“Solo rete” per Steph Curry, soprattutto in Tanzania

 

Oltre i suoi occhi color ghiaccio, oltre il suo esile fisico, oltre chi non credeva in lui a livello collegiale, oltre le braccia protese dei migliori difensori della lega. La vita di Stephen Curry pare uno strano, interminabile e dolcissimo clichè: mai un uno contro uno perso, in campo e fuori.

Campione sì, riuscito però ad andare al di là anche di questa definizione. Già, perchè il figlio di Dell ha appena segnato il canestro più importante della sua vita. Per farlo è dovuto arrivare fino in Tanzania, Africa orientale. Qui ha portato a termine un intero anno d’impegno sociale, volto all’aiuto per i rifugiati del campo di Nyarugusu. Un duello contro un nemico complicato, sempre a gambe piegate e gomiti affilati, pronto a mettere i piedi sotto le caviglie, subdolo e letale: la malaria.

Da uno scambio d’idee con Rick Reilly,nota penna d’Espn, e mente principale della fondazione “Nothing But Nets” (gioco di parole perfetto per il fromboliere ex Davidson), è stata concepita l’idea di regalare, ad ogni tripla segnata dal numero 30 dei Warriors durante l’annata NBA, l’equivalente di tre retine per proteggere i letti dei rifugiati.

Beh, che dire, non si poteva scegliere stagione migliore, con Curry a dominare la graduatoria dei più proficui marcatori da dietro l’arco e ben 272 frecce andate a bersaglio.

L’umanità ed il sorriso che hanno accompagnato il suo viaggio in terra africana, poi, non sono quelle del campione, sono quelle dell’uomo. Uomo oltre la giovane età che lo vorrebbe immaturo, uomo oltre tutti i capricci dei suoi colleghi dal lusso facile ed ostentato quanto la violenza insensata ed inaspettata, uomo dagli occhi di ghiaccio si, ma dalle mani e dal cuore d’oro.

 

 

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