Rick Barry, Jamaal Wilkes, Phil Smith, Gus Williams e Clifford Ray. Questi, assieme ad altri ovviamente, erano stati gli ultimi giocatori a realizzare una striscia di 10 vittorie consecutive vestendo la maglia dei Golden State Warriors. Correva l’anno 1975, Dicembre per l’esattezza, e quel gruppo di ragazzi avrebbe compilato una serie di affermazioni una dopo l’altra che sarebbe rimasta imbattuta per decenni. Almeno, fino all’arrivo di Steph Curry.
Gli attuali giocatori della franchigia californiana stanno compilando una delle migliori stagioni nella storia dei Warriors, tradizionalmente considerati come una delle formazioni di secondo piano della NBA, sicuramente dagli anni’90 in poi. Tra il 1994 ed il 2006, Golden State ha mancato per 12 anni di fila l’appuntamento con la postseason. Poi, dopo la storica affermazione contro Dallas, testa di serie numero 1, nel 2007 con Baron Davis sugli scudi, sono seguite altre 5 stagioni terminate a metà Aprile. La musica, tuttavia, sembra essere cambiata dall’anno scorso.
Agli ordini di coach Mark Jackson, la squadra è maturata enormemente negli ultimi anni. Dopo la Semifinale di conference dell’anno passato persa contro i San Antonio Spurs, i Warriors stanno confezionando un’ottima stagione che, al momento, li vede con un record di 25-14, impegnati ad assicurarsi il vantaggio del fattore campo nel primo turno dei Playoffs. Anche perché, a dispetto del recente grigio passato, l’obbiettivo dichiarato è uno e uno solo: il titolo.
La partenza di Golden State è stata col botto, forte di 8 vittorie nei primi 11 incontri disputati. Poi, l’infortunio dell’acquisto estivo, Andre Iguodala, ha comportato qualche sconfitta di troppo, con un bilancio attestatosi sul 14-13 pochi giorni prima di Natale e dal saldo decisamente negativo date le grandi ambizioni. Da lì, col ritorno dell’ex Philadelphia e Denver, le cose si sono messe al loro posto, con la già citata striscia di 10 vittorie consecutive. Se non fosse stato per un’inopinata sconfitta contro dei Nets comunque in ascesa, Curry e compagni sarebbero diventati la prima squadra a vincere 7 gare di fila in un road trip.
Era da parecchio tempo che la parola “Warriors” non fosse accostata a quella “contender”, ma oggi i “sintomi” ci sono tutti. Il gruppo è ben allenato, affiatato ed equilibrato, con un leader riconosciuto e letale nei finali di partita nonché virtualmente imbattibile con Iguodala in campo. Rispetto alla passata stagione, i miglioramenti più sensibili sono avvertibili nella metà campo difensiva, dove la formazione di Jackson occupa il decimo posto per punti concessi di media e addirittura il terzo per defensive rating. Ciò è facilmente spiegabile sia con l’innesto di Andre sia con un, toccando ferro, Bogut in salute e disponibile sin dall’inizio. L’australiano, che sta dando via 1,7 stoppate ad incontro, è uno dei motivi per il quale la squadra è tra le migliori a protezione del canestro, nonostante l’indisponibilità di Festus Ezeli prima e di Jermaine O’Neal poi, entrambi ottimi intimidatori. In generale, Golden State è la quarta difesa per percentuale concessa, 43%, la prima se consideriamo la fascia tra i 20 ed i 24 piedi dal canestro (6-7 metri circa). A completare un già roseo quadro arriva il dato nei rimbalzi totali (terzi nella Lega), nella percentuale dei rimbalzi difensivi conquistati (secondi) ed anche le posizioni per quanto riguarda recuperi e stoppate. Questi Warriors fanno sul serio.
Con una difesa del genere ed in costante crescita negli ultimi mesi, è facile intuire come i Golden State Warriors possano davvero ambire a qualcosa di più di un semplice passaggio del turno. Anche perché, una volta giunti nella metà campo offensiva, le cose non peggiorano, anzi. Innanzitutto si entra nella infinita zona di tiro di Steph Curry, l’assassino col volto angelico e capace di tirare con naturalezza ed efficacia da 8-9 metri. La squadra, nel complesso, è ottava per punti segnati (oltre 103), solo quattordicesima per offensive rating ma nelle prime cinque posizioni se andiamo a verificare la percentuale dal campo complessiva e da tre punti ed anche il numero degli assist. Come detto già in precedenza, la distribuzione di responsabilità, tiri e compiti offensivi è ben precisa e chiara agli elementi dello spogliatoio. Come è facile intuire, grande importanza è data al tiro dalla lunga, non potrebbe essere altrimenti con gli Splash Brothers al loro meglio ed in fiducia. Se Klay Thompson è letale come spot up shooter, Curry si affida molto all’arresto e tiro, anche da distanze siderali. Con la palla saldamente nelle mani dell’ex Davidson, si rivela particolarmente utile il suo estro in situazioni di pick&roll, che coinvolgono tanto Bogut quanto, soprattutto, David Lee. L’ex New York Knicks, virtualmente assente nella scorsa postseason, si fa carico dei punti nel pitturato, attaccando anche schiena a canestro e chiudendo con l’amata mano mancina. Da segnalare l’importanza in situazione di clutch di Iguodala, già autore di due buzzer-beaters in stagione. Con Curry braccato come un fuggitivo da Alcatraz e Thompson guardato a vista, è importante che Andre continui a dimostrarsi un valido appoggio, in virtù di buonissime percentuali, pure lui, nel prendi e tira. Da questo mix di possibilità ne scaturisce, spesso, un mal di testa di un certo spessore per le difese avversarie.
23 punti ed oltre 9 assist di media: le statistiche di Steph iniziano a far paura, tanto quanto le mappe di tiro e l’efficacia in situazione di ultimo possesso. La crescita del numero 30 è costante, sembra avviato verso il primo All Star Game in carriera così come, a meno di strisce negative, di essere quantomeno preso in considerazione per il titolo di MVP stagionale. Sicuramente la maggior parte di addetti ai lavori e tifosi gli hanno già riconosciuto la palma di giocatore più eccitante da vedere con un pallone in mano, capace di strabilianti giocate da far strabuzzare gli occhi. Tra l’altro Curry riesce a produrre un buon numero di punti da penetrazione, rendendo ancora più variegato l’arsenale offensivo, personale e di squadra. Klay Thompson è il giocatore con più punti segnati in situazione di catch and shoot, sfiorando i quasi 20 di media con il 45% dal campo. Letale anch’egli da quasi tutte le zone oltre l’arco, si è rivelato essere un ottimo difensore, spesso assegnato all’avversario più pericoloso. Con un pizzico di costanza in più nella postseason può ulteriormente migliorare e spalleggiare Curry quando l’aria si farà più rarefatta.
Dalla panchina l’unico in doppia cifra è Harrison Barnes, esploso negli scorsi Playoffs. L’arrivo di Iguodala gli ha precluso lo sbocco in quintetto base e frenato un po’ la crescita, ma sarà sempre utile con i mismatch generati, l’atletismo ed il tiro da fuori. Detto dell’assenza di O’Neal, ha deluso l’altro arrivo estivo, Toney Douglas, bloccato anche da un infortunio. Nelle scorse settimane si è parlato del possibile arrivo di Kirk Hinrich dai Chicago Bulls, che farebbe impennare ulteriormente le quotazioni della squadra. Importante l’impatto difensivo di Draymond Green, classico settimo-ottavo elemento di una buona rotazione, in rialzo le quotazioni di Kent Bazemore mentre ci si aspetta qualcosa di più da Marreese Speights.
Il lavoro di Mark Jackson, possibile candidato al titolo di Allenatore dell’Anno, ha iniziato a dar frutti già dalla scorsa stagione. Innamorato dei suoi ragazzi, è pronto a condurli verso un ulteriore step. Il calendario prevede tante partite casalinghe da qui all’All Star Break e sarebbe consigliato accumulare quante più vittorie possibili per garantirsi uno dei primi 4 posti nella Western Conference. Difficile, vista la concorrenza, ma decisamente non impossibile ed alla portata. La speranza è che la salute accompagni questa squadra sino alla fine, soprattutto le preziosissime caviglie di Curry, indispensabili in ottica postseason. Steph, Klay e compagni vogliono regalare tante gioie alla sempre caldissima Oracle Arena, arrivando magari alle Finali di Conference. Un traguardo che a questa franchigia manca, guardacaso, proprio da quel 1975-76.
Alessandro Scuto