Once upon a time, negli Stati Uniti, c’era una pallacanestro, rigorosamente in bianco e nero, prevalentemente giocata da atleti bianchi e che sembrava avere un unico habitat possibile, i college. Niente NBA, NIT ed NCAA a profusione, gioco molto disciplinato, col classico piazzatone dell’epoca, e nessuna probabilità all’orizzonte di professionismo. Visti oggi, i giocatori di quell’epoca farebbero quantomeno sorridere, se paragonati ai loro colleghi del terzo millennio. Eppure, nonostante l’avvento della Lega e delle televisioni, delle schiacciate in campo aperto e dei contratti fantascientifici, le storie e le leggende del basket anni Trenta e Quaranta ancora oggi colpiscono l’immaginario collettivo. Squadre, giocatori, precursori, tutti accomunati da un’aurea di mistico fascino a distanza di così tante decadi. Tra i tanti personaggi di quel periodo, quasi tutti meritevoli di capitoli a parte, oggi vogliamo ricordarne due nello specifico: Angelo e The Blind Bomber.
Lenti a contatto? No. Occhialoni specifici? Nemmeno, anche se gente come Stoudemire, Horace Grant, James Worthy e Kareem Abdul-Jabbar potrebbero testimoniare la loro importanza sul parquet. Nonostante tutti questi rimedi, c’era ben poco da fare. George Glamack aveva una miopia galoppante, con due occhi che, a causa dei parecchi gradi mancanti, riuscivano a malapena a mettere a fuoco gli oggetti. Eppure, c’era qualcosa di più forte, anche più degli evidenti problemi di vista: la voglia di giocare a basket. Fu così che nacque, con la prestigiosa maglia di North Carolina, la leggenda del Blind Bomber, il bombardiere cieco che crivellava di colpi i canestri avversari. Gli annali e le memorie storiche ci raccontano che George non solo riuscì nel suo intento di giocare, ma addirittura dominò molti dei suoi coetanei, frutto anche di un’altezza, poco sotto i due metri, che incuteva timore e rispetto. Oggi farebbe quasi sorridere un’osservazione del genere, ai tempi decisamente meno.
Ma come poteva Glamack riuscire non solo a segnare, ma anche semplicemente a tirare verso il ferro? La mente di George scovò un espediente che si sarebbe rivelato decisamente fruttifero. Non essendo in grado di mettere a fuoco né il canestro né la palla, The Blind Bomber si avvalse delle linee nere sul parquet come punti di riferimento vitali. In questo modo sapeva sempre dove si trovava e la distanza che intercorreva tra lui e l’agognata retina. Così, senza guardare, dopo un rapido ma fondamentale calcolo, faceva partire un micidiale gancio, indifferentemente di destro o di sinistro, che puntualmente si insaccava tra lo stupore e la meraviglia degli astanti.
Non provateci a casa, come nel wrestling, ma magari potreste chiedere ai malcapitati di Creighton, che nel 1941 ne subirono 45 da uno scatenato Glamack, ancora oggi uno dei punteggi più alti nella storia dell’Ateneo. Il tutto, sempre, senza mirare al canestro, a differenza dei comuni mortali. Il Blind Bomber fu l’assoluto protagonista di quel periodo, vincendo per due volte, ’40 e ’41, il titolo di miglior giocatore collegiale del paese e trascinando UNC al suo primo torneo NCAA.
George Glamack ha avuto anche qualche esperienza nel mondo del basket pro. Tanta NBL, vincendo un titolo con la maglia dei Rochester Royals nel 1946 e battagliando in svariate occasioni con un altro avversario con problemi di vista, benché risolti con l’uso di rudimentali occhiali, tale George Mikan. Il Bombardiere Cieco fece una comparsata anche nella BAA, antenata dell’odierna Lega, con la maglia degli Indianapolis Jets nel 1948. Ma il meglio l’aveva ormai lasciato alle spalle, con quegli indelebili anni con i Tar Heels. A testimonianza della sua importanza nella storia dell’Ateneo, Glamack è uno dei pochissimi, 8 per la precisione, che ha avuto l’onore ed il privilegio di avere la maglia ritirata, in compagnia di gente come il già citato Worthy o di un certo Michael Jordan.
Qual’è il rapporto tra Italia ed NBA? Semplicistico citare ora i Bargnani, Belinelli, Gallinari e Datome. Ancora troppo facile far viaggiare la mente sino ai Vincenzo Esposito, Stefano Rusconi e compagnia bella. In realtà, il contributo del Belpaese all’evoluzione del gioco è molto più profondo ed antico, grazie anche a gente nata nella nostra Penisola prima di cercare fortuna, trovandola, negli Stati Uniti. E’ il caso di Danny Biasone, proprietario dei Syracuse Nationals nonché ideatore del limite dei 24 secondi. Oppure è il caso di un altro precursore dei suoi tempi, Angelo Luisetti, per tutti Hank.
Angelo, di cui oggi, 17 Dicembre, si commemora l’undicesimo anniversario dalla scomparsa, nacque il 16 Giugno 1916 a San Francisco da genitori di chiara origine italiana. Avvicinatosi da giovane al basket, decise di proseguire la propria avventura in ambito cestistico con la maglia di Stanford. Da lì a breve tutto sarebbe cambiato.
Come abbiamo scritto in apertura, la pallacanestro dell’epoca era costituita quasi esclusivamente dai piazzatoni a due mani e con i piedi per terra. Fu in questa scia, impregnata di conservatorismo, che si collocò Luisetti. In totale contrapposizione ai dogmi degli allenatori, Hank fu uno dei primi, se non il primo-paternità sempre molto difficili da attribuire in questi casi- ad adottare il tiro ad una mano in sospensione. Certo lontano antenato, è proprio il caso di dire, della purezza stilistica del jumper di un Ray Allen, ma una rivoluzione copernicana a tutti gli effetti.
Il 30 Dicembre 1936 Stanford giocò contro Long Island University, forte di 43 vittorie consecutive, davanti al pubblico del Madison Square Garden. Su di un palcoscenico così prestigioso, innanzi ad una folla numerosa, Luisetti, pur non facendo registrare numeri roboanti, guidò la sua squadra alla vittoria inattesa. Ancora più importante, per la storia del gioco, impressionò tutti con quello “stranissimo” tiro che, inspiegabilmente ai più, andava dentro con una certa regolarità. La nuova invenzione attecchì in breve. Tutti i ragazzini, tornati a casa, volevano imitare Hank ed il suo jumper. Il dado era stato tratto.
Non era facile difendere quella conclusione, gli avversari ne rimasero spiazzati. In una gara contro Duquesne, nel Gennaio del 1938, Angelo ne mise ben 50, il primo giocatore della storia a riuscire in tale impresa. Eppure, quel tiro era nato per una semplice necessità, in quanto Luisetti, con la soluzione standard, non riusciva neanche vagamente a raggiungere il ferro. Un’altra testimonianza, dopo la storia di Glamack, dell’acume e della creatività della mente umana.
Hank non vinse mai il titolo NCAA, sebbene Stanford vi riuscisse qualche anno dopo, né disputò mai una partita a livello professionistico. Eppure, nel 1950, venne votato al secondo posto nella classifica dei migliori giocatori della prima metà di secolo. Ancora più meritata, qualche anno più tardi, arrivò l’introduzione nella Hall of Fame di Springfield, per l’enorme contributo dato allo sviluppo della pallacanestro. Perché fu grazie a gente come Luisetti o al Blind Bomber che il basket iniziò quella scalata al successo da origini tanto umili quanto mitiche.
Alessandro Scuto