Categorie: Editoriali NBA

Lakers, un’annata da dimenticare in fretta

Tempi duri per l’armata gialloviola ed i numerosissimi fan di cui gode, anche in Italia. I Los Angeles Lakers, infatti, sono incappati in una stagione da ricordare, ma al rovescio. Quando siamo giunti al giro di boa della regular season, i ragazzi di coach Mike D’Antoni hanno un record decisamente perdente e sembrano avviati verso il mancato accesso alla postseason, una vera rarità nella gloriosa storia della seconda franchigia più vincente della Lega. Oltre al danno la beffa: la supremazia cittadina, già parecchio vacillante nelle ultime due annate, sta decisamente facendo pendere il proprio ago della bilancia dalla parte dei cugini rampanti Los Angeles Clippers.

Dopo la sconfitta sul campo dei Miami Heat, il bilancio segna il rosso: 16 vittorie a fronte di ben 27 sconfitte, con una picchiata verso i bassifondi della Western Conference che si è parecchio accentuata nell’ultimo mese, dopo aver sorpreso in tanti nelle prime settimane. Sì, perché in realtà questa stagione era nata in maniera infausta con il già noto infortunio di Kobe Bryant, ma sul campo tale assenza importante era stata, almeno in parte, messa in secondo piano dalle prestazioni dei “comprimari” di LA. Fino ad inizio Dicembre, infatti, il record della squadra era al di sopra del 50%, contraddicendo quanto ipotizzato in sede di pronostici. Con il rientro di KB24, e l’inevitabile momento di ripristino delle vecchie gerarchie, dopo un lieve calo la squadra è rimasta costante nell’andamento, fino al 20 Dicembre, 13-13 e la convinzione che, con il Black Mamba ristabilito, i Playoffs potessero essere raggiunti, di riffa o di raffa. Da lì in poi, tuttavia, le cose sono andate decisamente a Sud.

Proprio in quel periodo, infatti, la tegola: il nuovo stop per Kobe, azzoppato da un serio guaio al ginocchio. La squadra non ha retto, anche perché, come nella passata stagione, si è verificata una vera e propria ecatombe, che ha coinvolto soprattutto i playmaker. Steve Nash è stato in campo per sole 6 partite, prima di doversi fermare per i cronici guai alla schiena. Jordan Farmar ha fatto dentro e fuori diverse volte, ma anche lui è fermo già da tempo a causa di guai al tendine del ginocchio che lo hanno tormentato dalla prima palla a due. Steve Blake, uno dei protagonisti delle prime settimane, si è rotto un legamento del gomito, fermandosi sul più bello e non vedendo ancora vicino il rientro. Ad essi aggiungiamo una delle poche note positive di quest’annata infausta, Xavier Henry, anche lui “out indefinitely” per via del ginocchio. Un vero e proprio bollettino di guerra.

Si può ben immaginare, quindi, come da Natale in poi il cammino si sia fatto particolarmente impervio per i Los Angeles Lakers: in un mese sono arrivate solo 3 vittorie a fronte di 14 sconfitte, con due strisce di ambedue sei stop consecutivi. Quanto fatto di buono per la prima parte di stagione si è andato via via perdendo, per far spazio a problemi ormai troppo evidenti e che denunciano certi limiti della gestione D’Antoni. Facile intuire come la difesa sia sul banco degli imputati. A differenza di altre versioni di squadre condotte da Mike, almeno inizialmente questi Lakers provavano a difendere, sforzandosi e lottando su ogni pallone. Ciononostante, complice anche il già citato ultimo periodo, la squadra è penultima per punti concessi (quasi 106) ed alla posizione numero 26 per defensive rating, con nessuno dei giocatori a roster presente nelle speciali classifiche individuali di tale statistica. L’unica eccezione è Farmar, uno dei pochi costanti nell’applicare pressione di un certo livello sul proprio avversario. Da 10 gare filate vengono concessi 100 o più punti, con il nadir toccato a quota 137, in casa contro i Denver Nuggets lo scorso 5 Gennaio. Difficile fare di meglio quando si concede il 60% al ferro ed il 45% complessivo, che consta tra l’altro di ottime percentuali difensive per quanto riguarda il tiro da tre punti. Manca un vero intimidatore, non può esserlo Pau Gasol che, infatti, è tra i peggiori nel difendere il proprio canestro, vuoi per svogliatezza cronica, qualche problema fisico che lo ha attanagliato e compagni di backcourt in modalità telepass contro avversari che vanno in penetrazione. In tal senso, non devono ingannare le 5,7 stoppate di media di squadra, quinto dato dell’intera NBA, per altro “controbilanciato”, se vogliamo, dal terz’ultimo posto per palloni rubati. A coronare il tutto, la statistica forse più emblematica di tutte: i Lakers sono penultimi per percentuale di rimbalzi difensivi catturati ed ultimi per rimbalzi offensivi totali concessi. In poche parole, Los Angeles ferma raramente gli avversari, soprattutto quando si presentano in vernice; quando lo fa, non riesce nemmeno a recuperare pallone e possesso.

Le carenze difensive non sono state controbilanciate da un attacco scintillante come poteva essere quello della Phoenix di metà del decennio scorso. I gialloviola si assestano in anonime posizioni di metà classifica, sedicesimi per punti segnati ad incontro (100,6) e ventiduesimi per offensive rating. Il ritmo è sempre alto (terzo pace factor dell’intera Lega), ma ondivaghe e decisamente migliorabili le percentuali, sia da tre (36,7%) che da due. Il periodo senza playmakers ha senz’altro contribuito a tale trend, ma nondimeno LA è tra le prime dieci per assist di media, un dato in salita da quando è stato ingaggiato Kendall Marshall, di cui a breve parleremo. Chiaro che si senta anche la mancanza di uno scorer affidabile quale Bryant, cui affidare la palla in mano nei momenti salienti di un incontro. La sua presenza sarebbe stata vitale, in quanto capace di calamitare raddoppi in grado di aprire varchi per i tiratori appostati sul perimetro, segnatamente Jodie Meeks (uno dei migliori nella NBA per punti da situazioni di prendi e tira) o Wesley Johnson, atletone capace di mettere bombe importanti ma che ormai non sembra più in grado di giustificare l’alta scelta di qualche Draft or sono.

Sorpresa, sorpresa: il top-scorer dei Lakers è Nick Young, con una media di 17,1 punti ad allacciata di scarpe. Partito dalla panchina in 33 incontri su 41, l’ex Washington Wizard è l’uomo incaricato di fornire una preziosa scarica di energia e dare linfa vitale a tutta la squadra. Incosciente, in ambedue le accezioni del termine, Young è colui che non si tira indietro quando il pallone scotta, fornendo una doppia variante a Los Angeles: è, infatti, tra i primi 50, circa, della Lega per quanto concerne punti da penetrazione e per catch&shoot, prendendosi anche diverse iniziative in isolamento, non di rado avventate. Le percentuali, se escludiamo quella frontale da tre punti, sarebbero passibili di miglioramento, così come è impietosa la cifra “1,4” sotto la voce “assist”, ma è innegabile che Nick sia una delle poche fonti d’eccitamento per i tifosi che riempiono lo Staples Center. Secondo realizzatore e primo rimbalzista a 10 di media è Pau Gasol, di cui molto ormai si è detto e letto da quando D’Antoni è l’head coach dei Lakers. Il catalano è sempre sul piede di partenza, probabilmente solo le richieste esplicite di Kobe gli hanno evitato una trade con destinazione Cleveland, Minnesota o Chicago, ma è da vedere se passerà indenne la prossima deadline. Tanti i tocchi al gomito per lui, proprio come il fratello Marc, solo che è palese la voglia di Pau di avere più possessi spalle a canestro dove, tuttavia, mostra di essere in declino per efficacia e produzione rispetto alle annate dei titoli, come rispecchiato anche dalla mappa di tiro. Questo, unita alla riluttanza nel prendersi tiri da fuori area, dove, per inciso, è tutt’altro che malvagio, ed alla già citata passività e svogliatezza nella propria metà campo, hanno fatto di Gasol un facile bersaglio per le critiche da parte dei propri tifosi. Nelle prossime settimane scopriremo se il sodalizio con Bryant ed i Lakers avrà davvero fine dopo 6 anni.

Una delle note più liete in casa giallo-viola è stato l’arrivo di Kendall Marshall, proveniente dalla D-League dopo esser stato scartato da Suns e Wizards. L’ex Tar Heel si è subito preso possesso delle chiavi della squadra, mettendo su cifre interessanti anche grazie all’assenza di altri registi nella formazione californiana. Gli assist sono oltre 9 ad incontro, con numeri importanti per opportunità servite ai compagni e gestione dei possessi offensivi. Anche la mano non è disprezzabile, nonostante una meccanica di tiro leggermente imperfetta, diventando in breve il più preciso dalla lunga distanza dei suoi, con il 46%. E’ chiaro che commette ancora diversi errori (siamo a 3 palle perse di media), sostanzialmente ha giocato una sessantina di partite nella NBA ma, soprattutto in un sistema come quello di D’Antoni, può mettere su ottime cifre ed imparare presto il mestiere, anche grazie ai preziosi insegnamenti di Nash. Con un po’ di pazienza ed adattamento, può essere anche un ottimo backup del playmaker titolare nei Lakers del futuro, anche se la fase difensiva mostra lacune preoccupanti. Chiudiamo con una menzione d’onore per la panchina. Palese che la presenza di Young spieghi come sia una delle più produttive della Lega, ma oltre all’ex USC ci sono altri elementi validi: il già citato Henry, partito in maniera spettacolare, Jordan Hill, secondo assoluto per percentuale di rimbalzi offensivi catturati in una squadra che non eccelle particolarmente, o Ryan Kelly, le cui quotazioni sono in ascesa. Molti di questi, tuttavia, potrebbero non far parte della squadra nel futuro prossimo venturo.

L’estate 2014 è un crocevia importante per la franchigia. Firmato Bryant, ci potrebbe essere ancora spazio per un altro pezzo grosso dal mercato dei free agent. Le fantasie di tifosi e giornalisti non hanno limiti, per questo non ci si deve stupire quando ai californiani vengono accostati nomi quali Lebron James o, dato come più plausibile, Carmelo Anthony. Possibile anche che arrivi una scelta altina al Draft, soprattutto se il trend rimarrà questo e molti infortunati non riusciranno a tornare in tempo utile. Kobe ha affermato di voler rientrare al più presto e di cercare un grande sforzo in ottica postseason. Il calendario non è impossibile, con più gare casalinghe che in trasferta, ma ci sono grossi indizi che i Los Angeles Lakers non faranno i Playoffs per la prima volta dalla stagione 2004-05 e per la seconda occasione negli ultimi 20 anni. Anche se scommettere contro il Black Mamba non è impresa facile e da far a cuor leggero.

Alessandro Scuto

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