Ci sarebbero anche giocatori NBA, le cui identità non sono state rese note, nella lista degli atleti che avrebbero usufruito di sostanze dopanti fornite dalla clinica Biogenesis di Miami. E’ questa la rivelazione choc dell’ex dipendente della clinica Porter Fischer, colui che ha fatto scoppiare lo scandalo circa un anno fa, mettendo a disposizione del New Times, giornale di Miami, una serie di documenti riservati giunti in suo possesso.
In un’intervista rilasciata all’emittente ESPN, Fischer ammette che gli atleti coinvolti sono molti più di quanto si pensi, suddivisi in varie discipline sportive. “Non si tratta di uno scandalo del 2012 o del 2013; alcune di queste persone sono sulle liste della clinica sin dal 2009. Negli ultimi quattro anni, che io sappia, saranno almeno un centinaio gli atleti in questione. E’ davvero spaventoso pensare a quanta gente si sia sottoposta a questi trattamenti e per quanto tempo tutto ciò sia rimasto all’oscuro dell’opinione pubblica. Per quanto riguarda gli sportivi coinvolti, ci sono atleti di NCAA, NBA, boxe, tennis e MMA, oltre ai già noti giocatori della MLB. Che io sappia, non ci sono giocatori della NFL e della NHL ma non lo escludo assolutamente.”
Ma ricostruiamo la vicenda: Fischer è stato per due anni cliente del medico fondatore della Biogenesis, Tony Bosch. Da qui nasce un rapporto di collaborazione tra i due, tanto che Fischer diventa investitore e direttore del reparto marketing della clinica di Bosch, che già da tempo forniva sostanze vietate a diversi giocatori professionisti del baseball, non a caso i primi ad essere interessati dallo scandalo. Le cose iniziano a complicarsi tra i due per un prestito non restituito da parte di Bosch a Fischer, il quale, per ripicca ai mancati pagamenti e alle minacce di Bosch, decide di far smascherare il teatrino dietro al quale si nascondevano le pratiche illegali di Bosch consegnando documenti riservati della Biogenesis in suo possesso al giornale New Times.
Fischer spiega perché non è andato subito dalla polizia e ha preferito rivolgersi ad un giornale per far scoppiare lo scandalo. “Io credevo davvero, davvero tanto di poter contare su qualcuno delle forze dell’ordine che uscisse allo scoperto e mi prendesse sotto la sua ala protettiva come testimone in un’indagine, ma questo non è successo. La mia intenzione era quella di innescare un’inchiesta federale. Ma quando ho visto i nomi di alcuni membri della polizia locale, di avvocati e di un giudice nei documenti in mio possesso, ho pensato che non fosse per niente sicuro andare dalle forze dell’ordine. Ecco perché mi sono rivolto ad un giornale”.
La questione Biogenesis riporta alla ribalta un tema spinoso come quello del doping, di cui si parla poco a livello di NBA ma che non va per questo sottovalutato. Le parole di Fischer non sono passate inosservate al Commissioner David Stern, che dalla Summer League fa sapere che le attuali regole sui controlli PED (performance enhancing drugs) verranno riviste ed inasprite nel breve periodo all’interno della Lega, non appena verrà nominato un direttore esecutivo che si occupi a tempo pieno di queste trattative. Attualmente, le regole NBA non prevedono l’obbligo di eseguire sui giocatori l’esame del sangue che servirebbe a rilevare la presenza dell’ormone della crescita, una delle sostanze proibite più diffuse nel mondo dello sport. Per quanto riguarda le pene previste in caso di accertamento di uso di doping, il regolamento impone una sospensione di 20 partite per la prima positività, 45 gare di stop per la seconda, la radiazione dalla Lega per la terza.
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