Categorie: Editoriali NBA

Memphis, falsa partenza

Dopo il suono dell’ultima sirena della scorsa stagione, la maggior parte degli addetti ai lavori aveva ormai inserito i Memphis Grizzlies all’interno del novero delle contender della Lega. Certo, la Finale di Conference persa 4-0 contro i San Antonio Spurs aveva lasciato l’amaro in bocca, soprattutto per l’andamento di un paio di partite della serie. Ma, ricordando i tempi bui della franchigia, soprattutto nella parentesi canadese in quel di Vancouver, la soddisfazione per aver costruito un valido progetto era enorme e ben giustificata. In pochi si sarebbero immaginati che la squadra, nel giro di pochi mesi, avrebbe avuto una tale partenza faticosa che, in un Ovest così tremendo, potrebbe anche precludere l’accesso ai Playoffs.

Memphis, al momento, ha un record di 12-16 valevole, si fa per dire, per il tredicesimo posto nella Conference e l’ultimo nella Southwest Division. Fino a qualche stagione fa sarebbe stato un bilancio accolto con manifestazioni degne del carnevale di Rio de Janeiro per le strade della città del Tennessee. Ma ora non più, specialmente dopo le ultime annata così fruttifere all’insegna del Grit’n grid.

Il capitolo infortuni, che tanto sta facendo discutere nella NBA per la moria degli ultimi tempi, non ha lasciato immacolati neanche i Grizzlies. In termini di durata, lo stop più lungo è quello di uno dei più efficaci panchinari della squadra, Quincy Pondexter, fermo fine al termine della stagione per una frattura da stress al piede. Per quanto riguarda il peso specifico, di gran lunga peggiore l’assenza di Marc Gasol, infortunatosi, un mese fa circa, al ginocchio e costretto ai box per almeno un altro paio di settimane.

L’assenza del centro titolare non può essere l’unica scusante di tale avvio grigio. Memphis, infatti, al momento del guaio al catalano aveva un bilancio lievemente superiore al 50%, buono ma decisamente insufficiente per una squadra con certe ambizioni. Senza uno dei propri punti di riferimento, la squadra ha avuto qualche sbandata paurosa, perdendo anche 5 partite consecutive tra l’11 ed il 18 Dicembre. Ma sarebbe troppo semplicistico fermarsi a questa giustificazione.

In Estate i Grizzlies hanno perso l’allenatore forse più importante nella storia della società, quel Lionel Hollins che ha vissuto alcuni mesi tribolati per questioni contrattuali. A sostituirlo è stato chiamato uno dei suoi vice, Dave Joerger, che non è riuscito ad avere l’impatto del suo vecchio capo. In particolare, sul banco degli imputati si trova la difesa di squadra, un tempo fiore all’occhiello mentre oggi ricordo sbiadito. O almeno, sinora.

L’annata passata quella di Memphis era stata la migliore difesa della Lega, con i numeri a fare da testimoni oculari: primi per punti subiti e secondi per defensive rating. In questa stagione le cose non stanno andando come programmato. La squadra è si sesta per realizzazioni concesse agli avversari in media, ma è soltanto alla posizione numero 25 nell’altra categoria, una picchiata feroce che non può essere ascrivibile alla mera assenza del Miglior Difensore 2012-13. I ragazzi di coach Joerger concedono il 46% dal campo agli avversari, compreso il quasi 50% da dentro l’area. Cifre assolutamente impensabili sino a 6 mesi or sono. Osservando le statistiche complessive, notiamo come la formazione del Tennessee sia abbastanza vulnerabile in quasi tutte le zone della propria metà campo difensiva, anche qui con dati in controtendenza rispetto alle abitudini passate.

L’assenza di defensive stops è una lacuna importante all’interno degli equilibri della squadra. Non riuscendo a fermare con efficacia gli avversari in difesa, Memphis non riesce così a sopperire alle croniche carestie offensive già note in era Hollins. Non sorprendono l’ultimo posto per quanto riguarda il pace-factor ed i neanche 94 punti per gara (solo in quattro fanno peggio): tali trend erano presenti anche nelle scorse annate. Solo che venivano coperti da una difesa impenetrabile o quasi. Le tutt’altro che trascendentali percentuali dal campo e da tre punti sono un altro degli elementi ricorrenti all’interno dei mutamenti in casa Grizzlies. La mancanza di un tiratore da fuori affidabile inferisce sulle percentuali dal campo di squadra e neanche l’innesto di Mike Miller ha portato miglioramenti significativi in tal senso. In più, con l’assenza di Gasol, sono venuti a mancare i giochi al gomito che lo vedevano coinvolto più di qualsiasi altro giocatore nella Lega, oltre al tiretto frontale che permetteva di alleviare il fardello offensivo dalle pur possenti spalle di Zach Randolph, sempre impegnato a fare a sportellate nell’area pitturata.

Miglior realizzatore ed assistman è Mike Conley, che in contumacia Gasol è riuscito a compiere un ulteriore step. Tra i primi della NBA per numero di minuti in cui ha la sfera in mano nonché per tocchi totali, l’ex compagno al college di Greg Oden è diventato il secondo, se non il primo, punto di riferimento della squadra. Deve migliorare la percentuale da tre punti, in calo, ma con le sue penetrazioni a canestro, altra specialità in cui è tra i migliori della Lega, è diventato un’importante chiave tattica per riuscire a rompere la monotematicità del gioco dei Grizzlies. Oltre all’infortunato Marc e a Z-Bo, all’ennesima stagione in doppia doppia di media, l’unico altro in doppia cifra è Tony Allen. L’ex campione con Boston vive di opportunismo e rimbalzi offensivi (recentemente ne ha catturati ben 10), ma è assolutamente un non fattore da tre punti, con un misero 1/9 dopo due mesi di regular season. Ad una squadra che è stata abbastanza piatta di recente, una, seppur minima, scossa di adrenalina è stata data da Jon Leuer e James Johnson. Il primo è il migliore di squadra per quanto riguarda la percentuale da tre punti; dall’assenza di Gasol è salito di colpi chiudendo svariate gare in doppia cifra, fornendo un discreto contributo soprattutto nella metà campo offensiva. Johnson proviene direttamente dalla D-League ed ha comunque ben figurato in alcune partite, venendo inserito per 2 volte nel quintetto base. Il resto è poca roba, e ad anche gli altri componenti del pacchetto lunghi, Kosta Koufos ed Ed Davis, sarebbero chiamate ad innalzare il proprio rendimento.

Se la scorsa stagione la cessione di Rudy Gay prima e quella dell’estensione di Hollins dopo, avevano comunque agitato lo spogliatoio, anche in quest’annata la situazione potrebbe volgere verso il cattivo tempo. Memphis è costantemente all’interno di rumors di mercato, che si faranno via via più insistenti sino allo scadere della deadline in Febbraio. Un giorno la franchigia sembra vicina all’acquisizione di Luol Deng, che effettivamente aiuterebbe e non poco le sorti della formazione del Tennessee. Un altro si parla di scambio Ryan Anderson-Randolph con i New Orleans Pelicans, inserendo dentro magari Al-Farouq Aminu. Il denominatore comune sembrerebbe essere Z-Bo, che l’anno prossimo resterebbe a Memphis esercitando la Player Option. Stando a qualche dichiarazione degli ultimi giorni, il giocatore sarebbe disposto ad avvalersi di tale clausola, ma la sua situazione è da monitorare con attenzione, soprattutto osservando come la power forward venga condizionata da tali voci.

Infortuni, squadra che potrebbe essersi sentita appagata dopo le scorse WCF, avvicendamento in panchina non fruttifero e rumors di mercato attorno alla stella designata. In questo calderone poco succoso di eventi, la stagione di Memphis ha bisogno di una svolta netta e decisa. Potrebbe arrivare col rientro di Gasol o magari anche tramite una trade simil-Gay, ma è evidente che ci sia bisogno di una forte scarica elettrica per ravvivare l’ambiente. Il calendario non è dei più semplici, il vantaggio del fattore campo, in una postseason tutta da conquistare, sembra un miraggio lontano, ma con le cose tutte al proprio posto i Grizzlies potrebbero anche agguantare una degli ultimi seed ad Ovest. L’ultima formazione a disputare una Finale di Conference per poi mancare l’appuntamento con i Playoffs l’anno successivo sono stati i Phoenix Suns del 2010. Sta ora a Randolph, Conley e compagni evitare di finire nel libro dei record dalla parte sbagliata.

Alessandro Scuto

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