Categorie: Hall of Famer

Il primo canestro: Oscar “Ossie” Schectman

Nel corso della storia, non è mai stato molto semplice essere esponenti del popolo ebraico. Al di la dell’Olocausto, che tutti conoscono e che rimane il caso più emblematico, gli Ebrei sono stati molto spesso additati come capro espiatorio e utilizzati come valvola di sfogo del malcontento, arrivando non di rado a perpetrare veri e propri massacri nei confronti di questo popolo. Non faceva eccezione la Russia zarista tra Otto e Novecento, nella quale i pogrom, spedizioni punitive contro gli Ebrei, di ispirazione popolare ma favorite dal malcelato appoggio delle autorità, erano quasi all’ordine del giorno. Fu forse anche per sfuggire a queste barbarie, e probabilmente anche alla tumultuosa situazione politica successiva alla Rivoluzione d’Ottobre, che la famiglia Schectman decise di unirsi agli eserciti di migranti che a inizio Novecento lasciavano il Vecchio Continente per cercare fortuna negli States.

 

Qualche anno dopo, moltissimi giocatori delle neonate leghe professionistiche di pallacanestro avrebbero potuto iniziare la propria biografia con storie simili: questi embrionali campionati infatti, rigorosamente (purtroppo) privi di giocatori di colore, erano però pieni di atleti di origine europea, e molto spesso anche di derivazione ebraica. Anche gli Schectman diedero il loro contributo, con il loro ultimogenito Oscar Benjamin, detto “Ossie”, che vede la luce il 30 marzo 1919 nel Queens, dove la famiglia si era stabilita. E’ qui che il piccolo Ossie inizia a scoprire questo gioco ancora sconosciuto in Europa, che pratica con buoni risultati anche alla Samuel J. Tilden High School e successivamente alla leggendaria Long Island University di coach Clair Bee. In un’epoca in cui i connotati del gioco non sono ancora così definiti, e sopra il metro e 90 si è già dei giganti, Ossie col suo 1.80 circa gioca nel ruolo di guardia-ala; guida LIU al titolo da imbattuta nel 1939, mentre nel 1941, al suo ultimo anno al college, viene incluso tra gli All American.

Ce n’è abbastanza per provare l’avventura tra i professionisti, anche in un’età in cui scegliere questa strada era un mezzo salto nel vuoto più che un sinonimo di soldi e fama. I Philadelphia Sphas, squadra a forte connotazione giudaica (il nome è l’acronimo di South Philadelphia Hebrew Association) non possono certo lasciarsi sfuggire il giovane All American, e grazie a loro Ossie esordisce nello stesso 1941 nella prima Lega semi-professionistica americana, la American Basketball League (ABL), istituita nel 1925. Con il team fondato dal pioniere Eddie Gottlieb, al quale peraltro è tuttora intitolato il premio riservato al rookie dell’anno in NBA, Schectman gioca cinque stagioni e 92 partite totali, laureandosi campione nel 1943 e nel 1945.

Nell’autunno del 1946 il prodotto di LIU sembra destinato a iniziare la sua sesta stagione con gli Sphas, ma quasi all’ultimo momento prende una decisione destinata a cambiare la storia, sua e dell’intera pallacanestro. Probabilmente attratto dall’idea di poter giocare nella propria città, accetta l’offerta fattagli dai New York Knickerbockers, che stanno mettendo su una squadra del tutto nuova: non tanto per risultati deludenti che li hanno indotti a rivoltare il roster, quanto perché fino alla stagione prima il roster nemmeno c’era. I neonati Knicks sono infatti una delle 11 squadre che prenderanno parte al primo campionato della Basketball Association of America (BAA), nuova Lega creata ad hoc pochi mesi prima, in cui il fondatore Walter Brown si propone di elevare il gioco e l’attrattiva a un livello più sistematico e professionale rispetto ai disorganizzati esperimenti precedenti, ABL compresa. Schectman entra in squadra poco prima della partita inaugurale, fissata per l’1 novembre 1946; ma ciò nonostante parte in quintetto già dalla prima gara, in cui New York è di scena al Maple Leaf Gardens di Toronto contro i locali Huskies, in quello che è il match di apertura della stagione, e dunque la prima partita ufficiale della nuova Lega. L’evento viene anche ripreso dalle telecamere, non certo una consuetudine al tempo (chiedere a Chamberlain e ai suoi 100 punti, segnati peraltro 16 anni dopo): gli Huskies vincono la palla a due ma non finalizzano l’azione d’attacco. I Knicks prendono il rimbalzo e partono in contropiede, occupando scolasticamente le tre corsie. E’ Ossie a ricevere l’apertura e a correre lungo la corsia centrale; due passaggi nei due lati e dopo un semplice dai e vai la palla gli torna in mano nei pressi del canestro avversario, per il più semplice dei lay up. Eppure sarà proprio quell’appoggio, tanto banale a prima vista quanto, in realtà, importante, a far entrare Ossie Schectman nella storia come l’autore del primo canestro della BAA. Non solo: di lì a pochi anni quella stessa Lega cambierà nome, divenendo la National Basketball Association, facendo di Schectman il precursore di una lunghissima serie di realizzatori.

Ironia della sorte, Ossie Schectman giocherà una sola stagione ai Knicks, concludendo poi la carriera ancora nella ABL con i Crescents di Paterson, nel New Jersey. Addirittura, quando il suo nome tornò in auge nel 1988 in occasione del punto numero 5 milioni segnato da Ricky Green coi Jazz, rivelò che, avendo giocato una sola stagione nell’antenata della NBA, non sapeva di esserne il primo marcatore. Ma la Lega non si è dimenticata di lui, eleggendolo nella Hall of Fame nel 2001.

Nel corso della sua lunga vita, in cui è riuscito anche a vedere Ben Gordon doppiare Green nel 2010, Ossie ha avuto modo di vedere tutti i campioni che hanno reso grande questa Lega. Martedì 30 luglio di questo stesso anno si è spento in Florida, alla veneranda età di 94 anni. Probabilmente consapevole che il gioco è cambiato moltissimo, e che molti suoi successori l’hanno superato in talento, capacità e mezzi fisici. Ma sapendo anche che quel ragazzo ebreo venuto dalla Russia li ha anticipati tutti, e che quel primato non potrà toglierglielo nessuno. Perché si sa, la prima volta, in qualsiasi ambito, ha un sapore particolare, ed è sempre e comunque indimenticabile, per banale che possa essere: anche quando si tratta di un semplice lay up da sotto canestro.

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Pubblicato da
Giacomo Sordo

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