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NCAA Conference Watch: ACC

Dopo la novizia AAC eccoci con una vecchia conoscenza facente parte dell’elite collegiale ormai da decenni, la cara e mai desueta ACC che però è arrivata ai nastri di partenza con un volto completamente nuovo, potremmo definirla la Cher delle conference, ma poi verremmo denunciati. Vediamo quindi la ACC, che non ci ha fatto certo mancare le sorprese in questo inizio di stagione.

 

  • La ACC (Atlantic Coast Conference) è senza dubbio la conference che più è uscita rinforzata dai cambiamenti prestagionali, con l’arrivo di squadre del calibro di Syracuse, Notre Dame e Pittsburgh, senza contare che dall’anno prossimo ne farà parte anche Louisville, portando così a sfide annuali del trio Coach K – Boeheim – Pitino che a livello di allenatori collegiali è l’equivalente di un film con Al Pacino, Cary Grant e Jerry Calà.
  • Proprio la nuova arrivata #2 Syracuse (20-0, 7-0) al momento sembra essere la favorita della conference, come dimostra anche il record ancora intatto degli Orange. La zona dei Boeheim è sempre un grattacapo per gli avversari e il talento di Tyler Ennis, freshman fino a poco fa dimenticato per far spazio ai soliti quattro nomi, sta facendo tutta la differenza del mondo col suo gioco intelligente e controllato, con un attacco che può poggiare su di lui, CJ Fair, Jerami Grant e Trevor Cooney. In questo inizio di conference Ennis si è dimostrato realizzatore sempre più affidabile, si vedano i 16 punti nel secondo tempo dell’ultima partita contro Miami, mentre Grant ha continuato coi suoi progressi che ne fanno uno dei giocatori più talentuosi e importanti della squadra. Il record parla per sé, ma ci sono dei limiti: in primis i rimbalzi in difesa, problema classico visto l’uso continuato della difesa a zona, poi un attacco poco efficace nonostante l’ottimo lavoro in regia di Ennis, e infine delle rotazioni limitate che possono essere pericolose qualora vi siano problemi di falli, come visto ad esempio nella partita contro Wake Forest. La 3-2 degli Orange storicamente non paga troppi dividendi a livello di torneo NCAA, ma al momento è difficile non considerarla una delle 4 migliori squadre della Division I.
  • Spostandoci su quella che dovrebbe essere l’alta nobiltà della conference troviamo North Carolina (13-7, 3-4), squadra che ad inizio stagione ha regalato più cambi di scena di una soap opera sudamericana, ma che ora sembra essere definitivamente stagnante in una situazione di mediocrità, come testimonia l’attuale record di conference. UNC è però squadra che ad inizio stagione ha mostrato due volti come nel più classico dei casi di Dr. Jekyll e Mr. Hyde: le serate Dr. Jekyll sono quelle in cui Marcus Paige tira col 50% da tre, fa crossover degni di Iverson, Leslie McDonald è tornato e segna per noi, Tokoto e Johnson dominano come Jabbar e Olajuwon, Meeks è fresco come un cetriolo e fa passaggi a tutto campo degni di Kevin Love e magari entra anche qualche tiro libero. In queste serate UNC ha sconfitto Louisville (quando ancora per molti era la favorita al titolo), Michigan St. (al tempo #1 del ranking e del cui valore parleremo dopo) e Kentucky (con i Tar Heels che sono stati forse gli unici a limitare efficacemente l’incontenibile Randle). Potrebbero già prendere i biglietti per il Texas, dove si terranno le Final Four, se non fosse per le frequenti trasformazioni in Mr. Hyde: in questi casi Paige e McDonald tirano mattoni, Hairston se ne è andato e non ritorna più (ora in D-League), il resto della squadra continua a tirare mattoni, James Michael McAdoo si dimentica del nome che ha sulla schiena e che dovrebbe onorare un minimo, Tokoto e Johnson son buoni solo per saltare come grilli e far qualche fallo e la squadra continua nelle sue percentuali da censura ai liberi. Questa versione ha regalato soddisfazioni a squadre quali Belmont, UAB, Miami e Wake Forest. Al momento, come detto, la situazione sembra essersi bloccata più nell’ultima delle due versioni, con un’inizio di stagione di conference da 4 sconfitte a fronte di 3 sole vittorie, con l’ultima debacle giunta a casa di Virginia, in cui a nulla è servito il buon apporto di Meeks. Proprio il centro Meeks potrebbe essere l’uomo della svolta per UNC che, con lui finalmente in quintetto, ha rivisto un po’ di luce nelle ultime due partite, vinte, contro le non invincibili Clemson e Georgia Tech. Nel primo caso i Tar Heels hanno dato vita ad una delle loro migliori prestazioni offensive di tutto l’anno, considerando anche la difesa di Clemson, e nel secondo caso sono riusciti anche in un’ incredibile prestazione sopra il 70% ai liberi, ma si aspettano conferme maggiori se non si vuole finire una stagione a dir poco deludente in quel di Chapel Hill.
  • Jabari Parker (usatoday.com)

    Spostandoci di soli pochi chilometri troviamo gli acerrimi rivali di #17 Duke (17-4, 6-2), altra squadra dell’aristocrazia storica della ACC che ha avuto un non facile inizio nella conference ed era fino a poco fa ancora alla ricerca della propria identità, sebbene non con tutta la discontinuità di UNC, ma che ora sembra aver definitivamente trovato la quadratura del cerchio. L’arrivo del freshman Jabari Parker ha creato entusiasmo nell’ambiente e a ragione, viste le prestazioni del mormone da Chicago. Non di soli freshmen si vive però nel college basket e in particolare i limiti dei Blue Devils si sono evidenziati in difesa e sotto canestro, con la squadra di coach K che poggia fin troppo, anche per i propri standard, sulle percentuali al tiro da fuori. Le sconfitte contro Kansas e Arizona sono tutt’altro che inaccettabili, ma più preoccupazione hanno dato la sconfitta nel debutto di conference contro Notre Dame e quella rimediata contro Clemson, che hanno messo in evidenza tutti i limiti della squadra, in un momento in cui peraltro Jabari Parker si è imbattuto nel cosiddetto rookie wall con prestazioni sotto i suoi standard, viste anche le attenzioni molto speciali che gli sono riservate nelle partite di conference, dove l’intesità aumenta in maniera vertiginosa. Coach K non è però allenatore immobilista e che sta a guardare la propria nave affondare e, tornando al comando dei suoi dopo un periodo in cui le sue attenzioni erano giustamente più votate al fratello sul letto di morte, è riuscito a risollevare la situazione, prima con l’inserimento in quintetto di Sulaimon e Jefferson e poi con continui cambi in stile hockey in cui Krzyzewski, come era peraltro abitudine di Dean Smith a UNC, sostituisce l’intero (o quasi) quintetto in campo con uno più fresco ogni 6-7 minuti, così da favorire una maggiore intensità e freschezza in difesa e a rimbalzo, ma dei cambiamenti ha beneficiato anche la fase offensiva, meno statica e più votata alla motion offense. Il nuovo piano ha iniziato a dare i suoi frutti con una vittoria ai danni della pericolosa Virginia e un vero e proprio massacro della povera NC State dove peraltro Parker è tornato ai suoi elevatissimi standard, con una prestazione da 23 punti. La conferma dei grandi passi in avanti si è avuta nella vittoria in trasferta contro l’ottima Pittsburgh dove un Dawkins versione Ray Allen (6 su 7 oltre l’arco) e un ottima difesa (in particolare applausi per il lavoro di Hood su Lamar Patterson), oltre al lavoro a rimbalzo e un ottimo Parker, hanno dato ai Blue Devils una vittoria importantissima in vista della trasferta di stasera contro Syracuse. Fondamentali per un cambiamento così importante sono l’apporto a rimbalzo di Jefferson e un Sulaimon nuovamente efficace, dopo un inizio di stagione a dir poco difficoltoso. Buone notizie anche da parte di Andre Dawkins che, dopo aver perso madre e sorella in un incidente stradale nell’anno da sophomore e essere stato red shirt l’anno scorso, è tornato ad essere uno dei migliori tiratori puri della nazione e forma una coppia di tiratori eccezionale insieme a Rodney Hood, col transfer da Mississipi State che è stato da subito uno dei leader della squadra ed è al momento il miglior giocatore del team per qualità su entrambi i lati del campo, affermandosi sempre più come prospetto di alto livello NBA. Bene anche l’ultimo dei Plumlee, Marshall i cui centimetri, l’atletismo e la grinta a rimbalzo si stanno rivelando decisivi. Difficile comunque prospettare una Duke oltre le Sweet Sixteen/Final Eight, ma non dimentichiamoci di quanto la produttività di Zoubek a rimbalzo abbia cambiato la stagione dell’ultimo titolo di Duke, in questo senso l’apporto di Jefferson e Plumlee fanno ben sperare i tifosi (me).

  • #18 Pittsburgh (18-3, 6-2) è squadra da non sottovalutare: i Panthers sono proprietari di uno degli attacchi migliori dell’intera Division I, soprattutto per la qualità di circolazione della palla con gli uomini di Dixon che hanno ottimi passatori in tutte le posizioni del campo. Tra tutti spicca Lamar Patterson, una delle migliori ali in tutto il panorama del college basket, nonché passatore straordinario per la propria posizione, ma da segnalare è anche il sophomore James Robinson, titolare del miglior assist/turnover ratio della nazione (5.2). Pittsburgh, come Cincinnati, è squadra sottovalutata probabilmente per la mancanza di statement wins e del brutto show messo in mostra al Madison Square Garden proprio contro i Bearcats, che uscirono vittoriosi con un non esaltante 44 a 43. A parte quella sconfitta i Panthers non hanno però più smesso di vincere fino alla partita contro Syracuse, che comunque è riuscita ad avere la meglio solo negli ultimi minuti, dopo un’ottima rimonta di Pittsburgh, già abituata a tali imprese dopo il debutto stagionale contro NC State dove andarono a vincere di 12 punti in trasferta dopo essere stati sotto 17 a 2. Come visto nella partita al Carrier Dome i limiti risiedono in pitturato dove un seppur buono Talib Zanna non basta ad avere vantaggi in questa zona del campo, dove peraltro le occasioni non sarebbero dovute mancare contro la zona di Syracuse. Oltre a ciò l’ultima partita giocata contro Duke ha mostrato i limiti difensivi della squadra, che ha fatto fatica a fare aggiustamenti, vedasi lo spazio concesso a Dawkins per tutto il secondo tempo. Difficile pronosticare un lungo viaggio al torneo, a cui i Panthers arriveranno comunque in carrozza su dei cavalli bianchi.
  • Virginia (16-5, 7-1) è una squadra molto pericolosa ovviamente a livello di conference, dove ha il secondo miglior record e ha sempre vinto le sue partite in maniera netta, ma che potrebbe dare non pochi problemi a chiunque in ottica di torneo NCAA. Dopo la batosta subita contro Tennesse a fine dicembre i Cavaliers hanno trovato una compattezza ed una continuità che li hanno portati a vincere 7 delle successive 8 gare, con l’unica sconfitta giunta negli ultimi secondi al Cameron Indoor Stadium. Oltre all’ottima difesa, in cui eccellono a livello nazionale, i ragazzi di Tony Bennett sono la squadra più veloce di tutta la ACC e hanno trovato un notevole equilibrio offensivo dove tutti riescono a dare un contributo senza che nessuno debba esaltare il proprio ego a livello statistico, tant’è che il miglior realizzatore è Malcolm Brogdon con 11.6 punti a partita. Il troppo spesso dimenticato freshman London Perrantes, finalmente un playmaker che pensi in primis a passare la palla e a far girare l’attacco, e i sophomore Brogdon e Tobey stanno aiutando molto a dare una nuova dimensione ai Cavaliers, che non devono affidarsi oltre modo alla coppia Mitchell-Harris, come si poteva temere ad inizio stagione. La squadra non è oltremodo talentuosa, ma proprio per questo gioca un basket molto intelligente in cui ogni elemento riesce a contribuire nel migliore dei modi, rendendo Virgina una squadra da osservare molto attentamente.

Next stop: la Big East di Villanova e del prossimo giocatore dell’anno Doug McDermott

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