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Wiggins, Parker e la “logica” dell’hype

Hype: la traduzione del dizionario dice “lanciare, promuovere”, ma può anche essere un’abbreviazione di hyperbole, ovvero “iperbole,esagerazione” e in America sta a significare sostanzialmente entrambe le cose, ovvero un’ esagerata pubblicità. E non è così sorprendente, visto che, quando viene usato questo termine nel mondo del basket, lo si utilizza proprio lasciando intendere che ci sia stata un’esagerata esaltazione nei confronti di un giocatore, quasi come se questo avesse tradito delle aspettative, peraltro create per lui dagli altri, che altri non sono se non gli stessi che ora lo definiscono deludente. Già questo dovrebbe darvi un’idea della stupidità del tutto, ma provate ad immedesimarvi per pochi minuti nei panni dei due freshmen che più di tutti sono stati investiti dall’ hype in questa stagione, ovvero Jabari Parker e Andrew Wiggins: ora siete Jabari Parker. Siete nati nel South Side di Chicago, dove non sempre la vita va come si vorrebbe che andasse, ma anche casa di tanta storia nera americana, dove hanno vissuto tra gli altri Barack Obama e Jesse Jackson. Avete la fortuna di essere nati in una buona famiglia di mormoni, dove la religione viene al primo posto. Vostro padre è a capo di una fondazione che aiuta i bambini dell’area metropolitana di Chicago e avete imparato che dare è più importante di ricevere ancora prima di aver detto la vostra prima parola. Dio prima di tutto, ma le scritture vi insegnano che dovete mettere a frutto i doni che Lui vi ha donato e voi a 7 anni siete un giocatore di pallacanestro migliore dei ragazzini delle scuole medie. A 10 anni siete alto 1.85 e avete già 5 proposte da parte di College di Division I che vogliono accaparrarsi i vostri servigi. Voi però volete solamente giocare a basket e sapete che la strada è ancora lunga e non è certo ora di fare certe scelte. Prima viene il liceo e qui decidete di optare per Simeon Academy, che è stata fino a poco fa casa di Derrick Rose. A voi però ha (in)segnato di più la storia di Benjamin Wilson, giovane talento dal potenziale NBA troppo presto morto sulle strade di Chicago e decidete di far cucire sulle vostre scarpe il numero 25 in suo onore.

Ormai ai Camp venite invitati, siete considerato uno dei migliori prospetti della nazione e venite inseriti nei primi posti di centinaia di top 50-100-200-500 di cui non sapete nemmeno l’esistenza, compilate da persone che spesso non vi hanno nemmeno mai visto giocare, ma che sono già pronte a saltare sul carro del prossimo Lebron, possibilmente ricevendone qualcosa in cambio. Voi però volete solo giocare a basket e vincere, ed è per quello che avete scelto Simeon. Vostra madre chiarisce subito al coach che la domenica mattina parteciperete alla Messa e non agli allenamenti che, conseguentemente, verranno spostati al pomeriggio. Dio prima di tutto. Nonostante siate un freshman venite accolti nel varsity team senza passare dal junior varsity, qualcosa che non venne fatto nemmeno per Derrick Rose. Voi però mantenete l’umiltà che vi hanno insegnato i vostri genitori e fino al vostro terzo anno continuerete a fare il waterboy per la squadra del junior varsity. Dare prima di ricevere.

Ormai però siete costretti a ricevere ogni tipo di attenzione: dopo il primo anno a voi interessa che la vostra squadra abbia vinto il torneo statale, ma al resto del mondo interessa il nuovo fenomeno da mettere in prima pagina. Prima della vostra stagione da sophomore siete già stato freshman dell’anno per ESPN e siete il numero 6 nella Terrific 25 della classe 2013, ma all’incirca ogni giornale o sito riguardante il basket vi ha ormai ai primi piani delle loro classifiche e la Nike rinnova il suo contratto di fornitura con Simeon e non lo fa certo beneficenza visto quanto gli frutta la pubblicità fatta da voi, per non parlare della possibilità di farvi crescere sotto la propria ala protettiva e poi firmarvi non appena diventerete professionisti. A voi tutto questo non interessa particolarmente e continuate ad inanellare titoli statali con la facilità con cui di norma i ragazzi della vostra età inanellano sbronze. Tale Julius Randle rimane l’unico prospetto considerato da molti ancora davanti a voi, ma la vostra straordinaria campagna da Junior porta ormai decine di allenatori e scout alle vostre partite e alla fine della stagione siete il N.1.

Il numero 1 però è troppo poco per i giornali e così ora siete il numero 1 degli ultimi 10 anni, il migliore dai tempi di Lebron. Sports Illustrated non manca di ricordarvelo e vi mette in copertina, voi però sottolineate come la fede sia l’aspetto più importante della vostra vita e come non siate ancora sicuri sulla vostra scelta di vita, giocatore di basket o missionario? Il resto del mondo sembra aver già scelto per voi da qualche anno. La NCAA nel frattempo ha deciso che i coach di Division I possono chiamare un numero illimitato di volte i junior e senior delle high school. Siete costretti a cambiare numero di telefono. Nell’estate del 2012 siete il numero 1 dai tempi di Lebron, ma un infortunio al piede vi ferma: ora siete il numero 2 dietro a Randle. Ehi, ma aspettate! Andrew Wiggins ha deciso di entrare al college nel 2013! E’ lui il più grande dai tempi di Lebron!

Ora siete Andrew Wiggins. Negli Stati Uniti non ci siete nemmeno nati, la vostra madre patria è il Canada, e i vostri genitori un ex giocatore NBA e un’atleta di track and field. Madre Natura vi ha dotato di attributi fisici ed atletici che sembrano disegnati apposta per il gioco del basket. Tuttavia il basket è anche altro, voi lo sapete e lo amate e quindi lavorate più duramente di tutti per giocarlo ai massimi livelli. Come ogni ragazzino che ami il basket siete cresciuti nel mito di Jordan, tanto che prima delle partite mentre vi allacciate le scarpe ripetere il mantra “Make me like Mike” citando il vostro film preferito, Like Mike. Fino ai 13 anni non siete però ancora esaltato come capita spesso ad altri ragazzi della vostra età, ma non vi interessa, voi volete solo giocare ed è per questo che cambiate scuola, dopo essere stati usati fuori posizione come centro e poi relegati alla panchina nella vostra scuola media. Oltretutto, nonostante abbia una scena cestistica in forte crescita, il Canada non è ancora terra basket-centrica, il che vi permette di giocare senza pressioni esagerate.  Nel 2009 però partecipate allo ScoutsFocus Elite 80 in North Carolina e, nei vostri primi minuti di gioco sul suolo degli Stati Uniti segnate 18 punti di media contro giocatori collegiali come CJ Leslie e Reggie Bullock. Ora siete sulla mappa nazionale, in men che non si dica siete il miglior prospetto dai tempi di Lebron James, siete il numero 1 della classe 2014 e quando vi riclassificate per il 2013 siete già il numero 1 anche di quella classe. Tutti vogliono portarvi nel loro college, anche gli altri freshman cercano di fare recruiting e di farvi scegliere il loro stesso ateneo, così da poter unire le forze e andare a conquistare un titolo prima del viaggio in NBA. Kentucky sembra la favorita, ma voi fate una scelta anzitutto cestistica e optate per Kansas, dove il basket è nato e cresciuto. Finite sulla copertina di Sports Illustrated e i paragoni si sprecano fino ad arrivare a foto a specchio di voi e Wilt Chamberlain, leggenda dei Jayhawks. C’entrate qualcosa con lui? No, ma non importa. Ormai avete imparato a sopportare l’attenzione dei media e ve ne siete fatti una ragione, ma sieti i primi ad essere consapevoli dei miglioramenti che ancora dovete fare, per cui ogni settimana chiamate vostro padre per dei consigli, e soprattuto siete convinti del fatto che vincere sia l’aspetto principale del gioco. Venite attesi da 10 mila persone al vostro arrivo al campus e il vostro debutto è atteso con spasmodica ansia. Si incominciano a spargere voci su possibili offerte di quasi 200 milioni di dollarida parte dell’Adidas non appena diventerete professionisti, voci poi smentite, ma a questo punto la gente è pronta a credere a tutto ciò che vi riguardi. Alla vostra prima uscita fate 16 punti contro UL Monroe, troppi pochi per il nuovo Lebron.

Nella seconda partita il vostro cammino si incrocia con quello di Jabari Parker, in una delle sfide più attese dell’anno, non solo a livello collegiale. Vincete la partita, ma nel confronto diretto Parker sembra avere la meglio e i dubbi aumentano. 10 punti nella sconfitta con Villanova e 6 nella partita contro UTEP fanno di voi ormai,quantomeno, il secondo freshman dietro a Parker e la gente vi incomincia a considerare, dopo nemmeno 10 partite, sopravvalutato, deludente. Siete degli ottimi difensori e giocate in un sistema che non esalta i singoli, ma non importa nessuno, meno di 10 partite e 5 anni di esaltazioni sono già un lontano ricordo. Dovete giustificare l’hype. Giustificare l’hype? È un po’ come se chiedessimo a una ragazza di giustificare il fatto che non sia Adriana Lima, giusto perchè noi vogliamo che lo sia. Ora siete di nuovo Parker e siete nuovamente il numero 1, ma, ehi, aspettate un momento, Julius Randle di Kentucky ora viaggia con una doppia doppia di media, allora forse è lui il numero 1 assoluto. Ora siete Julius Randle….

Ok, direi che possiamo anche fermarci. Spero e credo che il concetto sia giunto. Vi sembra forse sensato questo meccanismo, che pone aspettative elevatissime su ragazzini di 11-12 anni salvo poi voltar loro le spalle alla prima difficoltà, in una continua corsa a quel fantomatico numero 1 di classifiche che poco o nulla c’entrano col basket giocato? Abbiamo preso le storie di Parker e Wiggins perché sono i due ragazzi sul cui hype si è incentrata la maggior parte del battage mediatico della stagione collegiale e dei mesi precedenti ad essa, ma le aspettative su di loro sono comunque ancora altissime con l’avvicinarsi del draft e, se la salute li preserverà, le loro sono storie che avranno un lieto fine, con contratti NBA e lunghe carriere di successo davanti a sé. Tuttavia per ogni Wiggins e Parker ci sono migliaia di ragazzini che crescono in situazioni disagiate e il cui unico sogno è diventare un giocatore professionista, ricalcando le gesta dei propri idoli sul cemento dei campetti del quartiere, dove il basket è spesso l’unica valvola di sfogo di una realtà che fa già crescere troppo rapidamente i bambini, troppo spesso uomini di casa a 6-7 anni. Questi ragazzi invece che essere protetti e tutelati almeno in ambito sportivo, vengono illusi e usati da gente che li circonda solamente perché interessata alla notizia o ancor peggio alla possibilità di far soldi affiancandosi ai “nuovi Lebron” che riempiono le strade d’America, finché non giunge qualcuno di meglio e si lascia il ragazzo precedente nell’oblio, con sogni infranti e porte che si chiudono magari a soli 12-13 anni, ancor prima di aver giocato anche solo una partita di basket organizzato. Se aveste un figlio che volesse fare il pittore, trovereste sensato, solamente perché molto bravo a disegnare, considerarlo a 10 anni il nuovo Michelangelo? E qualora diventasse un pittore, ma non fosse Michelangelo, sarebbe sensato considerarlo una delusione, un fallimento e continuare a giudicare i suoi lavori in base alle proprie, insensate, aspettative, senza dargli alcun sostegno, magari senza nemmeno accorgersi del fatto che sia un avanguardista e non un pittore di stampo rinascimentale? Il ragionamento non è poi molto differente. Non è forse il caso di incominciare a giudicare i giocatori per quello che sono, ad analizzarne gli aspetti del gioco in cui eccellono e in cui sono deficitari, senza continuamente ragionare su quello che gli altri hanno deciso che dovessero essere? Wiggins ha delle falle nel proprio gioco? Diciamolo, ma evitiamo di dire “Wiggins sta deludendo” “mi aspettavo di meglio” “certo che rispetto a Lebron..”, non entriamo a far parte noi stessi di un meccanismo malato. Parker e Wiggins vogliono solo giocare a basket, fare di questo sport il proprio lavoro e, come ogni persona normale, cercare di farlo al meglio: nessuno di loro ha mai rilasciato un’intervista dicendo di voler essere qualcuno che non è o di voler essere considerato una superstar NBA ancor prima di aver giocato un minuto al college. Ma la tutela deve valere ancora di più per chi, al contrario, magari perché proveniente da situazioni di maggiore difficoltà e con situazioni familiari meno inquadrate, aspetto per cui credo Wiggins e sicuramente Parker ringrazino Dio ogni santo giorno, vede nell’essere il nuovo Jordan/Lebron/Kobe/Durant l’unica prospettiva per uscire da realtà disagiate e viene esaltato, illuso e riempito di responsabilità ancor prima di raggiungere l’adolescenza, facendo perdere a quelli che sono dei bambini, l’amore per quello che dovrebbe essere uno sport, un divertimento, e che invece diventa una sorta di lavoro in cui vengono “licenziati” dal loro ruolo di “promesse” in base a decisioni d’interesse altrui, con tutte le conseguenze psicologiche e non solo che ne possono derivare. Allora non esageriamo con le aspettative ancora prima di aver visto giocare questi ragazzi in diverse partite quantomeno a livello collegiale e, anche allora, parliamo di quello che questi ragazzi sono e non di quello che noi vorremmo che fossero per soddisfare la nostra fame di nuovi eroi da idolatrare. Come cantavano i Public Enemy: don’t believe the hype.

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