Categorie: Hall of Famer

Allen Iverson Story

PREMESSA:

“Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore,

non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,

un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”.

Così cantava De Gregori in “La leva calcistica del ‘68”, canzone dalle mille possibili interpretazioni e dalle molteplici sfaccettature. Sentendo queste parole il mio pensiero, però, non può che rivolgersi al giocatore, che più di tutti ha segnato la mia adolescenza, Allen Iverson aka The Answer. Certo lo sport non è quello praticato da “Nino”, ma i tre aggettivi usati dal cantautore romano rispecchiano in pieno quello che in campo era AI, l’unico dubbio potrebbe riguardare l’altruismo, visto che stiamo parlando di uno degli accentratori per eccellenza, ma io tendo ad interpretarlo come fatica e sforzo all’interno del rettangolo di gioco, per far quadrare il tutto.

Su Iverson è stato scritto tanto, veramente tanto e non potrebbe essere altrimenti visti i suoi infiniti talenti e la sua storia, tuttavia io (e spero anche voi) non mi sono mai stancato di leggere e rileggere le gesta di questo fantastico giocatore, pertanto ho deciso di proporvi questo articolo tributo rivolto a uno di quelli che realmente ha cambiato questo magnifico sport. L’articolo ripercorre la biografia di Iverson quindi, essendo molto lungo verrà diviso in tre parti.

 

PARTE PRIMA: L’INFANZIA

È il 7 Giugno 1975, quando Ann Iverson, appena 15enne, da alla luce il suo primo genito, figlio avuto dal grande amore della sua gioventù. Lo stesso grande amore che starà con lei soltanto fino a poco prima del parto, per poi sparire dalla sua vita anzi dalle loro vite, è un bandito e si sa un bandito non smette, prende una pausa. Ma ad Ann non importa, ama troppo quell’uomo, al punto tale da dare il suo nome al frutto del loro amore. Il bambino sarà, infatti, registrato all’anagrafe come Allen Ezail Iverson.

Ann e suo figlio crescono ad Hampton, Virginia, passando da una casa all’altra, in quei classici ghetti dove si impara a crescere in fretta o si finisce male, dove la criminalità è all’ordine del giorno, così come i regolamenti di conti. Quartieri popolari dove il concetto di giustizia è quanto mai utopistico e dove solo il più forte sopravvive.

Ha imparato a crescere in fretta Ann, se sei solo quindicenne, hai un figlio da mantenere e non puoi contare sull’appoggio economico familiare sei obbligata a farlo. Ma lei non molla un centimetro, stringe i denti e si da da fare per cercare di dare un’occasione al suo piccolo Allen, per non farlo restare uno dei tanti ma per potergli permettere di uscire da quell’inferno che l’ha vista crescere, per regalargli un futuro, per dargli la possibilità di dire “ce l’ho fatta”. Ce la farà, eccome se ce la farà ma non corriamo troppo.

Passano gli anni e Ann finalmente ritrova un minimo di serenità grazie al suo nuovo compagno Micheal Freeman con cui avrà due figlie, Brandy (1979) e Ileisha (1991). Micheal purtroppo, però, è il tipico ragazzo cresciuto in strada e a discapito del cognome continuerà ad alternare entrate ed uscite dai carceri, un bandito non smette si prende una pausa, questo fino all’accusa di omicidio che gli farà trascorrere il resto della sua vita in prigione.

Ann ad ogni nuova difficoltà stringe maggiormente i pugni senza mai arrendersi, senza voltarsi indietro. È una donna forte e sarà proprio lei a spingere Allen verso il basket, sport che lei stessa praticava.

All’età di 8 anni Allen era un giocatore di Football e considerava la pallacanestro uno sport per “signorine”, ma proprio mamma Ann, nonostante le proteste e i pianti, lo costrinse a provare (grazie signora Iverson!).

Nonostante le perplessità iniziali, Ive trovò subito un grande feeling con la palla a spicchi e proprio questo insieme al football lo aiutò a stare lontano dalla strada, a crearsi un futuro. A 10 anni il suo talento era già noto, il suo stesso allenatore dell’epoca ne parla come di un giocatore in grado di fare cose che nemmeno ragazzi di 16-17 anni si sognavano di fare. Stava nascendo una stella.

A 13 anni Allen era già l’uomo di casa, sua madre era impegnata con due lavori per mantenere la famiglia e di conseguenza toccava a lui prendersi cura della sorellina Brandy. In questo periodo vince un torneo amatoriale con la sua squadra, ma i ricordi non vanno alla vittoria bensì alle parole di mamma Ann che continuava a ripetergli che sarebbe potuto diventare qualcuno, bastava crederci. A casa mancava l’elettricità, i soldi per la bolletta infatti erano stati spesi dalla signora Iverson per comprare un paio di scarpe da basket al figlio. Se la fiducia di sua madre era tale, altrettanta era la voglia di Ive di mettere tutto sè stesso, anima e corpo, per ripagare quegli sforzi.

Dall’inizio della sua avventura cestistica fino ai 15 anni, Iverson, era accompagnato da un amico, una sorta di fratello maggiore, Tony Clark. Tony era un esempio e un’ispirazione per Allen, lo aiutava a stare fuori dai guai e gli dava importantissime lezioni di vita.

 

PARTE SECONDA: HIGH SCHOOL E COLLEGE

Arriva il momento dell’High School e Allen si iscrive a Bethel dove diventa una vera e propria star, trascinando sia la squadra di basket che di football della scuola alla vittoria del titolo statale. Neanche a dirlo vincendo il titolo di MVP in entrambe le competizioni.

Il periodo liceale vede un alternarsi di profondi momenti che sconvolgeranno nel bene e nel male la vita di Iverson. All’età di 15 anni arriva la notizia della morte del suo grandissimo amico Tony Clark, ucciso a coltellate dalla sua ragazza. Per la prima volta Allen capisce realmente le lezioni che lo stesso Tony gli aveva impartito e realizza la dura legge del ghetto che nel giro di poco tempo l’aveva privato di 8 dei suoi migliori amici. Quest’esperienza segnerà moltissimo Ive, in onore dell’amico scomparso è anche il tatuaggio “una fonte di ispirazione” sulla sua gamba. Ad un anno dalla morte di quello che considerava un fratello, Iverson conoscerà la donna che in seguito diverrà sua moglie e madre dei suoi figli, Tawanna Turner.

In questo periodo si lega ad un altro ragazzo, poco più vecchio di lui, Andre Steele, con cui fonda il gruppo “Dynasty Raiderz”. Questa precisazione è d’obbligo perché, purtroppo, le brutte notizie liceali di Allen non si limitano alla perdita di Tony, infatti la notte di San Valentino del 1993, mentre era a festeggiare al Bowling con la sua “crew”, in seguito a una vittoria, si scatenerà una rissa che cambierà per sempre la sua vita.

L’eccessivo baccano fatto da Iverson e i suoi aveva indispettito un gruppo di ragazzi bianchi che dopo alcuni insulti, razziali, sarebbero passati alle mani scatenando la già citata rissa, alla quale seguì un processo che vide Iverson condannato a 5 anni di reclusione poi ridotti a 4 mesi (in seguito a manifestazioni e rivolte da parte della popolazione di colore della Virginia) per aver aggredito con una sedia una ragazza di 23 anni. Il processo non fu mai del tutto chiaro, infatti le immagini delle videocamere non riprendono mai Allen durante gli scontri, gli stessi testimoni cambieranno più volte opinione e alla fine risulteranno puniti solo 4 ragazzi di colore. Proprio a causa dell’ingiusta sentenza nasceranno le rivolte di cui prima parlavo, che costringeranno il governatore a concedere la grazia.

Il periodo di detenzione viene scontato presso il Newport News Correctional Facilities della Virginia, il “soggiorno” non risulta tuttavia dei peggiori, grazie ad alcuni detenuti che in precedenza avevano conosciuto il suo padre naturale e/o il suo patrigno e che di conseguenza avevano preso il giovane sotto la loro ala protettiva. In questo periodo Ive aveva ricevuto 2 offerte da college importanti, la prima dai Wildcats allenati da Rick Pitino, la seconda da coach Thompson di Georgetown. Non ci fu nemmeno l’indecisione per la scelta, infatti, una volta saputo dell’arresto, Kentucky ritirò l’offerta e ad AI rimase solo l’opzione Georgetown.

Uscito dal carcere Iverson scoprì che i Dynasty Riderz si erano presi cura, anche economicamente, della sua famiglia, non a caso per tutta la sua carriera Nba dei posti in prima fila saranno sempre riservati ai suoi amici del liceo. Nel frattempo mamma Ann era andata a parlare con coach Thompson convincendolo a diventare oltre che allenatore figura paterna per il figlio.

Nel 1994, dopo aver terminato l’high school, inizia l’avventura di Allen con la maglia degli Hoyes, che permetterà al nativo di Hampton di mettersi in luce davanti agli interi States. L’anno da freshman vanta cifre eccezionali, tra cui 20,4 punti di media, e gli vale i titoli di miglior difensore e miglior rookie della Big East. Il rapporto con John Thompson è dei migliori, tuttavia iniziano a riproporsi quei problemi familiari che hanno sempre caratterizzato la sua vita. La sorellina Ileisha soffre di attacchi di epilessia, inoltre Tawanna aveva appena partorito la prima figlia di Ive, Tiaura. Queste situazioni fecero pensare ad Iverson di rendersi eleggibile per il draft, nonostante fosse solo il suo primo anno di college, ma in seguito ad un colloquio con il suo allenatore decise di rimanere a Georgetown un’ulteriore stagione.

Nell’annata ‘95/’96, AI incremento tutte le sue statistiche, raggiungendo i 25 punti di media, bissando il titolo di miglior difensore della Big East e venendo inserito nel primo quintetto All American.

I problemi di Ileisha peggioravano e Allen non poteva più attendere, servivano soldi e servivano subito. Decise quindi di rendersi eleggibile per il Draft del ’96 dove venne scelto con la prima chiamata assoluta da Philadelphia, in una delle lotterie più ricche di talento di sempre. Oltre a lui furono scelti giocatori come Bryant, Ray Allen, Marbury e Nash. Fu il primo giocatore nella storia di Georgetown a lasciare il college prima dei canonici quattro anni.

 

PARTE TERZA: LA CARRIERA

La prima stagione nel mondo professionistico lo vede impegnato nel ruolo di playmaker, sia per la bassa statura (1.83 ufficialmente anche se in realtà non supera il metro e 80), sia per la presenza nel ruolo di guardia di Jerry Stackhouse. I numeri da rookie sono impressionanti, 23.5 punti di media, 7.5 assist e 4.1 rimbalzi e gli valgono il titolo di Rookie dell’anno. In questa stagione stabilisce svariati record, infatti è il primo rookie a fare 40 o più punti in 5 partite consecutive. L’arrivo di Larry Brown (con cui avrà un rapporto di amore ed odio) come headcoach diede una scossa ai Sixers, come prima cosa Allen venne spostato di ruolo, ricoprendo così la posizione di point guard. Nel ‘98/’99 The Answer vince per la prima volta la classifica dei marcatori Nba, viaggiando 26.8 di media, e trascina Phila ai playoff che li vedranno sconfitti al secondo turno dopo essersi imposti sui Magic. Nelle stagioni successive Iverson continua ad incrementare i suoi numeri e risulta sempre più un giocatore devastante sotto ogni punto di vista. Il vero capolavoro di AI si materializza nella stagione ‘00/’01, quando grazie ai suoi 31.1 punti a nottata si aggiudica il titolo di MVP dell’All Star Game e della regular season e trascina Philadelphia alla finale Nba sostanzialmente da solo (32.9 punti di media in quella postseason). In finale lo attendono i Lakers di Kobe e Shaq, gli stessi Lakers che avevano distrutto ogni avversario nei Playoff senza mai perdere. Sembra una finale dall’esito scontato, Davide contro Golia, ma in gara 1 allo Staples Center Ive ne mette 48 e trascina i suoi alla vittoria, facendo sperare i Sixers. Quella sfida si rivelerà un fuoco di paglia infatti lo strapotere della squadra più nobile di Los Angeles non era alla portata dei 76ers che pur lottando si arresero con il punteggio di 4-1.

Iverson uscirà distrutto da quella sfida, probabilmente consapevole che un’occasione del genere non la avrà più in vita. Gli anni passano, Allen continua ad impressionare il mondo e a viaggiare su cifre disumane per uomo della sua taglia, in un contesto simile, ma i successi non arrivano e non arriveranno mai. Nel 2006/07 la squadra non gira e Ive è scontento e nonostante l’amore idilliaco verso la città di Philadelphia e verso i tifosi chiede di essere ceduto, andrà a Denver dove troverà subito un’ottima alchimia con Carmelo Anthony. I due insieme porteranno i Nuggets ai Playoff, uscendo tuttavia al primo turno per 4-1 contro gli Spurs. In Colorado trascorrerà un’altra stagione per poi trasferirsi a Detroit, successivamente Memphis dove prenderà parte a sole 3 partite, prima del ritorno alla sua amata Philadelphia. Purtroppo il fisico non è più quello di una volta, così come l’esplosività, le botte prese per tutta una carriera iniziano a fare male ed AI se ne rende conto, se non può fare la differenza è inutile stare in un mondo che non gli appartiene più, non vuole essere un comprimario. O in quintetto o nulla. Decide quindi di andarsene da quella Nba che tanto lo ha amato e di tentare la fortuna in Turchia con la maglia del Besiktas dove però gioca solo 7 partite e poi deve fermarsi per infortunio. Nel giugno 2012 la mancanza del basket a stelle e strisce si fa forte e questo spinge Allen ad esprimere la volontà di tornare, non importa in che ruolo, non importa in che squadra, gli basterebbe solcare quei parquet ancora una volta. Ma il mondo è ingiusto e ancora oggi Iverson aspetta quella chiamata.

 

CONCLUSIONE:

Allen è stato senza dubbio uno di quei giocatori che hanno cambiato tante cose nel panorama cestistico mondiale, sia in campo che fuori. Fu il primo a presentarsi a una conferenza stampa con la figlia in braccio, cosa che oggi fanno tutti. E non svendette mai i suoi ideali. Il coraggio messo in campo è paragonabile solo a quello con cui ha affrontato tutte le sfide che la vita gli ha posto. Non aveva paura di niente dall’”alto” del suo metro e 80 per 77 kg affrontava ogni sera gente con molti più centimetri e kili di lui, che lo picchiava, lo maltrattava, lo riempiva di botte, ma a lui non importava e ogni volta si rialzava più forte e motivato di prima, come faceva sua madre. La tecnica sopraffina, l’incredibile velocità, l’ottimo tiro in sospensione, il micidiale crossover, tutto questo era Allen Iverson in campo, un mix di genio e sregolatezza. Un classico giocatore da playground. Da quei playground dove vige la regola: “no blood, no foul” , non a caso giocherà partite in condizioni in cui un normale essere umano non si sarebbe mai sognato di mettere piede in campo (giocherà con la mascella slogata e con il braccio se non rotto quasi). Nessuno mai nella storia della Nba ha subito tutti i contatti che ha ricevuto Iverson. Ma Allen è questo, un giocatore generoso, che ha giocato ogni partita come fosse l’ultima e come se dovesse sempre dimostrate qualcosa a qualcuno. A fine carriera gli anelli sono zero.

Questo lungo articolo biografico è iniziato con una canzone e proprio da quella stessa canzone voglio prendere un altro estratto:

“E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori

che non hanno vinto mai

ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro

e adesso ridono dentro a un bar”

Iverson ride ora, perché sa che vincere non è tutto, lui ha fatto molto di più, ha dimostrato a tutti noi che con l’impegno e la determinazione si può ottenere tutto, non è un anello che ti cambia la vita. D’altronde come diceva De Gregori “non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”.

 

 

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