Categorie: Editoriali NBA

Clippers, da Lob City a Now City

Con la scomparsa dai piani alti della Lega dei Lakers, lo scettro del comando della Città degli Angeli è passato definitivamente tra le mani dei Los Angeles Clippers. Eterni secondi tra le proprie mura amiche, l’inversione di tendenza è avvenuta già da quando, a vestire la non proprio gloriosissima casacca della franchigia, è arrivato Chris Paul. Con il numero 3 al comando delle operazioni sul parquet, si è instaurata una filosofia societaria del tutto sconosciuta per una delle formazioni, storicamente, più perdenti del panorama NBA. In questa stagione, con la nomina ad head coach di Doc Rivers, le prospettive e l’obbiettivo finale sono diventati abbastanza chiari: vincere il titolo, magari il prima possibile.

I Clippers sono in testa alla Pacific Division, occupando le posizioni di primo piano nella Western Conference, forti di un record che recita 34 vittorie a fronte di 17 battute d’arresto. Mentre la scorsa annata era stata fortemente contrassegnata dalle diciassette vittorie consecutive, l’attuale regular season è vissuta sul filo della costanza: la striscia più lunga di W è arrivata a 5, poco prima di Natale, e non sono mai arrivate tre sconfitte consecutive. Guardando le partite della compagine losangelina, notiamo sostanziali differenze rispetto alla scorsa stagione, quando a chiamare i giochi dalla panchina c’era Vinny Del Negro.

La novità più grande sta nella metàcampo offensiva. Los Angeles ha un pace più elevato rispetto a 12 mesi fa e, quando può, cerca di guadagnare punti facili (circa 17 a partita) in contropiede. Anche a difesa schierata si può osservare come si cerchi di entrare più velocemente nei giochi, pur essendo, ovviamente, lontani anni luce dai “7 seconds or less” di D’antoniana memoria. Sacrificando qualche punto in vernice, i Clippers fanno largo uso del tiro da tre punti (terzi per numero di tentativi), pur non mettendo assieme percentuali stratosferiche (34,5%). A fare da contraltare vi è l’ottima statistica per i tiri presi dentro l’area, per una percentuale complessiva del 47%, sesto dato assoluto. Il risultato finale è il secondo attacco della Lega per punti a ad incontro (106,1) ed il terzo offensive rating, numeri in rialzo rispetto alla gestione Del Negro. Grande merito va ovviamente all’estro ed alla fantasia di CP3, capace di imbeccare il compagno giusto al momento giusto, ma più in generale la palla si muove bene, con vari extra pass per pescare l’uomo libero. Non a caso i Clips sono primi per numero di assist totali. Da questa circolazione ne ha beneficiato gente che sta appostata, in agguato, fuori l’arco, con i vari Jared Dudley, Matt Barnes e company a lanciare siluri dalla lunga distanza. Importante è stata l’acquisizione di JJ Redick, uno dei tiratori più efficaci nella NBA. Oltre alle soluzioni di catch&shoot dal perimetro, ed un curioso 50% dall’angolo sinistro, l’ex Duke sa sfruttare molto bene i blocchi dei lunghi per uscire a ricciolo per tiri, generalmente, facili.

La frontline è la usuale destinataria di quegli alley-oop divenuti ormai il marchio di fabbrica della formazione californiana. Dai passaggi dei piccoli ne scaturiscono devastanti affondate made in Blake Griffin o DeAndre Jordan, che hanno mostrato di avere una certa intesa, cercandosi loro stessi anche in situazione di contropiede per due punti veloci. Se il centro sa accontentarsi degli spazi che gli vengono concessi, senza voler strafare in rare situazioni di 1 vs 1 in post basso, è Griffin il vero ago della bilancia di questa squadra, il giocatore attraverso i cui miglioramenti passa gran parte del futuro di LA. Oltre alla solita presenza da piovra nei pressi del canestro, Blake fornisce all’attacco dei Clippers qualche tiro da fuori area che, seppur preso con uno stile non proprio ortodosso, viene scoccato con più decisione e convinzione rispetto al recente passato. A completare questo quadro, non guasta la presenza di due “discreti” match winner: lo stesso Paul e Jamal Crawford, che in tanti momenti si prende l’attacco sulle spalle, con le proprie soluzioni di arresto e tiro a corollario di tante giocate spettacolari e, spesso, decisive.

Se andiamo ad analizzare le statistiche difensive, in alcune di esse i Los Angeles Clippers stanno facendo peggio di 12 mesi or sono. La squadra subisce in media 100,4 punti a partita, circa 6 in più rispetto alla precedente gestione, occupando la decima posizione nella statistica del defensive rating. Nonostante la presenza di uno dei migliori stoppatori nella persona di Jordan, 2,4 respinte a gara, la squadra concede ben il 60% al ferro, uno dei risultati peggiori in assoluto. Questo perché, come da cliché per giocatori con le sue caratteristiche, diverse volte DeAndre abbocca alle finte lasciando sguarnito il canestro. Unendolo alle svariate occasioni in cui compagni non tengono la penetrazione del proprio uomo, capiamo i motivi di tale cifra. Per converso, quasi a sorpresa, i Clips sono invece la migliore squadra NBA a difendere sul tiro da tre. Solo il 32,7% dei missili avversari trova il proprio bersaglio designato, un’inezia che neanche gli Indiana Pacers sono riusciti, finora, ad eguagliare o migliorare. Bisogna poi stare attenti alle mani leste dei difensori di Los Angeles, che annoverano tra le proprie fila un Arsenio Lupin che risponde al nome di Chris Paul, capace di rubare 2,4 palloni ad ogni allacciata di scarpe. In ultima analisi, ci sarebbe bisogno di migliorare i propri meccanismi di difesa nel pitturato, soprattutto in ottica postseason.

Nonostante il doloroso infortunio alla spalla che gli ha fatto perdere, sostanzialmente, un mese (and counting) di regular season, CP3 sta facendo registrare la solita grande annata. 19,6 punti ed 11,2 assist, ovviamente primo della Lega, con il pallone saldamente tra le proprie mani a guidare le danze. Le percentuali sarebbero passibili di qualche miglioramento, ma resta incredibile, per uno delle sue dimensioni, il 60% al ferro, una cifra quasi fantascientifica. E’ chiamato a ripetersi sia nella seconda parte di stagione sia, soprattutto, nei Playoffs. Fino ad ora in carriera può annoverare al massimo gara-7 delle Semifinali di Conference 2008, persa in maglia Hornets contro gli Spurs. Per uno della sua classe e del suo carisma c’è nettamente bisogno di un ulteriore step verso la Terra Promessa. Come già detto prima, anche Griffin è alla ricerca di gloria dopo aver provato, al massimo, l’ebbrezza del Secondo Turno due stagioni or sono. E’ il top scorer di squadra a quota 23,3, cattura 9,7 rimbalzi e da via oltre 3 assist di media, anche se magari qualche volta cerca più la giocata spettacolare che il passaggio più semplice. Quasi immarcabile vicino al ferro per via di atletismo e reattività, è migliorato, come dicevamo, per rapidità di esecuzione e decisione nel long two, pur potendo e dovendo fare decisamente di più. Soprattutto in questa stagione lo abbiamo visto in parecchie occasioni coinvolto in scaramucce e situazioni da falli tecnici, segno che non deve proprio piacere molto ai propri colleghi. Infine, stagione in ascesa per DeAndre Jordan. E’ il primo rimbalzista NBA a quota 14, è al career-high per punti (9,7) e, soprattutto, per minuti giocati. Rivers aveva dichiarato sin dal training camp che avrebbe inserito Jordan anche nei finali di partita, dove invece mulinava gli asciugamani nel recente passato. Nonostante le pessime percentuali dalla lunetta (42,5%), che sovente hanno caldamente consigliato i coach avversari ad ordinare un fallo su di lui, l’allenatore campione con Boston ha sempre dichiarato di volerlo più presente per sfruttarne l’atletismo e l’efficacia nei pressi del canestro anche nei momenti cruciali, sia in difesa che in attacco, dove conclude col 65%, primo valore nella Lega.

Dalla panchina esce il già citato Jamal Crawford, terzo realizzatore a quota 18 di media e destinatario naturale dei palloni scottanti. In doppia cifra anche Darren Collison, che ha guidato la squadra in contumacia Paul. Si sono avvicendati tra quintetto e riserve Dudley e Barnes, mentre il cambio dei lunghi è Ryan Hollins, anch’egli verticale e stoppatore. Accantonati gli esperimenti Mullens e Jamison, fallito quello Stephen Jackson, i Clippers ci stanno provando con un’altra scommessa, quell’Hidayet Turkoglu ormai lontano parente dei fasti e delle Finali in maglia Magic. Sta a lui dare qualità ad una panchina che non brilla particolarmente in tale settore.

Il calendario per gli uomini di Rivers prevede parecchie gare casalinghe, soprattutto da qui all’All Star Game. Le insidie maggiori sono nascoste, probabilmente, in una serie di 5 trasferte consecutive tutte ad Ovest, a cavallo tra Marzo ed Aprile. Dato il gran numero di concorrenti, è ancora presto per fare previsioni accurate, ma il terzo posto è a portata di mano. Nei Playoffs, in ogni caso, a meno di congiunzioni astrali favorevoli, si dovrà incontrare una delle due squadre particolarmente ostiche ai Clippers negli ultimi anni, ossia gli Oklahoma City Thunder ed i San Antonio Spurs. Manca forse ancora qualcosina per essere superiori a queste due compagini, ma il focus sul titolo rimane immutato. Chris Paul vuole vincere, e lo vuole fare ora.

Alessandro Scuto

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