Categorie: Editoriali NBA

David, una vita per l’NBA

Giorno 1 Febbraio è una data che per molti potrebbe sembrare quasi insignificante all’interno del panorama NBA. Le solite partite di regular season di un calendario che sta procedendo via velocemente, a ridosso dell’All Star Game ed in vista della volatona finale verso i Playoffs. L’America è in fermento per l’evento sportivo forse più atteso dell’anno, il Super Bowl, che letteralmente paralizza gli States. Eppure, a ben vedere, in tale giornata si verificherà un evento alquanto importante, per non dire storico: un regno vedrà la propria fine. Un periodo che, almeno cestisticamente, è durato più dei vari imperi di Jordan, Magic, Bird e compagnia, influenzando profondamente l’evoluzione della Lega. L’1 Febbraio avrà fine l’era David Stern.

In questi giorni tanto si sta scrivendo sulla conclusione di un’avventura che ha attraversato quasi mezzo secolo di pallacanestro a stelle e strisce, proiettando l’NBA verso un’affermazione planetaria che era totalmente impensabile sino ad alcune decadi or sono. Stern è stato al timone di questo enorme vascello per trent’anni esatti, prendendo il testimone da Larry O’Brien nel 1984 e diventando il nuovo Commissioner della Lega. In pochi si sarebbero aspettati, in quel tempo, che ne sarebbe divenuto il più importante della storia, senza nulla togliere ai fondamentali pionieri che lo hanno preceduto.

Nato il 22 Settembre 1942 a New York, il piccolo David nacque in una famiglia ebrea che si trasferì nel vicino New Jersey. Sin da subito sviluppò una certa propensione verso il mestiere che lo avrebbe segnato per il resto della propria esistenza, l’avvocato. Sotto tali vesti, un giovane e brillante Stern ebbe precoci contatti con quel mondo che lo avrebbe visto a capo dagli anni Ottanta in poi. Già nel 1966, a soli 24 anni, divenne consulente esterno dell’NBA. Una decina di anni dopo ne sarebbe diventato il legale principale, in una scalata ai vertici che non si sarebbe certo fermata. Nel 1980 fu nominato come Executive Vice President da O’Brien, per poi succedergli l’1 Febbraio 1984 come nuova entità suprema della Lega. Il resto è storia.

Per capire il contributo essenziale di David Stern allo sviluppo dell’intera organizzazione, basterebbe analizzare come e cosa era la National Basketball Association prima dell’avvento dell’avvocato della Grande Mela. I problemi e le difficoltà attanagliavano il basket americano, impedendone una vera e propria espansione, anche all’interno degli stessi confini nazionali. Tematiche quali la droga, vero spettro che aleggiava tra le varie franchigie, le frequenti risse, ad esempio il famoso pugno di Kermit Washington a Rudy Tomjanovich, ed un generale disinteresse verso le sorti della Lega erano le cause di tale situazione. Il culmine venne raggiunto proprio all’inizio degli anni Ottanta, con le Finals trasmesse in differita, per un’NBA considerata uno sport quasi di nicchia, sottomesso da football, baseball e hockey. Nessuna diffusione in tutto il mondo, quasi inesistenti i giocatori provenienti da oltreoceano e contratti davvero ridotti ai minimi termini. La Lega, che era stata già salvata una prima volta dagli scontri titanici tra Russell e Chamberlain, sembrava essersi avviata verso una spirale auto-distruttiva. Poi è arrivato David.

Potrebbe sembrare quasi eccessivo affermare che Stern abbia salvato l’NBA, a maggior ragione con il contemporaneo accendersi della rivalità tra Magic e Bird, l’esplodere del fenomeno Jordan per arrivare sino all’epoca attuale. Eppure la mano del Commissioner è stata ben visibile dietro tante iniziative che hanno rilanciato l’immagine della Lega, per poi lanciarla verso la stratosfera sfruttando anche le rinnovate gesta dei nuovi eroi in canotta e pantaloncini. Forse è ironia del destino, ma proprio nel 1984 successero diverse cose di un certo spessore a livello sportivo. Le Finali di quell’anno furono tra le più belle in assoluto, con i Celtics a prevalere in 7 cruente gare sui Lakers. Poi fu la volta del primo Draft dell’era Stern, che passerà alla storia come il più ricco di sempre. Ben 4 futuri Hall of Famers salirono sul palco dopo la fatidica chiamata di David: Hakeem Olajuwon, Michael Jordan, Charles Barkley e John Stockton. La strada era stata segnata.

A livello commerciale, gli ultimi 30 anni hanno visto una grande fibrillazione ed una costante ed inesorabile crescita, aumentando a dismisura i profitti della Lega. Le sponsorizzazioni, prima pressoché nulle, sono iniziate a fioccare in sequenza: Gatorade, Coca-cola e chi più ne ha più ne metta. Stern ha sempre voluto espandere il proprio marchio al di fuori degli Stati Uniti, spingendo le franchigie ad organizzare incontri in nazioni straniere sotto l’egida dei “Global Games” e mettendo anche lo zampino nella partecipazione dei professionisti alle Olimpiadi. Il Dream Team 1992 segnò, in tal senso, la definitiva rottura con l’epoca precedente, cavalcando l’ascesa ineluttabile di Michael Jordan, diventato una delle prime icone sportive a livello globale. Firmando accordi miliardari con i principali network televisivi, il Commissioner si assicurò una presenza costante ed in prime time all’interno dei palinsesti, avendo sempre un occhio di riguardo verso tale versante. Da segnalare, inoltre, come l’NBA sia stata una delle prime organizzazioni sportivi a sfruttare i vantaggi di Internet, tenendosi sempre costantemente aggiornata nel campo delle tecnologie. Con l’arrivo dei primi giocatori stranieri, David Stern aveva ormai segnato in modo indelebile un’epoca.

Nonostante i salari medi dei giocatori siano cresciuti enormemente rispetto agli anni’70 e la fondamentale introduzione del salary cap, i momenti forse più difficili dell’era Stern sono coincisi con i due lockout, le serrate dovute al contratto collettivo. Tenendo fede al significato del proprio cognome, “rigido”, il numero uno dell’Olympic Tower in ambedue le occasioni, 1999 e 2011, è riuscito a far da mediatore tra le parti in causa con un’opera costante di sfiancamento dei negozianti. I momenti di forte tensione non sono mancati, tanto con i giocatori quanto con i proprietari, ma alla fine si è sempre riusciti a far avviare la regular season. La mano dura del Comissioner è stata ben visibile in tante occasioni, comminando multe salatissime per sconsigliare le risse, una delle piaghe del passato, le simulazioni, argomento recente, o tutte le attività che, a suo giudizio, esulavano dallo spirito del gioco. Tra le vittime preferite Mark Cuban, con il quale vi è sempre stato un rapporto profondo di odio-amore, e anche Gregg Popovich, soprattutto dopo la partita, in diretta televisiva nazionale, della scorsa regular season a Miami in cui tenne a riposo i propri Big Three. Memorabile anche la lavata di capo che i Minnesota Timberwolves ricevettero per aver promesso un contratto futuro più remunerativo a Joe Smith in cambio di una firma più “leggera” due anni prima. Il risultato? Contratto invalidato, T-Wolves puniti di 3 milioni e mezzo di dollari e privati per 3 anni della prima scelta al Draft. Mai scherzare con Stern.

Non sono mancate polemiche e controversie durante questo regno. Tra le teorie cospiratorie, la più celebre è legata al Draft 1985, il primo col meccanismo della Lottery, altra innovazione del Commissioner. Leggenda vuole che il sorteggio sia stato pilotato per garantire ai detentori della prima scelta, i New York Knicks, la possibilità di assicurarsi il ragazzo-prodigio da Georgetown, tale Patrick Ewing. Ancora oggi questo è uno degli argomenti capaci di far perdere il sorriso al numero 1 della Lega. Nel 2007, invece, scoppiò lo scandalo Tim Donaghy, con l’ex arbitro che venne accusato di aver scommesso sulle partite, alterando anche l’andamento di alcune con i propri fischi. La situazione era particolarmente spinosa ma David gestì la situazione egregiamente ed evitando l’emergere di ulteriori sospetti, ingaggiando come supervisore degli uomini in grigio addirittura un ex-generale delle forze armate. Recentemente, ha suscitato forti dubbi la decisione di Stern di non far finalizzare una trade che avrebbe portato Chris Paul ai Lakers. In qualità di reggente ad interim degli Hornets, nell’attesa della nuova proprietà, David decise di rifiutare tale proposta per non far mutare ulteriormente, a detta sua, gli equilibri della Lega.

Ci sono sempre state tante facce di David Stern. Oltre a quella abbastanza severa, vi è quella molto più bonaria e saggia, che sa ascoltare esigenze e proposte di tutti. Fu lui a dare il consenso finale alla presenza di Magic Johnson all’All Star Game’92, dopo il ritiro causa HIV. Fu lui ad essere vicino a MJ durante i tristi giorni dell’uccisione del padre, o a consigliare Artest di farsi trovare in ottima forma per la stagione seguente dopo avergli comminato la sanzione record dopo i fatti al Palace di Detroit. C’è sempre stato Stern dietro iniziative come NBA Cares o tutte gli eventi legati al sociale ed alla comunità, in un’opera continua di “repulisti” dell’immagine del giocatore NBA dopo il nadir degli anni’70. In tale opera si è iscritto anche il famigerato dress code che, dopo le iniziali polemiche legate a persone come Iverson profondamente legate alla cultura ed allo stile hip-hop, ormai oggi è stato accettato senza troppi patemi. C’è ancora Stern dietro l’apertura verso gli afro-americani, le donne (con la creazione tanto voluta della WNBA) e, in generale, verso le altre culture, come possono dimostrare le varie “Noches Latinas”o “Italian Day”. Non a caso, in una Lega tanto all’avanguardia in tal senso, vi è stato anche il primo caso di giocatore omosessuale dichiarato, Jason Collins.

Per quanto riguarda il fronte “interno”, dell’epopea Stern possiamo citare il proliferare delle franchigie, giunte sino a quota 30 grazie alla nascita di Heat, Magic, Bobcats, Raptors, Grizzlies, Hornets e Timberwolves. Nello stesso periodo, è stato avallato il trasferimento di altre 6 formazioni, con un caso, soprattutto, che ha fatto discutere, ossia il passaggio dei Sonics da Seattle ad Oklahoma City. Lo stesso All Star Game, dal 1984 in poi, ha ricevuto nuova linfa, con l’introduzione dei vari contest del sabato e di tutto il carrozzone pubblicitario di contorno, idem dicasi per le Finali ed i Playoffs, oggi largamente pubblicizzati e con una vasta eco all’interno dei mass media. Sul piano regolamentare, sono state introdotte tante novità in questi decenni, volte alla spettacolarizzazione del gioco ed al tentativo di scoraggiare lo stile lento e fisico. Non sempre si è ottenuto un risultato apprezzabile, vedi l’orrendo semicerchio o i passi concessi soprattutto alle stelle, ma talvolta lo stesso Stern è stato abile ed intelligente a fare marcia indietro, come per il caso dei nuovi palloni, prima introdotti e poi abbandonati dopo molte lamentele.

Dopo 30 anni al servizio della NBA, il regno di David Stern avrà dunque il suo epilogo, con il successore, Adam Silver, pronto a raccogliere un testimone e, contestualmente, un fardello abbastanza impegnativo. Genio del marketing, visionario, rigido, innovatore, di polso, aperto verso l’esterno, intransigente. Queste le mille sfaccettature di un uomo che, probabilmente, è stato il più grande Commissioner non solo della pallacanestro, ma di tutti gli sport americani. Ora si occuperà di altri affari, sarà ancora l’ambasciatore della Lega cui ha legato indissolubilmente il proprio nome ed assumerà una posizione più defilata all’interno dell’organizzazione. Ma niente paura: se ci sarà qualche problema o qualche caso spinoso, il vecchio e saggio David avrà sempre l’ultima parola.

Alessandro Scuto

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