Siamo ormai nel pieno della stagione collegiale, la prima metà della stagione è già passata da un po’ e le partite di conference sono entrate nel vivo: qui si distinguono gli uomini dai ragazzini, Dick Vitale perde la voce, la gente comincia a non avere più football da vedere in tv e le cheerleader cercano di rimettersi in forma per le dirette nazionali su ESPN. Se in questi primi tre mesi avevate di meglio da fare, lo spero per voi, o se semplicemente l’ultimo happy hour a base di metanfetamine vi ha fatto scordare i nomi dei vostri parenti più stretti, figuriamoci quelli del sesto uomo di Nebraska, ecco a voi un breve sunto in punti (così se uno vi annoia potete passare a quello successivo) che può aiutarvi a capire dove sono e dove sembrano destinate ad andare le squadre principali delle 7 Major Conference, cercando di coprire tutte le squadre favorite per la vittoria finale e non solo, ma visto che non vogliamo essere tacciati di sostegno alle multinazionali, fascismo e crimini di guerra, nei nostri appuntamenti settimanali vedremo di dare spazio anche alle mid-major (le squadre appartenenti alle altre 26 conference) che poi a marzo spesso si rivelano ospiti scomodi per le università più blasonate. Bando alle ciance e iniziamo le nostre piccole ricapitolazioni: seguiremo un ordine alfa-numerico ponderato in modo che nessuno dei coach di Division I “che ci seguono” (cit. Gerry Scotti riferito a Barack Obama e signora) si offenda e ci faccia causa. Partiamo quindi dalla AAC.
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La neonata American Athletic Conference, è nata in seguito ai cambiamenti avvenuti all’interno delle conference prima dell’inizio della stagione (cambiamenti dovuti a questioni di soldi legati al football, ma che hanno colpito anche il basket) ed è composta principalmente da ex squadre della Big East (Connecticut, Louisville, Cincinnati..) e della Conference USA (Memphis, Houston, SMU).
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#12 Louisville (17-4, 6-2), dopo il titolo NCAA conquistato lo scorso aprile, ha iniziato la stagione da superfavorita all’interno della conference e da favorita, insieme alla rivale Kentucky, per la vittoria finale, sebbene tutti sappiano quanto sia arduo ripetersi a livello collegiale. Le previsioni però sono fatte per essere smentite e a questo punto della stagione per i Cardinals il repeat sembra un’ ipotesi piuttosto difficile, anche se non è ancora tempo di contare i Cardinals fuori da ogni corsa per il titolo, come già in molti facevano subito dopo la sconfitta contro Kentucky e il successivo addio a Chane Behanan, a causa di comportamenti inadatti all’ateneo (a quanto pare alcool e droga), che hanno visto pochi giorni fa trasferirsi a Colorado State il ragazzo da Cincinnati. Dopo la sconfitta nel “derby” contro Kentucky sono arrivate 6 vittorie nelle successive 8 partite, con le sconfitte arrivate contro le due rivali principali all’interno della conference, ovvero Memphis e Cincinnati.
Proprio il fatto che queste sconfitte siano arrivate contro le due squadre migliori della conference fa riaffiorare però i problemi legati alle quality wins: i Cardinals hanno perso tutte e quattro le partite che hanno affrontato contro squadre appartenenti al ranking, nel caso di Memphis e Cincy perdendo peraltro tra le mura amiche delle Yum! Center.
Russ Smith marcato da Ryan Boatright di Connecticut (louisvillesportslive.net)
Aspetti positivi però ci sono: in primis per pensare positivo potrà aiutare i Cardinals il fatto che a questo punto, l’anno scorso, la squadra avesse esattamente questo record e questa posizione del ranking: sappiamo tutti come sia andata a finire. Segnali di grande crescita si sono poi visti da parte di Montrezl Harrell che ha realizzato quattro doppie doppie nelle ultime 6 uscite ed è stato il miglior realizzatore dei suoi, con 18 punti, nell’ultima partita contro Cinicinnati: inutile dire che molta della stagione di Louisville passi da lui. I miglioramenti ci sono stati anche a livello difensivo dove i Cards sono ritornati alle vecchie abitudini fatte di pressing e valanghe di palle rubate, dopo essere parsi incredibilmente quasi passivi nella prima parte di stagione. Nel backcourt troviamo una vecchia conoscenza in Russ Smith, atleta impressionante nonché realizzatore instancabile che però talvolta si lascia ancora andare a giocate deleterie per la squadra, sebbene queste gli “debbano” venire concesse viste anche tutte quelle invece decisive realizzate nella sua carriera a Louisville. Oltre a Smith nel backcourt troviamo il tiratore Luke Hancock, MVP delle scorse Final Four, e il JuCo transfer Chris Jones, realizzatore esplosivo che ha fatto vedere molte cose positive, ma che con il suo infortunio contro SMU ha fatto sì che potesse salire alla ribalta il freshman Terry Rozier, con cui la squadra pare aver trovato un maggiore equilibrio in attacco, aspetto non disprezzabile visto il libertinaggio di Smith. Al ritorno di Jones nella partita con Cincinnati è stato Rozier a partire titolare, spartendosi i minuti con Jones, in una partita in cui entrambi hanno avuto buona cura della palla. Vedremo nelle prossime gare se Jones si riapproprierà del posto da titolare o se si continuerà con questa staffetta. Resta da provare la capacità di vincere partite contro squadre di alto livello, visti anche i limiti del frontcourt, ma per l’inizio delle torneo dovremmo avere le idee un po’ più chiare visto che i Cardinals dovranno affrontare ancora le trasferte in casa di Memphis, Cincinnati e SMU, ma al momento i Pitino’s sembrano un futuro seed #5/#6 al torneo, con tutte le difficoltà che ne conseguirebbero.
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Menzionavamo i #22 Memphis Tigers (16-4, 6-2) e la loro vittoria contro i Pitino’s, con la quale si sono rifatti dopo la sconfitta casalinga contro Cincinnati e hanno portato a casa la seconda vittoria contro una squadra della top-25 nell’era di coach Josh Pastner, con la prima che era arrivata sempre quest’anno ai danni di Oklahoma State (dopo che nel primo incontro erano stati “uccisi” da Marcus Smart). Il gioco di Memphis poggia prevalentemente sulla produttività delle quattro guardie senior (ovvero al quarto e ultimo anno) a roster, che formano uno dei migliori backcourt della nazione e tra cui spicca l’idolo di casa Joe Jackson, ma proprio per questo a inizio stagione risultava essere una squadra a metà, con Shaq Goodwin e il freshman Austin Nichols che venivano troppo raramente cercati dai compagni, sebbene sappiano far pagare dividendi in attacco quando coinvolti, viste anche le ottime doti di passatore di Goodwin.
Proprio Goodwin sta però affrontando ora il suo periodo migliore della stagione (6 partite consecutive in doppia cifra prima dei sei punti contro UCF), con i compagni che iniziano a capire quanto valore possa avere un ottimo passatore dal post per migliorare le carenti percentuali al tiro da fuori.
La sconfitta di inizio Gennaio contro Cincinnati ha però dimostrato come, abbassando i ritmi e con una difesa d’elite, le guardie dei Tigers possano essere tenute a pessime percentuali e se Jackson e co. giocano sotto le aspettative le partite tendono ancora a divenire troppo difficili per Memphis che dovrà continuare a cercare una maggiore multidimensionalità ed efficacia a rimbalzo.
Questi limiti sono tornati a vedersi nella sconfitta casalinga contro UConn in cui i Tigers, oltre a riuscire nell’impresa di perdere la sfida a rimbalzo contro gli Huskies, sono dovuti sottostare a una prestazione da 4 su 14 di Joe Jackson: che il ragazzo abbia qualche problema di eccessiva autostima lo si era capito dal suo tatuaggio che recita “King of Memphis”, ma forse per il bene della squadra sarebbe preferibile qualche cambiamento all’interno del gameplan nelle partite in cui quello “classico” non sembri dare frutti. Le quattro vittorie consecutive e i miglioramenti generali delle ultime gare lasciano ben sperare, con Memphis che è salita di colpi anche a livello difensivo, ma aspetterei a vedere la trasferta di stasera contro SMU per giudizi maggiori sui miglioramenti del team.
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Justin Jackson in una sua classica posa da educanda
#13 Cincinnati (20-2, 9-0) è l’unica squadra ancora imbattuta all’interno della conference, ma è probabilmente riuscita ad avere rilevanza nazionale solo dopo la vittoria dell’altra sera contro Louisville. Perchè tutto ciò? Perchè i Bearcats non hanno molte vittorie considerate eccellenti a referto, ma soprattutto perchè tendenzialmente sono un gruppo molto sottovalutato. Il motivo principale di ciò è probabilmente il fatto che sia una squadra poco bella a vedersi: ritmi bassi, molta difesa, attacco che gira poco e tira male ma è opportunista quanto basta per segnare quasi sempre almeno un punto in più degli avversari. Dopo la batosta presa nel superclassico contro Xavier i Bearcats hanno inanellato 13 vittorie consecutive guidati dal leader difensivo Justin Jackson e dal solito Sean Kilkpatrick, con vittorie contro Pittsburgh, SMU, Memphis e naturalmente Louisville, partita che ha messo in mostra anche il carattere della squadra che, dopo aver toccato il +17 nel secondo tempo, è stata superata negli ultimi minuti, ma con ottime esecuzioni difensive e un perfetto Kilkpatrick ai liberi sono riusciti a non perdere la testa e portare a casa il risultato. Importante l’eventuale ritorno del freshman Jermaine Lawrence, infortunatosi nella partita contro i Tigers di Memphis, il cui apporto è importante per la fisicità dei Bearcats, che in sua assenza sono stati costretti a giocare più a zona e con quintetti più piccoli. Qualcuno dovrà dare una mano a livello offensivo a Kilpatrick, spesso uomo solo al comando, e la squadra di Mike Cronin non sarà una superpotenza a livello di talenti, ma è il tipo di gruppo che ottiene risultati nel college basket, da tenere d’occhio.
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Altra squadra giunta dalla Big East è Connecticut (17-4, 5-3) che, dopo aver fatto notizia nella prima parte di stagione con l’ottimo Napier, percentuali dal campo notevoli e una vittoria allo scadere contro Florida che è stata una degli highlight del primo mese di partite, ha iniziato a mostrare tutti i suoi limiti con le prime partite nella AAC: gli Huskies di Kevin Ollie sono molto dipendenti dalle prestazioni della coppia Shabazz Napier-Ryan Boatright e in generale dalle proprie percentuali al tiro, che però hanno subito un naturale calo e che, unite alle costanti pessime prestazioni a rimbalzo, hanno portato a tre sconfitte nelle prime cinque gare di conference. Una parziale riscossa si è vista nelle ultime tre partite, dove le percentuali sono tornate amiche degli Huskies, ma la prossima sfida contro Cincinnati si prospetta arduo banco di prova per UConn. Il problema maggiore per gli Huskies rimane comunque in pitturato, dove i ragazzi di Kevin Ollie semplicemente non sono competitivi quasi contro qualunque squadra di valore, con i tifosi di che probabilmente ora si ritrovano a rimpiangere Roscoe Smith che, dopo anni di buio, guida la NCAA per rimbalzi catturati in quel di UNLV.
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Una delle sconfitte di UConn è arrivata per mano di una delle squadre meglio allenate dell’intera Division I, ovvero Southern Methodist (16-5, 5-3).
Non è un caso che sulla panchina dei Mustangs sieda una vecchia conoscenza, il già leggendario Larry Brown, che nel suo secondo anno di ritorno nel mondo dei college sta già dando un volto nuovo alla propria squadra, che ha talento, gioca un basket fisico ed è tra le meglio organizzate di tutta la nazione a livello difensivo, nonché una tra le più profonde come rotazione, facendo di SMU la mina vagante della conference e una squadra interessante anche in ottica di torneo NCAA, sebbene la partecipazione non sia ancora sicura. Nonostante l’ultima brutta sconfitta contro USF le vittorie dei Mustangs sono già di più rispetto a quelle dell’anno scorso e la prossima stagione vedrà unirsi al gruppo un nuovo talento, ovvero Emmanuel Mudiay, tra le migliori guardie della prossima classe di freshmen.