Categorie: Hall of Famer

Hail to the Reign Man

Voglio una vita spericolata, voglio una vita come quelle dei film, voglio una vita esagerata, voglio una vita come Steve McQueen”. Il testo di tale canzone potrebbe benissimo calzare a pennello per uno dei personaggi più discussi e discutibili nella storia della Lega. Al posto del nome del famoso attore hollywoodiano, infatti, potremmo inserire quello di Shawn Kemp, indimenticabile protagonista di quasi un decennio di NBA.

Oggi, 26 Novembre, ricorre il 44esimo compleanno per l’ex star di Seattle e Cleveland. Nato, infatti, nel 1969 ad Elkhart, la vita del giovane Kemp fu sin da subito abbastanza movimentata. Frequentando la locale Concord High School, Shawn fece sfracelli contro i malcapitati coetanei e conterranei. La squadra arrivò sino alle finali del campionato statale, sotto la spinta della sua dinamica star. Nonostante la scontata convocazione al McDonald’s All American Game, inevitabile per quello che era diventato uno dei migliori prospetti dell’intero paese, inopinatamente non gli venne conferito l’ambito trofeo di Mr. Basketball dell’Indiana. La motivazione, stando a varie voci, fu la sua scelta del college in cui andare a giocare l’anno successivo, Kentucky.

L’avventura di Kemp a Lexington non fu, per usare un eufemismo, tanto tranquilla. In primo luogo il ragazzo non superò il famoso test SAT, venendo costretto, di fatto, a saltare la stagione ormai alle porte. Con così tanto tempo libero a disposizione, Shawn non riuscì a stare lontano dai guai. Nel Novembre del 1988 venne accusato di aver cercato di scambiare due catene d’oro di cui il suo compagno Sean Sutton, figlio dell’head coach della squadra, aveva denunciato il furto. Sutton non proseguì oltre in sede legale ma Kemp fu costretto a migrare al Texano Trinity Valley Community College. Qui, dopo un semestre di totale inattività, decise di dichiararsi per il Draft 1989, pur non avendo giocato un singolo secondo di basket universitario.

Alla posizione 17 del primo giro, Shawn Kemp sentì il proprio nome pronunciato dal Commissioner David Stern per conto della sua nuova squadra, i Seattle Supersonics. Atletismo impressionante, elevazione importante che gli consentiva schiacciate stellari, il tutto incastonato in corpo perfetto per giocare a pallacanestro. Nonostante un’annata da rookie di vero e proprio apprendistato, già nella seconda stagione Kemp dimostrò grandissime doti, chiudendo a 15 punti di media ed oltre 8 rimbalzi. In quello stesso anno arrivò nella Emerald City un ossuto playmaker che avrebbe instaurato con Shawn una relazione fondamentale per le sorti dei Sonics, quel Gary Payton che avrebbe alzato centinaia e centinaia di alley-oop per la sua power forward.

Dal 1992-93 al 1997-98 The Reign Man, come venne soprannominato dal radiocronista della squadra, è stato un perenne All-Star, nonché costante presenza negli highlights o su Sportscenter. Le tremende affondate e le giocate spettacolari fecero di Kemp uno dei beniamini incontrastati del caldissimo Seattle Center. L’arrivo sulla panchina di George Karl si rivelò l’ultima tessera del mosaico; sotto la sua guida, i Sonics si trasformarono in una vera e propria corazzata della Western Conference, vincendo ogni anno almeno 55 partite. Già al primo tentativo la squadra si fece largo sino alle Conference Finals, dove si arrese solo in gara-7 ai Phoenix Suns di Sir Charles Barkley. Nonostante la bruciante sconfitta, Kemp fu grande per quasi tutta la serie, trascinando i suoi contro una compagine ben più quotata ed esperta. Un anno dopo, sarebbe stato tra i protagonisti dell’oro vinto dagli Stati Uniti ai Mondiali 1994. Era nata una stella.

A dispetto dell’exploit del 1993 e di uno Shawn Kemp in continua doppia doppia, i Sonics delusero le aspettative, subendo due inopinate sconfitte al Primo Turno dei Playoffs, sempre col vantaggio del fattore campo. Nel 1994 Seattle divenne la prima squadra testa di serie numero 1 a venire eliminata dalla numero 8, addirittura dopo essere stata avanti 2-0 nella serie al meglio delle 5 partite. The Reign Man fu tra i grandi accusati della disastrosa Caporetto nella Rain City, dimostrandosi incapace di incidere contro i Denver Nuggets. Altri 12 mesi e nuova cocente delusione, questa volta contro i Los Angeles Lakers guidati da Van Exel, Ceballos e Divac. I Playoffs erano diventati una maledizione per una franchigia che pareva destinata a ben altre vette solo 2 anni prima. Solo in extremis Karl non venne licenziato ed il gruppo rimase intatto, nonostante la vita privata di Kemp stesse diventando sempre più ingestibile. Il giocatore, infatti, si “diede da fare” parecchio fuori dal parquet, come dimostrano i ben 7 figli messi a referto, più altri sparsi qua e là negli Stati Uniti ma mai ufficialmente riconosciuti. No, quel gruppo pareva decisamente aver perso il treno buono.

La stagione 1995-96, che sembrava essere quella del canto del cigno, si rivelò invece esaltante a dismisura. Compilato il solito record stratosferico in regular season, la squadra non si sfaldò nei Playoffs, superando di slancio Sacramento, Houston e Utah, quest’ultima in 7 gare e sempre con uno Shawn Kemp formato 5 stelle extralusso. I Sonics, inaspettatamente, si ritrovarono proiettati alle NBA Finals dopo un quarto di secolo. Ad attenderli, i tremendi Chicago Bulls delle 72 vittorie stagionali, con un numero 23 a condurre le danze. Jordan portò i suoi avanti 3-0 nella serie, Seattle reagì vincendo due gare casalinghe ma Michael chiuse i conti in gara-6: Sonics sconfitti 4-2 e quarto anello per i Bulls. Kemp era stato grandissimo, anche nelle sconfitte, chiudendo la serie a 23,3 punti e 10 rimbalzi di media con un ottimo 55% dal campo. Era stato di gran lunga il migliore dei suoi, tenendo testa a Jordan e dimostrando a tutti il suo immenso valore.

I dolori per Seattle ed i suoi sostenitori arrivarono quasi immediatamente dopo la Finale persa. Ansiosi di trovare un big man affidabile, i dirigenti della squadra decisero di offrire un contratto faraonico a Jim McIlvaine, seconda scelta reduce da cifre risibili con la maglia di Washington. Fu un disastro. Il centro si rivelò un vero bust, chiudendo con misere medie di circa 4 punti ed altrettanti rimbalzi. In più, fatto ben più importante, Kemp si indispettì parecchio, anche perché lo stesso front-office gli negò l’aumento di stipendio. Dopo una stagione alle solite cifre ma condita da tanti malumori, nell’estate del 1997 Shawn venne ceduto, tramite una complessa trade che coinvolse molte squadre, ai Cleveland Cavaliers. La grande galoppata coi Sonics era finita in malo modo e senza quel benedetto anello.

L’esperienza di Kemp nell’Ohio è stata decisamente controversa. Al primo anno mantenne lo status di All-Star, trascinando i Cavs anche nella postseason nonostante la sconfitta con gli ostici Indiana Pacers. Le cose si complicarono maledettamente con l’arrivo del lockout 1998-99. Dopo la serrata e l’estenuante trattativa, alla ripresa delle operazioni Shawn si presentò assolutamente fuori forma, con decine e decine di chili presi a causa del solito stile di vita incontrollato. Fece sì registrare il proprio career-high di media punti, 20,5, ma da lì in poi sarebbe stato solo l’ombra di sé stesso, lontano parente di quell’atleta che dominava fino a solo pochi anni prima. Al termine della stagione 1999-2000 venne ceduto ai Portland Trail Blazers.

Da panchinaro, in una formazione piena di talentuosi giocatori ma con gravi problemi comportamentali, Kemp si fece notare solo nella seconda metà della frase appena conclusa. Sul parquet il suo contributo fu assolutamente insignificante, incidendo solo relativamente e sporadicamente. Fuori dal campo si segnalò per l’ingresso in un centro specializzato nel recupero di persone con problemi di droga. Era ormai ai margini della Lega.

L’ultima stagione di Shawn Kemp è stata la 2002-03, con la maglia degli Orlando Magic. Sbiadito ricordo dell’uomo volante di Seattle, diede il suo contributo a Tracy McGrady e compagni per il raggiungimento dei Playoffs. Al termine dell’annata il suo contratto non venne rinnovato. Non era più un giocatore NBA.

Kemp ha tentato più volte il rientro sui parquet della Lega. Svariate volte il suo nome è stato accostato a quello di alcune franchigie, segnatamente Dallas, Denver e Chicago. Tuttavia, a dispetto del pedigree, non se ne fece niente.

Dopo essere tornato nei trafiletti di cronaca nera dei quotidiani, sempre per problemi legati al possesso di sostanze illecite, Shawn ha avuto a che fare anche con l’Italia. Nel 2008, infatti, firmò un contratto annuale con la Premiata Montegranaro alla veneranda età di 39 anni. Dopo aver giocato qualche amichevole pre-stagionale, il sogno di vedere Kemp calcare i campi della nostra Serie A è tuttavia presto svanito. Tornato negli States per verificare i danni causati da un uragano, Shawn ha comunicato ai dirigenti della Premiata il suo proposito di lasciare la squadra. Avrebbe appeso definitivamente le scarpe al chiodo, chiudendo una carriera che, di certo, non ha lasciato nessuno indifferente.

..Voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai, voglio una vita, la voglio piena di guai”.

Alessandro Scuto

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