Riprendiamo il nostro viaggio all’interno delle maglie della Lega che sono state ritirate in onore di grandi campioni e allenatori.
Miami Heat: 10, 23, 33. Tre i numeri ritirati dalla franchigia della Florida. Il primo appartiene a Tim Hardaway, che fece impazzire i tifosi col suo stile di gioco, guidando sul parquet la Miami di fine secolo scorso. Caso più unico che raro, il 23 è stato ritirato per volere di Riley in onore di Michael Jordan. Nonostante MJ abbia provocato più danni della grandine ai rosso-neri, Pat ha deciso di ricordare così il suo grande avversario. L’ultima maglia è quella di Alonzo Mourning, il totem, ancora oggi, dell’intera città di Miami. Da segnalare che gli Heat, pur non avendo formalmente ritirato il numero, celebrano il 13 di Dan Marino, famoso quarterback dei Miami Dolphins.
Milwaukee Bucks: 1, 2, 4, 14, 16, 32, 33. La franchigia del Wisconsin ricorda i protagonisti sia del titolo vinto nel 1971 che delle ottime squadre degli anni’80. Numero 1, di maglia e di fatto, Oscar Robertson che, seppur ormai sul viale del tramonto, guidò la squadra all’anello. Successivamente troviamo Junior Bridgeman, primatista di gare giocate con i Cerbiatti. Ritirato il 4 di Sydney Moncrief, due volte Difensore dell’Anno, attore principale di tante sfide con Erving e Bird. Altre maglie appese sono quelle di Jon McGlocklin, Bob Lanier e Brian Winters, così come la 33 di Kareem Abdul-Jabbar, che proprio a Milwaukee iniziò la sua fantastica carriera.
Minnesota Timberwolves: 2. Un solo numero ritirato da Minnesota, purtroppo per una circostanza tragica: è quello di Malik Sealy, scomparso nel 2000 in un incidente automobilistico di ritorno dal compleanno del suo migliore amico, Kevin Garnett. Proprio KG indosserà a Brooklyn la maglia numero 2 per ricordare Sealy.
New Orleans/Charlotte: 7, 13. Pistol Pete Maravich è ricordato dalla franchigia che da quest’anno ha assunto il nome di Pelicans, nonostante il funambolico realizzatore abbia vestito la maglia dei New Orleans Jazz, poi trasferitisi nello Utah. Il 13 è per Bobby Phills, scomparso pochi mesi prima di Sealy e sempre per un incidente automobilistico, mentre “inseguiva” la macchina di David Wesley.
New York Knicks: 10, 12, 15, 19, 22, 24, 33, 613. Tante le maglie ritirate da una storica organizzazione come quella dei Knicks. In primis Walt Frazier, playmaker dei titoli e oggi commentatore televisivo della compagine allenata da Mike Woodson. Compagno di squadra, come la maggior parte dei presenti di questa lista, è Dick Barnett, nove anni spesi nella Grande Mela. Caso abbastanza raro, lo stesso numero ritirato per due giocatori diversi. Si tratta di Earl The Pearl Monroe, grandissimo artista del pallone, e Dick McGuire, che militò a New York negli anni Cinquanta. Andando avanti troviamo un terzetto di bi-campioni della Lega: Willis Reed, autore del celebre ritorno in gara-7 del 1970, Dave DeBusschere, poi nel front-office della squadra, e Bill Bradley, visto anche a Milano. Chiudono il 33 di Mr.Knick, Patrick Ewing, e le 613 vittorie di Red Holzman, il mentore di Phil Jackson.
Oklahoma City/Seattle: 1, 10, 19, 24, 32, 43. Qualora un domani il basket professionistico dovesse tornare nella Emerald City, i titoli vinti, i record di franchigia e le maglie ritirate non sarebbero più nell’almanacco dei Thunder. Come in tanti casi, anche qui molti protagonisti dell’unico titolo vinto nel 1979. Primo tra tutti il funambolico Gus Williams, che saltò pure una stagione per beghe contrattuali. Lo seguono due giocatori-allenatori particolarmente ricordati con affetto: Nate McMillan e Lenny Wilkens. Ritirata la 24 di Spencer Haywood, la cui carriera, che lo portò anche in Italia, sarebbe potuta essere diversa con un’altra testa e senza la droga di mezzo. Colonne dell’anello vinto furono anche Fred Brown, capitano e tiratore mortifero, e Jack Sikma, il martello dai lunghi capelli biondi. Un microfono ricorda i 25 anni di Bob Blackburn al servizio della squadra.
Orlando Magic: 6. Numero ritirato in onore dei tifosi.
Philadelphia 76ers: 2, 6, 10, 13, 15, 24, 32, 34. Lista lunga per un’altra gloriosa franchigia. Seppur non ritirato ufficialmente, il 2 di Moses Malone non è stato più visto addosso ad una casacca Sixers. Nessun dubbio invece su Julius Erving e Maurice Cheeks, protagonisti di tante sfide tra la fine degli anni’70 e l’inizio del decennio successivo. Firma la tripletta Wilt Chamberlain in compagnia, come ai vecchi tempi, del fidato Hal Greer, realizzatore principe nella titolo vinto nel 1967. Accoppiata di bianchi con la maglia ritirata, appartenenti ad epoche diverse: Bobby Jones, grande difensore e panchinaro, e Billy Cunningham, The Kangaroo Kid, che poi ebbe tanta fortuna anche da allenatore. Senza anello ma non per questo meno amato, Charles Barkley, che rimase 8 anni a Philadelphia. Celebrato anche il vecchio public address announcer Dave Zinkoff.
Phoenix Suns: 5, 6, 7, 9, 24, 33, 34, 42, 44. Molta carne al fuoco sotto il sole dell’Arizona. Primo tra tutti Dick Van Arsdale, uno dei primi volti noti della franchigia, seguito da Walter Davis che, nonostante svariati problemi fisici e di droga, diede un importante contributo negli anni’80. Tre componenti della squadra che arrivò in Finale nel 1993 hanno trovato spazio sul soffitto dell’arena di Phoenix. Si tratta di Kevin Johnson, oggi sindaco di Sacramento ma ieri una delle migliori point-guard della Lega, Dan Majerle, terrificante tiratore, e Tom Chambers, grande realizzatore. Il 33 di Alvan Adams, monumento della franchigia e presenza fissa in quasi tutte le categorie statistiche, è stato brevemente indossato da Grant Hill nella sua permanenza ai Suns. Niente “sconti” col numero successivo: è di Sir Charles Barkley e guai a chi lo tocca. Stessa sorte con Connie Hawkins, uno dei giocatori più spettacolari dei suoi tempi, e Paul Westphal, che ha vissuto entrambe le Finali giocate e perse da Phoenix, prima come giocatore e quindi da allenatore. Quattro i banner appesi a ricordare altrettante figure dirigenziali: Jerry Colangelo, ovvero la storia della franchigia, Cotton Fitzsimmons e John MacLeod, allenatori di molte versioni della squadra, e Joe Proski, per 30 anni preparatore atletico.
Portland Trail Blazers: 1, 13, 14, 15, 20, 22, 30, 32, 36, 45, 77. Tanti protagonisti della vittoria del titolo nel 1977. Si inizia col ricordo di Larry Weinberg, fondatore della squadra (il numero è ancora disponibile), proseguendo con le guardie Dave Twardzik, Lionel Hollins, l’ex allenatore dei Grizzlies, e Larry Steele. Ritirato anche il numero del duro Maurice Lucas, recentemente scomparso, e della stella degli anni’90, Clyde Drexler. Maglia numero 30 ritirata sia per Bob Gross che per Terry Porter, leader ogni epoca nei passaggi. Suo e soltanto suo il 32 del mitico Bill Walton, che con un’altra salute avrebbe probabilmente dominato in lungo e in largo. Infine, troviamo appesi anche i nomi di Lloyd Neal, Geoff Petrie, l’architetto dei Kings di inizio millennio, ed il 77 che ricorda l’allenatore del titolo vinto, Jack Ramsay.
Sacramento Kings: 1, 2, 4, 6, 11, 12, 14, 21, 27, 44. Diversi numeri ritirati per una squadra che ha cambiato sede svariate volte. Si inizia subito con un pezzo da 90, Nate Tiny Archibald, che con la maglia degli allora Kansas City-Omaha Kings compì l’impresa di vincere la classifica dei realizzatori e degli assistmen nella stessa stagione. Successivamente troviamo Mitch Richmond, la stella degli anni’90 e presenza fissa all’All Star Game, e Chris Webber, il leader della bella squadra del 2000. La 6 è stata dedicata ai rumorosi supporter della ARCO Arena mentre la 11 a Bob Davies, membro dei Rochester Royals campioni nel 1951. Particolare e toccante la storia di Maurice Stokes, sulla quale torneremo in futuro. In uno scontro di gioco si procurò una lesione cerebrale che lo portò alla paralisi e ad una precoce morte. Faro indiscusso della franchigia fu Oscar Robertson, l’unico a finire una stagione con una tripla doppia di media. Più recente la carriera di Vlade Divac, anima spirituale di una formazione sfortunata e incapace di compiere l’ultimo salto di qualità. Ottimo realizzatore fu Jack Twyman, uno dei primi a scollinare oltre quota 30 di media su singola stagione. Di lui si ricorda anche il grande affetto verso il compagno di squadra Stokes, del quale divenne tutore legale, ed il “merito” di essere stato il primo, durante la telecronaca delle Finali del 1970, ad accorgersi della presenza di Willis Reed in campo. Infine Sam Lacey, che detiene quasi tutti i record individuali di franchigia, con 11 anni al servizio della sua squadra.
San Antonio Spurs: 00, 6, 12, 13, 32, 44, 50. Due guardie di epoche diverse aprono la lista dei numeri ritirati dai nero-argento. Si tratta di Johnny Moore ed Avery Johnson, visto più volte come allenatore NBA. La sentinella difensiva Bruce Bowen si è meritato il suo posto d’onore nell’Olimpo di San Antonio, così come James Silas, il “Profeta dell’ultimo Quarto” ed icona assoluta nel periodo dell’ABA. Una vita da Spurs quella di Sean Elliott, prolifico realizzatore la cui carriera è stata accorciata da un grosso problema al rene dopo il titolo vinto nel 1999. Stella ed idolo assoluto degli anni’70-’80 è stato George Gervin, il cui finger-roll e le grandi esplosioni balistiche sono rimaste scolpite nella memoria dei Texani. Chiudiamo con The Admiral, David Robinson, ancora oggi volto di un’intera comunità e vincitore di due titoli.
Utah Jazz: 1, 4, 7, 9, 12, 14, 32, 35, 53. Facilmente intuibile come gli artefici della grande cavalcata della squadra, dalla metà degli anni’80 in poi, abbiano un posto sul soffitto dell’arena di Salt Lake City. I numeri 1 e 9 onorano gli architetti che rispondono al nome di Frank Layden e Larry Miller. Nel mezzo, il mago del post basso Adrian Dantley ed il grande Pete Maravich che giocò, come già detto, nei Jazz quando erano stazionati a New Orleans. John Stockton, Jeff Hornacek e Karl Malone: il terzetto delle meraviglie non poteva non essere presente in questa lista d’autore. Trovano spazio anche Dr. Dunkestein Darrell Griffith, stella nel periodo pre-Sloan, e Mark Eaton, la sequoia che per un decennio ha protetto il canestro dei Jazz. Un microfono ricorda le gesta del mitico cronista Rod Hundley, per quasi 40 anni la voce della squadra.
Washington Wizards: 10, 11, 25, 41. Poche maglie ritirate per una franchigia che raramente si è tolta delle soddisfazioni. Il primo della lista è Earl Monroe, che proprio negli allora Baltimore Bullets fece vedere strabilianti cose palla in mano. Leader ogni epoca in punti è Elvin Hayes, uno dei più grandi realizzatori e rimbalzisti di sempre, punto fermo della squadra per una decina d’anni. Una delle prime colonne dei Bullets fu Gus Johnson, presenza fissa all’All Star Game e star della squadra che arrivò in Finale nel 1971. Chi invece condusse i Bullets all’unico titolo NBA, anno di grazia 1978, è stato Wes Unseld, un blocco di granito più grosso che alto, recordman di rimbalzi, uomo squadra e vera bandiera della franchigia.
Alessandro Scuto