Categorie: Hall of Famer

Il mago di Zo

Guardando le partite dei Miami Heat, si può notare la maggior parte delle volte uno spettatore sempre interessato, distinto e dalla corporatura non certo tipica del tifoso medio. Ricopre oggi la carica di Vice President of Player Programs and Development ma, fino a poco tempo fa, era colui che faceva letteralmente infiammare l’American Airlines Arena. Agonista nato, lottatore, combattente e pugnace, nonché ispirazione di tanti per la propria vicenda personale. Il ritratto che abbiamo appena completato non può che raffigurare il “Mago di Zo”, Alonzo Mourning.

Classe 1970, il nativo di Chesapeake, Virginia, ha attraversato quasi due decadi di pallacanestro a stelle e strisce, guadagnandosi sul campo, o meglio sul parquet, il diritto di essere annoverato in quel prestigioso club dei grandi centri degli anni’90. Come lui e con lui gente del calibro di Patrick Ewing (amico fraterno, data anche la comune provenienza universitaria), Shaquille O’Neal, David Robinson, Hakeem Olajuwon o lo stesso Dikembe Mutombo, un altro con cui ‘Zo ha condiviso il college di estrazione, Georgetown. Proprio con la maglia degli Hoyas, dopo aver fatto incetta di premi alla High School, Mourning mise in mostra le tipiche qualità che coach Thompson cercava dai propri numeri 5: intimidazione, difesa e presenza in area. Distribuendo stoppate in quantità industriale e chiudendo l’anno da senior in doppia doppia di media, Alonzo si fece notare definitivamente nel radar degli scout NBA. L’ingresso nel basket che conta era ormai cosa fatta.

Nel Draft 1992, con la seconda chiamata assoluta, gli Charlotte Hornets selezionarono il centro da Georgetown. Prima di lui venne scelto solamente Shaq dagli Orlando Magic, ed anche per questo motivo tra i due, per usare un eufemismo, cominciò a non scorrere buon sangue. Nei fatti, nacque una rivalità che sarebbe durata per diversi anni. O’Neal aveva già fatto intravedere sin da subito la propria estrosità dentro e fuori il parquet, e non riusciva proprio a farsi andar giù, cordialmente ricambiato, il suo alter ego in maglia Hornets. Arrivò a dichiarare di voler firmare contratti che superavano anche di un solo dollaro quelli siglati da Mourning il quale, da par suo, mostrava un carattere diametralmente opposto a quello del rivale. Le sfide tra i due ebbero già dagli esordi un sapore particolare, con momenti di tensione anche in innocenti partitelle estive nei vari camp per beneficenza. E mentre Shaq si prendeva le luci della ribalta ed il titolo di Rookie dell’anno, Zo portava Charlotte ai primi Playoffs della propria storia, dopo aver chiuso il suo primo anno nella Lega con queste cifre: 21 punti, 10,3 rimbalzi e ben 3,5 stoppate, diventando, dopo diverse gare, già il leader all-time di franchigia in tale settore. Era nata una stella.

L’ingresso nella postseason non fu l’unica cosa da ricordare in quella stagione. Opposti ai grandi Boston Celtics, all’ultimo vagito della propria Dinastia, gli inesperti Hornets riuscirono a compiere l’impresa e la firma d’autore fu proprio di Mourning. In gara-4, avanti 2-1 nella serie ma sotto di un punto, a 3 secondi dalla fine il centro di Charlotte ricevette palla ben al di là della lunetta, raccolse il palleggio e lasciò andare un jumper che si insaccò proprio sul suono della sirena. La corsa degli Hornets si sarebbe interrotta al turno successivo contro i Knicks di Ewing, vincitori poi per 4-1. I due avrebbero avuto modo di incontrarsi di nuovo in seguito.

Nelle prime 3 stagioni della propria carriera Alonzo Mourning ha vestito la casacca della franchigia del North Carolina. Già nella seconda annata arrivò la prima di 7 selezioni per l’All Star Game, a sancire l’ingresso nel gotha della Lega. Aveva sviluppato sia un discreto gioco schiena a canestro sia un letale tiro dai 4-5 metri, come avevano imparato i Celtics a proprie spese. L’intimidazione e la presenza all’interno della propria metà campo difensiva avevano reso Zo un vero e proprio baluardo del canestro di Charlotte. La franchigia, tuttavia, non seppe far fede alle promesse, mancando i Playoffs nel ’94 ed uscendo al Primo Turno nel ’95 contro il rientrante Jordan. A causa di beghe contrattuali e di qualche screzio con l’altra superstar della squadra, Larry Johnson, il 3 Novembre di quello stesso anno Mourning venne ceduto ai Miami Heat in cambio, sostanzialmente, di Glen Rice. Si sarebbe rivelato l’inizio di un matrimonio alquanto duraturo.

L’ex Georgetown andava ora a rimpolpare una squadra che, con l’arrivo del nuovo coach, Pat Riley, aveva uno ed uno solo obbiettivo, il titolo. Zo era il factotum della formazione della Florida, finalizzatore in attacco e difensore accanito a salvaguardia del canestro degli Heat. La grinta, la carica e la feroce determinazione che metteva sempre in campo lo fecero diventare, in breve, il beniamino dei tifosi, nonostante tale vigoroso agonismo gli abbia procurato diverse frizioni, tanto con compagni che con avversari. La “mission impossible” era chiara a tutti, in seno all’organizzazione, e diversi scambi portarono i pezzi giusti del puzzle per rendere Miami una vera contender all’interno della Eastern Conference.

Il prime di Alonzo Mourning è collocabile tra le stagioni 1996-97 e 1999-00. L’annata migliore fu, probabilmente, quella del lockout, dove chiuse col massimo in carriera per rimbalzi (11), i soliti 20 punti ad allacciata di scarpe e quasi 4 stoppate di media. Oltre a guidare la classifica dei tiri respinti al mittente, in quel biennio Zo venne premiato, in ambedue le circostanze, come Difensore dell’Anno, a testimonianza dell’importanza e della capacità nel cambiare le partite anche in difesa. Tuttavia, il titolo non sarebbe arrivato.

Le carriere ed i destini di Mourning e Patrick Ewing si intrecciarono nuovamente, questa volta in maniera decisamente più intensa e drammatica. Nonostante l’amicizia tra i due sia sempre rimasta immutata, le due squadre di appartenenza, Miami e New York, si affrontarono per 4 anni di fila nella postseason, con sfide dure, equilibrate e decise sul filo di lana, con prevedibili ripercussioni anche nelle partite di regular season, Nei Playoff del 1997, all’altezza delle Semifinali di Conference, i Knicks erano avanti per 3-1. Sul finire di gara-5, con gli Heat in controllo, dopo una lotta per un rimbalzo si scatenò una violenta rissa che costrinse la Lega a sospendere i giocatori nell’arco di due gare, a causa dell’elevato numero di atleti coinvolti. Miami ne approfittò, guadagnò l’inerzia della serie e riuscì a vincere, tra le polemiche, per 4-3, volando in Finale di Conference dove si sarebbe arresa, in 5 gare, ai Bulls di Jordan. Nel 1998, al Primo Turno, i ragazzi di Riley avevano bisogno di una vittoria in gara-4 per passare l’ostacolo Knicks. In quella gara, tuttavia, si accese un durissimo confronto proprio tra Mourning e l’ex compagno Larry Johnson. I due si fronteggiarono come su di un ring, con l’immortale immagine di Jeff Van Gundy appeso alla gamba di Zo nel tentativo di fermarlo. Senza il proprio capitano, sospeso, Miami affondò, perdendo poi la “bella” in casa. Stesso storia, stesso posto, stessa Miami-New York nel 1999. Gli Heat avevano dominato la regular season, sembrando pronti a prendere possesso della Lega dopo l’uscita di scena di MJ. I Knicks avevano raggiunto la postseason per il rotto della cuffia, acciuffando l’ultimo posto utile e salvando la panchina di Van Gundy. Sembrava una serie dall’esito scontato ma, incredibilmente e contro ogni pronostico, New York vendette cara la pelle, rimandando l’esito alla decisiva gara-5, sempre in Florida. In una partita intensa, molto fisica e combattuta, si arrivò sino all’ultimo possesso quando Allan Houston, sulla sirena, scoccò un tiro che venne bevuto dal benevolo ferro dell’American Airlines Arena. 78-77 per i Knicks, che diventarono, da testa di serie numero 8, la seconda squadra di sempre a battere una numero 1 e, soprattutto, la prima ad arrivare alle Finals. Nel 2000 la serie tra queste due grandi rivali fu, come al solito, all’ultimo respiro, disputata nuovamente in Semifinale. Tra mille polemiche, canestri irregolari convalidati e tanto equilibrio, l’epilogo ovvio non poteva che essere una gara-7, da disputare a Miami. Nell’ennesima gara punto a punto, Mourning commise un lieve errore difensivo che portò alla schiacciata di Ewing per il vantaggio Knicks. Gli Heat ebbero diverse opportunità di vincere la partita, ma il tiro sbagliato di Clarence Weatherspoon sancì la terza eliminazione consecutiva per mano di New York. Punteggio finale 83-82 per gli uomini di Van Gundy, ed una maledizione che per Zo sembrava davvero non voler finire mai.

Per ricaricare le batterie, Mourning volò a Sidney, per prendere parte alle Olimpiadi 2000 con la nazionale degli Stati Uniti. La supremazia che era durata per tanti anni venne, per la prima volta, messa a repentaglio, ma Team USA, concluse il torneo da imbattuta. Per il mago di Zo si trattava del primo alloro olimpico, che andava a bissare il primo posto ai Mondiali del 1994. La fine dell’epoca Ewing nella Grande Mela, col passaggio ai Sonics, faceva intravedere un possibile spiraglio per superare quell’ostacolo tanto insormontabile. Prima della stagione 2000-01 Mourning era molto fiducioso sulle possibilità di fare strada nella postseason.

Glomerulosclerosi segmentaria e focale. Certe notizie, quando capitano tra capo e collo, possono essere capaci di smontare anche le persone apparentemente più imperturbabili. Alonzo vide il proprio mondo crollargli addosso, colpa di quei reni che non filtravano più come avrebbero dovuto. Dopo l’iniziale shock, decise di rimboccarsi le maniche, speranzoso di tornare presto a calcare i parquet, sconfiggendo la stessa malattia che aveva colpito poco prima Sean Elliott. Mancò cinque mesi ma riuscì a giocare di nuovo, la stagione seguente disputò addirittura l’All Star Game, nonostante Miami fosse ormai uscita dalla mappa che conta della Eastern Conference. Tuttavia, era chiaro che qualcosa non andasse per il verso giusto. Saltò completamente l’annata 2002-03. Al termine di essa, il suo contratto non venne rinnovato dalla franchigia della Florida, finendo, apparentemente, quel sodalizio tanto profondo. La nuova casa di Mourning sarebbe stata il New Jersey con la maglia dei Nets, al fianco di Jason Kidd. Giocò alcune settimane, ma il male non se ne era affatto andato. Il 25 Novembre 2003 annunciò il proprio ritiro dalla pallacanestro, per cercare di vincere questa cruciale battaglia e porre finire ad un calvario che non sembrava avere fine.

Un mese dopo, quasi per caso, un lontano cugino risultò avere un rene compatibile a quello delle dimensioni di Zo. Fu sottoposto ad un trapianto che, probabilmente, gli salvò la vita. Lavorò ancora più duramente per tornare in campo, cosa che puntualmente fece, ancora in maglia Nets, all’inizio della stagione 2004-05. La squadra si era indebolita e, complice anche l’infortunio di Kidd, navigava in brutte acque. Per risollevare l’ambiente, il front office diede il la all’operazione che portò Vince Carter nel New Jersey, contestualmente spedendo Mourning ai Toronto Raptors. In Canada, tuttavia, l’ex Georgetown mancò si presentò a conoscere dirigenti e compagni, venendo tagliato nel Febbraio 2005. Pochi giorni dopo arrivò la notizia tanto attesa, soprattutto in Florida e dintorni: il mago di Zo avrebbe rivestito nuovamente la maglia Heat numero 33.

Miami, nonostante l’assidua presenza di Riley, era molto cambiata in quegli anni. La nuova stella della squadra, e dell’intera NBA, era Dwyane Wade con, al proprio fianco, un certo centro che di nome faceva Shaquille e di cognome O’Neal. Non un omonimo, ma proprio lo stesso che rivaleggiava furiosamente con Alonzo quando i due erano giovani leoni appena arrivati dal college. In breve misero da parte i vecchi dissapori, trovando anche la giusta intesa ed amicizia, tanto dentro quanto fuori dal parquet. Gli Heat quell’anno si fermarono solo in gara-7 delle Eastern Conference Finals contro i Detroit Pistons, campioni uscenti. L’anno seguente, dopo un’aggressiva campagna acquisti, un avvio incerto ed il licenziamento di Stan Van Gundy, dopo 3 anni sabbatici Pat tornò a sedersi sulla panchina della squadra. Mourning non aveva certo perso la capacità di stoppare e di intimidire, né, tanto meno, la carica ogni qualvolta toccasse il parquet. Ora, frenato dall’età e dagli infortuni, poteva sprigionarla solo per pochi minuti di permanenza in campo, risultando comunque decisivo. Miami arrivò sino alle 2006 NBA Finals, le prime della propria storia, opposta ai Dallas Mavericks. Sotto 2-0, gli Heat reagirono furiosamente, vincendo le 3 partite casalinghe. In gara-6, in Texas, Zo diede la propria pennellata d’autore, incarnando in pieno il leitmotiv della stagione di Miami, quel 15-strong che era fortemente ispirato dal carisma del numero 33: 8 punti, 6 rimbalzi e, soprattutto, 5 stoppate che diedero la scossa nel momento decisivo. Il lungo pellegrinaggio, che sembrava ormai finito nel peggiore dei modi 24 mesi prima, era giunto al termine: Heat campioni ed anello per Alonzo Mourning. I tanti sacrifici, il sudore e lo stesso trapianto avevano ora un sapore del tutto nuovo, dolcificati da quell’obbiettivo fortemente voluto ed ora finalmente conquistato.

L’anno e mezzo seguente fu segnato da cifre buone per uno con quell’età e quell’usura. Tanti giovani schiacciatori fecero, ancora una volta, conoscenze con le braccia ed il timing del mago di Zo, vedendo i propri tentativi respinti con perdite. Miami non riuscì a bissare il titolo dell’anno precedente, fermandosi subito al Primo Turno contro Chicago. Il 19 Dicembre 2007, in una gara contro Atlanta, il ginocchio fece crac. Mourning, da vero leone, rifiutò di uscire in barella. Aveva capito che era la fine della sua carriera e, come ebbe a dichiarare in seguito, voleva uscire dal campo, per l’ultima volta, sulle proprie gambe. Un anno più tardi annunciò il ritiro definitivo dal proscenio NBA, mettendo fine ai rumors su di un possibile ritorno. Quasi immediata fu la cerimonia all’AAA in suo onore, con il numero 33 che veniva issato sulle volte del palazzetto, primo Heat a ricevere tale onore. Nessuno potrà mai più indossarlo con la maglia di Miami.

Rimasto in seno all’organizzazione, anche in quest’epoca dei Big Three la figura di Alonzo Mourning non ha perso il proprio carisma e l’autorevolezza all’interno dello spogliatoio. C’è anche lui, ovviamente con una parte relativa, dietro i trionfi delle ultime due annate e lo sviluppo di alcuni giocatori. Con la posizione che attualmente ricopre si occupa non solo dell’aspetto meramente cestistico, ma anche delle relazioni con la comunità circostante. Questo perché quel leone che faceva impazzire il pubblico, metteva tutto quello che aveva sul parquet, faceva a sportellate con gli avversari, che ha sconfitto un brutto male ed è tornato da vincitore, non può che essere fonte d’ispirazione per migliaia e migliaia di persone.

Alessandro Scuto

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