è fatto solo peggio.

In fondo però questo un po’ ci consola. Ogni tanto sbagliano anche loro (raramente, molto raramente).

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Pubblicato da
Stefano Salerno

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