Da quest’anno le analisi delle prestazioni dei giocatori NBA sono profondamente cambiate. Difatti, con l’avvento (sotto Natale ci sta sempre bene) della nuova tecnologia Sport VU, la comprensione di ogni singolo aspetto del gioco diventa “misurabile” attraverso nuove categorie statistiche, come ad esempio l’introduzione del concetto di “opportunità di rimbalzo” o la vivisezione dei tiri in Pull Up, Catch and Shoot o Drives.
Ed è proprio quest’ultima categoria che vorrei approfondire, quell’andare al ferro sempre più decisivo in una Lega che è alla continua ricerca di tiri ad alta percentuale e ad alto rendimento (e tirare nell’ultimo metro di campo sembra essere un buon investimento se si ragiona in questa direzione).
Per Drives infatti si intendono tutti quei tiri presi da un giocatore che parte con il pallone da almeno 20 piedi (6 metri) dal canestro, palleggiando come minimo fino a 10 piedi (la conversione in metri è elementare), escludendo i fast break points, i punti in contropiede. In sostanza, per farla più semplice, i punti realizzati in penetrazione al ferro.
Detta così i giocatori che vengono in mente sono tanti. Lawson, Parker, Lillard, Irving e in generale i playmaker (o guardie) dal primo passo bruciante, capaci di tenere il contatto e di chiudere al ferro anche contro giocatori più alti e più grossi di loro. Andiamo un po’ a leggere i numeri.
Visto che l’incolonnamento tenendo conto della percentuale al tiro è fallace (ci sono giocatori che in 20 partite hanno il 100% perché hanno tirato una sola volta, proprio in quel modo, segnando!), la prima analisi può essere fatta basandoci sul quantitativo totale di tiri presi. Monta Ellis e le sue 252 conclusioni sono lì a guidare il gruppo, composto in gran parte da playmaker (c’era da aspettarselo).
Ma per definire “il migliore” però, si deve tener conto anche di altro. In primis (ovviamente) del numero di punti realizzati in questa situazione di gioco.
La riga che subito balza all’occhio è quella di Evan Turner, secondo in quanto a realizzazioni solo a Ellis, tirando però 90 volte in meno. Ne è dimostrazione il 58% al tiro, secondo solo all’incredibile 59,5% di Tony Parker, ancora più assurdo se si considera l’esile fisico del franco belga.
La domanda a questo punto sorge spontanea: ma come, il playmaker degli Spurs fa più penetrazioni, ha una percentuale più alta al tiro, ma ha realizzato meno punti? Come è possibile?
La risposta è molto semplice. Non tutte le penetrazioni finiscono con una conclusione, ma spesse volte esse “servono” a generare un vantaggio dal quale costruire l’attacco. Vediamo un paio di esempi che riguardano proprio Parker.
Prima situazione, il playmaker neroargento sembra voler portare spalle a canestro il proprio avversario, mentre osserva i movimenti sul lato debole dei compagni.
In realtà aspetta soltanto che Duncan venga prontamente a portargli il blocco, da sfruttare provando a chiudere “a ricciolo” verso il ferro, impedendo ogni tipo di recupero alla difesa.
In ragione di questo (e del 59 e rotti per cento di realizzazione precedentemente citato), il lungo avversario è costretto a staccarsi da Duncan e a cercare di limitare il più possibile la penetrazione. La libertà del numero 21 in maglia Spurs è totale.
Parker va fino in fondo, costringe ben 3 giocatori a collassare su di lui (vedi cerchietto rosso) e trova la linea di passaggio per TD. Schiacciata facile.
Vediamo un altro gioco tipico dei texani, sempre frutto della capacità di andare dentro dell’MVP del campionato europeo giocato in Slovenia a Settembre.
Sempre sul lato, Leonard porta il blocco per farlo andare a destra, mentre Rubio sembra concedergli palesemente una direttrice di penetrazione al ferro (per spingerlo dentro per farlo finire nelle fauci di Love e Pekovic).
Parker non se lo fa ripetere due volte. Si butta dentro, mentre la difesa si adegua subito su di lui, ruotando e lasciando gli uomini liberi sul lato debole.
Il playmaker di San Antonio in questo caso però è tranquillo perché, anche se ci sono poche certezze nella vita, una su cui si può sempre contare è che gli Spurs di coach Popovich piazzino SEMPRE un tiratore in angolo pronto ad aspettare lo scarico. Sempre. Bonner è lì (e la direttrice di passaggio pure).
La palla arriva con il contagiri al Red Mamba che non si fa pregare due volte e segna con facilità 3 punti.
Tutto questo quindi per dire che quello di cui bisogna tener conto sono non soltanto i punti personalmente realizzati, ma anche quelli che tutta la squadra produce in questa situazione. Sport VU e le sue rilevazioni ci vengono incontro anche in questo caso.
I playmaker in questo caso, tornano a “farsi valere”. In particolare Ty Lawson, che a fronte di una produzione di “soli” 5 punti e mezzo personali, ne genera più di 13 se ad essi si sommano quelli di squadra. Monta Ellis veleggia sempre in zone molto alte, seguito da Parker, Teague e Lin (il cui 64,2% è pazzesco!).
Detto tutto ciò (come al solito), una verità assoluta non sembra esserci.
Se il migliore sia Monta Ellis con i suoi 8 punti a partita, o Lawson con i 13 di squadra, o Ginobili col suo 77,4% (vi giuro che non sto scherzando!) io non lo so stabilire. E voi?