Le parole “attentato terroristico” suonarono strane alle nostre orecchie. Non eravamo abituati a quel gergo che da lì in poi è diventato così familiare nel linguaggio comune, così ovvio, quasi scontato. Sono passati 12 anni dal giorno che più di tutti ha cambiato il 21esimo secolo. Si, lo so, su un sito di basket vi aspettereste che tutto questo sia riferito alle imprese del duo Shaq-Kobe o al draft di Kwame Brown, altro evento “nefasto” in quel maledetto 2001 americano.
E invece anche noi, nonostante ci occupiamo d’altro, abbiamo deciso di ricordare per quanto possibile l’atrocità, le vittime e la ferocia con cui quell’11 settembre vennero buttate giù le Torri Gemelle e crollarono assieme ad esse le speranze di pace di un mondo che da allora non ha smesso di far guerre. Ognuno ha il proprio ricordo. Io, che all’epoca avevo 11 anni appena compiuti, ho il mio. Inconsapevole, innocente, a tratti quasi giocoso.
Il tipico martedì di fine estate, pranzo e poi resto a giocare a casa di un amico. Playstation, risate, quel maledetto livello di Resident Evil che non riusciamo a superare. Alle 3 pensiamo ad altro, la nostra tv è sintonizzata su AV. Lì i telegiornali non vengono trasmessi. Torno a casa quando una torre è appena crollata. Da amante della geografia sarei pronto a citare i nomi delle strade dove sta avvenendo quella tragedia, letti e riletti sull’atlante che, almeno in parte, dopo quegli assurdi fatti, mi rendo conto diventi carta straccia. La storia e la geografia si stanno riscrivendo davanti ai miei occhi. Non ho nozioni di politica estera, a malapena so chi sia George W. Bush, ma capisco che quelle immagini indimenticabili cambieranno per sempre le cose.
Non dimenticherò mai quella sensazione.
2993 vittime. E’ uno di quei numeri che ti restano impressi, non sai neanche bene il perché. Ogni tanto vado a rileggerlo, solitamente la dicitura è: 2974 vittime più i 19 attentatori. Distinzione che dà l’idea di come ancora oggi quella ferita non sia rimarginata. Di come quei crateri lasciati a terra dalle Torri Gemelle dopo il loro crollo non siano ancora stati riempiti.
Per commemorare quell’atrocità oggi verrà acceso, come consuetudine ormai da 12 anni, il Tribute in Light. 88 fari da ricerca che proiettano verso l’alto 2 fasci di luce alti centinaia di metri, che nei giorni uggiosi vanno a confondersi con le nuvole, arrivando quasi a toccare il cielo. L’immagine è suggestiva, ti tocca alla bocca dello stomaco. Pensi a quello che c’era e pensi a come in realtà quelle torri siano rimaste lì, nella testa di tutti noi.
Erano il simbolo di un America che forse mai come in quell’inizio di millennio aveva raggiunto l’apice. Il progresso, l’innovazione, la ricchezza sembrano essere a portata di mano per tutti. E da quell’11 settembre le cose non sono più apparse in questo modo. Anche loro, gli invincibili Stati Uniti, erano diventati vulnerabili, indifesi, deboli.
Anni di guerre al terrorismo, di “campagna militari di pace”, di distruzione lontano da quei riflettori che sin da subito si accesero 12 anni fa ad inquadrare il simbolo del capitalismo che in meno di 2 ore veniva raso al suolo, come un castello di carte malamente costruito, non hanno di certo restituito nulla a chi ha perso i propri cari in quella giornata. Né ha ridato credibilità ad una nazione che non appare più egemone come lo era stata in precedenza.
Nessuna analisi geopolitica o socioeconomica. Mi fermo qui e resto in silenzio. L’unico vero modo per rendere giusta memoria a chi non c’è più.