Categorie: Hall of Famer

Le grandi voci del basket a stelle e strisce

Non si vive di sole schiacciate. In mezzo a numeri fantascientifici, giocate da urlo, star osannate e allenatori nell’occhio del ciclone, c’è un’altra componente imprescindibile della National Basketball Association. Un pezzo vitale, specialmente per i tifosi americani, che costituisce la notevole ciliegiona di una torta molto gustosa. Stiamo parlando dei commentatori radio-televisivi della Lega.

La miscela assortita è ben nota. Accanto a giornalisti di professione troviamo ex-giocatori e/o coach che prestano le proprie corde vocali una volta messi nel baule i ferri del mestiere. Sia a livello nazionale (segnatamente TNT, ESPN e chi più ne ha più ne metta), sia a livello locale, squadra per squadra, molti di questi broadcaster hanno costituito l’importantissima colonna sonora dei grandi momenti della NBA. La loro passione, la loro competenza, le abilità dialettiche e, nei ben noti casi, l’aperto tifo, li hanno resi leggendari agli occhi e alle orecchie di milioni e milioni di spettatori di questo gioco che ci ha fatto innamorare.

Tra i più facilmente riconoscibili citiamo “Hot” Rod Hundley, prima funambolico giocatore e poi mitico narratore delle imprese degli Utah Jazz; Marv Albert, idolo dei tifosi dei New York Knicks ed associato, invariabilmente, alle trionfali NBA Finals degli anni’90 made in Jordan. Ralph Lawler, secolare telecronista dei Los Angeles Clippers e Tom Heinsohn, presenza fissa alle gare casalinghe di Boston. Oppure George Blaha e Marc Zumoff, da tanti anni voci, rispettivamente, di Detroit Pistons e Philadelphia 76ers.

Sono due, però, i volti e le ugole probabilmente più note a livello di radio-telecronisti NBA. Non è un caso che appartengano alle due squadre rivali per eccellenza, i Boston Celtics ed i Los Angeles Lakers. Sebbene ci abbiano entrambi lasciato, le loro gesta dietro ad un microfono collocato in un’arena NBA sono rimaste indissolubilmente legate alle vicende sportive di queste gloriose franchigie.

Partiamo con l’uomo che ha vissuto in prima persona tutti i titoli dei bianco-verdi, eccezion fatta per il banner numero 17 issato nel 2008. Nato a New York City in una famiglia ebrea, Johnny Most iniziò nel 1953 un sodalizio che sarebbe durato 40 anni. Impossibile non averne mai incrociato una radiocronaca. Due erano i suoi tratti distintivi. In primis la voce, roca, resa a tal punto da anni e anni di sigarette. In secondo luogo l’assoluta ed incontrovertibile parzialità. I giocatori dei Celtics erano, ai suoi occhi, dei pacifici cherubini che sopportavano indicibili angherie e soprusi dai loro avversari. Memorabili le invettive contro i Bad Boys di Detroit, a cui vennero affibbiati soprannomi infamanti dovuti al loro gioco duro. Anche Magic Johnson venne preso particolarmente di mira, venendo chiamato da Most “Crybaby” per le continue lamentele con gli arbitri. Autentico veneratore di chiunque vestisse la maglia col trifoglio, nei lontani anni 50-60 spesso fu autore di duelli da cavalleria rusticana con gli spettatori avversari, che lo avevano facilmente inquadrato nel personalissimo mirino. Tra le migliaia di cronache di Boston, due sono quelle maggiormente ricordate, entrambe di postseason ed entrambe per una palla rubata. Ci riferiamo al furto di Larry Bird ai danni di Isiah Thomas in gara-5 delle Eastern Conference Finals nel 1987 e, in misura maggiore, al celeberrimo intercetto di John Havlicek in gara-7 contro i Sixers nel 1965. L’esaltazione per un momento così importante, all’apice di una serie molto dura, culminò in una frase che è, probabilmente, il principale leit-motiv della storia della franchigia. Greer is putting the ball in play. He gets it out deep, and Havlicek steals it!! Over to Sam Jones!! Havlicek stole the ball!! It’s all over … It’s all over!! Johnny Havlicek is being mobbed by the fans! Bill Russell hugs him. He squeezes John Havlicek! The Celtics win it, 110 to 109!” Scomparso nel 1993, Most ha avuto l’onore di vedere riconosciuti i propri sforzi al servizio della squadra. Il personalissimo microfono è stato, infatti, conservato e posizionato all’interno della sua vecchia postazione al Boston Garden, a ricordo di tutte quelle battaglie vinte con Johnny a tessere le lodi degli invincibili Celtics.

Alter ego di Most e 4 decadi spese trasudando giallo-viola. Questa la vita di Francis Dayle Hearn, per tutti Chick. Il suo rapporto con i Lakers iniziò nel lontano Novembre del 1965, quando la squadra di Jerry West ed Elgin Baylor era la ricorrente sparring partner degli odiati Celtics pluri-decorati. Combattendo contro laringiti e malanni vari, le partite consecutive commentate da Hearn sarebbero state la bellezza di 3338. Un’enormità. Vedendo passare grandissimi campioni davanti ai suoi occhi, Chick si costruì una grandissima fama e rispetto per la sua simpatia e per l’assoluta padronanza linguistica, il tutto condito da una sagace ironia. Molti furono i soprannomi ed i “neologismi” introdotti dal broadcaster di Los Angeles. Fra tutti, l’immortale Slam Dunk, in occasione di potenti schiacciate, espressione a cui tutti i malati di basket non possono che portare devozione. Oppure garbage time, con le seconde linee in campo, o la diffusione dell’ormai ben noto vocabolo di tripla-doppia. Sempre tifoso fino al midollo, Hearn, al contrario di Most, non si faceva problemi a criticare, sempre col suo peculiare stile, qualche giocatore dei Lakers dal rendimento insufficiente. Partecipe delle tante sconfitte degli anni’60, Chick è stato il testimone delle grandi squadre degli ’80 e della dinastia di Shaq&Kobe, a cui è collegata una delle sue espressioni più indimenticabili. Con Portland ormai sconfitta in gara-7, dopo essere stata in vantaggio di 15 punti ad una decina di minuti dal termine, il radiocronista si lanciò in un’irridente descrizione del viaggio di ritorno in Oregon a mani vuote: Portland can put the champagne away and get out the bottled water, ‘cause that’s all they’re gonna drink on their way home! . Chick Hearn, dopo tante battaglie, si è ritirato da imbattuto. L’ultima partita raccontata ai suoi estasiati spettatori è stata, infatti, la vittoriosa gara-4 di Finale nel 2002. Problemi di salute lo costrinsero ad abbandonare la sua attività preferita. I Lakers, qualche anno dopo, gli hanno dedicato, con grande affetto, una statua esposta fuori dallo Staples Center.

Qualche mese dopo la vittoria del titolo, Hearn andava a fare compagnia a Johnny Most nel proseguimento delle cronache delle infuocate sfide tra Celtics e Lakers, da un posto ancor più privilegiato. Nelle Finali del 2008 e del 2010, ne siamo sicuri, le loro inconfondibili voci sono state lo stesso presenti a supportare quelle squadre a cui hanno dedicato la propria vita.

Alessandro Scuto

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