Sbadigliante e assonnato, come ogni mattina, il rituale è sempre lo stesso. Accendo il pc. Google Chrome. Barra dei preferiti. Nba.com. E come ogni stagione da almeno 15 anni a questa parte, il nome in vetta (o quasi) alla classifica è sempre lo stesso. San Antonio Spurs. La domanda nasce spontanea: ma come fanno? Invecchiano, non dispongono di scelte alte al draft da qualche lustro, hanno un salary cap inferiore a 65 milioni di dollari (spiccioli se confrontato con quello dei Nets). E allora? Il segreto dov’è?
Spinto da questa curiosità (e armato di buona pazienza) sono andato a cercare le percentuali di vittorie in Regular Season degli ultimi 10 anni di alcune delle franchigie che più hanno vinto negli ultimi tempi (Heat, Lakers, Celtics) e le ho graficate. Il risultato che ne è venuto fuori non lascia alcun margine di dubbio.
Beh, cosa dire. Mai scesi sotto le 50 vittorie stagionali in Regular Season, con un andamento “rettilineo” che manifesta la continuità di progetto e di gioco che coach Popovich e il suo staff sono riusciti a dare, trasformando l’Alamo texano in un’officina pronta a sfornare decine di nuovi tecnici, direttori sportivi e amministratori NBA.
Ok, tutto bello, tutti bravi, tutto perfetto. Ma la domanda resta sempre quella: come fanno a vincere ogni dannata stagione il 65-70% di partite? Con l’esecuzione.
Parker è uno dei primi 5 giocatori NBA e ti permette di vincere anche giocando male, Duncan e Ginobili nonostante l’età restano delle certezze alle quali affidarsi nei momenti di difficoltà, Leonard e Green sono il nuovo che avanza, i vari Diaw Bonner Splitter sono ottimi nel supporting cast. Tutto vero, ma la differenza la fa l’esecuzione. Senza quella non riuscireste ad accumulare così tante vittorie (il numero di successi tra Regular Season e Playoff del trio Duncan-Parker-Ginobili è imbarazzante).
Per cercare di spiegare cosa intendo volevo prendere ad esempio due azioni della partita giocata e vinta dai texani a Denver qualche giorno fa. Solita partenza a razzo della squadra del Colorado (che quando gioca in casa schiaccia da subito l’acceleratore visto la maggiore facilità ad adattarsi ai 1.700 metri d’altitudine), Randy Foye mette tre canestri in fila, 13-4 per i Nuggets.
Ecco, considerando le 82 partite stagionali, uno scenario del genere diventa familiare anche se ti chiami San Antonio Spurs. Che risposta dare? Mettere palla in post per Duncan e vedere come regge McGee in marcatura su di lui? Quattro fermi sul lato debole a guardare il gioco in isolamento di Parker contro Lawson? No. Giocare di sistema, eseguire. Vediamo come.
Parker porta palla nell’altra metà campo (rosso), mentre Belinelli esce dall’angolo e viene incontro (verde).
Duncan e Splitter bloccano vicendevolmente l’un l’altro in mezzo all’area, cercando di liberare il compagno per la ricezione. In realtà questo set di blocchi è giocato per consentire al giocatore caraibico maggiore facilità nell’uscire all’altezza della lunetta a riceve il passaggio della guardia.
Difatti, come si può vedere, Parker scarica sul Beli (rosso) e inizia a tagliare verso il lato opposto (verde), mentre Duncan è pronto a ricevere (blu).
Visto lo spazio “guadagnato” grazie al blocco di Splitter, il numero 21 degli Spurs si gira a fronteggiare il canestro (verde), costringendo il proprio avversario a concentrarsi su di lui (si, lo so, il verbo concentrarsi associato a McGee fa un po’ ridere!). Nel frattempo Leonard e il centro brasiliano bloccano per le “doppie uscite” di Parker e Belinelli (blu e rosso).
Duncan sceglie il lato di Parker il quale, uscito con vantaggio sul difensore dal blocco, è pronto a ricevere il cosiddetto hand-off, il passaggio consegnato.
Il caraibico è perfetto. In una frazione di secondo lascia il pallone nelle mani del playmaker francese e piazza il blocco su Lawson (rosso), con un tempismo e una qualità fuori dalla norma.
A questo punto palleggio/arresto/tiro da 4 metri, completamente solo visto che il diretto avversario è ormai perso per strada (pallino verde, “dietro” Duncan).
Cosa ha fatto Parker per segnare questo canestro? Palleggiato a più non posso? Inventato una prodezza? Battuto ripetutamente il suo avversario? No. Ha semplicemente corso su dei blocchi. E averlo fatto con tempi e modi giusti lo ha liberato per un tiro che neanche con il miglior ball-handling sarebbe riuscito a rendere più facile!
Secondo esempio, azione di poco successiva a questa.
In questo caso l’intenzione “chiara” sembra quella di voler andare da Splitter sotto canestro (rosso), con Belinelli a portare palla (verde) e Parker che va a prendere posizione in angolo al posto dell’italiano (blu).
La possibilità di dar subito palla dentro non c’è e cosa si fa? Si ribalta il lato. Passando da Duncan in punta (rosso), mentre Splitter lotta per la posizione con Faried (verde).
La palla passa per le mani di Leonard che appoggia sul centro brasiliano in post (blu). La difesa catalizza la propria attenzione sul lato della palla e nel frattempo Belinelli parte in taglio dal lato debole, sfruttando il blocco apparentemente “involontario” (ma che invece è volutissimo) di Duncan.
Splitter si gira a fronteggiare il canestro e scarica subito sulla guardia italiana che, tagliando verso canestro, ha sfruttato quella direttrice di penetrazione segnata in rosso nell’immagine precedente (il pallino rosso sta ad indicare il punto in cui si trova la palla, ossia nelle mani di Belinelli il quale ha un tempo di gioco di vantaggio e può appoggiare con facilità al ferro senza preoccuparsi della stoppata di McGee).
Anche qui, come si è arrivati al canestro? Semplice! Tutti e 5 i giocatori toccano la palla, ribaltamento di lato e taglio dal lato debole. Tre semplici cose che, se fatte con nel modo giusto, fanno tutta la differenza di questo mondo.
Per questo quando andrete a leggere le statistiche e non troverete gli Spurs ai primi posti nei punti segnati, o nel Pace o nel numero di assist o rimbalzi (non cito volutamente la difesa, fondamentale in cui negli ultimi anni la qualità dei nero argento è cresciuta esponenzialmente) non meravigliatevi. L’esecuzione non rientra in nessuna rilevazione statistica eppure, da 15 anni a questa parte, in casa San Antonio, non sembrano preoccuparsene più di tanto.