All’interno dell’esclusivissima cerchia di college in grado di attrarre qualsiasi liceale di livello in ogni angolo d’America è impossibile non includere la University of Kentucky, ateneo dal programma molto antico (iniziato nel 1903), capace di scrivere record su record con squadre da sempre fortissime sulla carta (non sempre poi all’altezza delle aspettative in campo, come insegna questa stagione), e a loro volta rafforzate da nuove leve di primissimo livello, appunto per le ottime possibilità di reclutamento dei migliori prospetti in circolazione. Tutto molto bello per i Wildcats, ma c’è un rovescio della medaglia, e cioè che questi grandi talenti sono generalmente già da tempo sul taccuino degli scout NBA, e finiscono per rimanere molto poco al college, magari giusto il tempo di raggiungere l’età minima per dichiararsi al Draft e poi tanti saluti, con buona pace della mamma che ci teneva tanto ad avere un figliolo laureato. All’interno dell’enorme gruppo di Wildcats approdati poi al piano di sopra, anche considerando solo gli ultimi anni, è proprio questo il percorso intrapreso, ad esempio, da John Wall, Wildcat solo nel 2009/2010 (un altro grande play come Rajon Rondo invece restò addirittura 2 anni su 4), e da quelli che sono forse i due migliori lunghi delle ultime due stagioni NCAA: rispettivamente Anthony Davis e Nerlens Noel, quest’ultimo uscito dopo una sola stagione nonostante il grave infortunio occorso un anno or sono. Questa sorta di tradizione di freshmen big men ha trovato anche quest’anno un nuovo erede, quel Julius Randle che con ogni probabilità seguirà le orme dei suoi predecessori, e che oggi, per chi ancora non lo conoscesse, vi presentiamo nella nostra rubrica Road to Draft 2014.
JULIUS RANDLE
A dimostrare l’attrattiva del programma di Kentucky ad ogni latitudine dei 50 Stati dell’Unione, si può notare come Davis sia nativo di Chicago, Noel di Everett, in Massachusetts, mentre Randle sia invece un prodotto del Sud, essendo nato a McKinney, nell’area metropolitana di Dallas, il 29 novembre 1994. Figlio d’arte, visto che non il babbo ma la madre, Carolyn Kyles, giocò ai suoi tempi a Texas Arlinghton, per poi trasmettere al pargolo la canotta numero 30 sulle spalle e una certa affinità con la palla a spicchi. Certo, un tantino maggiore di quella materna: autentica iradiddio alla Prestonwood Christian Academy, in cui vince 2 titoli statali in 3 anni, entra in fretta nei radar nazionali come ennesimo grande prospetto auspicabile alla Draft Class 2014 e ovviamente ha metà nazione ai suoi piedi. Coach John Calipari deve fare appello a tutto il suo talento di reclutatore per sconfiggere l’agguerrita concorrenza di Kansas, Texas e Florida in particolare, ma riesce a uscirne vincitore e il ragazzo approda al campus di Lexington, in una squadra in cui il talento generale è, come sempre, l’ultima cosa di cui vi sia penuria. Mancanza ovviamente sconosciuta anche a Randle, abbinata peraltro anche a una certa carenza di timidezza: alla prima uscita in maglia Wildcats, pur con la non irresistibile UNC Asheville, manda a referto 23 punti e 16 rimbalzi, così, giusto per gradire. Quattro giorni dopo, nel primo big match stagionale con Michigan State di Andreian Payne, esce sconfitto dalla partita ma stravince il duello personale col rivale chiudendo a 27, 13 rimbalzi e lampi di dominio. Il suo rendimento conosce poi alcune flessioni, soprattutto in questo 2014, “favorito” in questo calo dal sempre più deludente rendimento dell’intera Kentucky man mano che ci si avvicina al Torneo NCAA; ciò nonostante, a fine febbraio viene inserito di diritto nella lista dei 10 migliori giocatori della stagione NCAA, grazie alla doppia doppia media da 15.5 punti (con il 51% dal campo) e oltre 10 rimbalzi che sta tenendo.
CARATTERISTICHE TECNICHE
Come detto il texano è un big man, ma si differenzia profondamente dai suoi due predecessori. Intanto per il ruolo: Julius Randle non ha i centimetri per giocare stabilmente da centro ed è quindi una PF pura, di circa 2.06 metri per 113 chili. Questa taglia fisica più ridotta lo rende quindi molto meno intimidatore difensivamente di Davis prima e Noel poi, difetto però ampiamente compensato nell’altra metà campo da un potenziale offensivo elevatissimo: mancino naturale, Randle presenta un mix raro di potenza fisica, atletismo, rapidità, coordinazione e tocco educato: molto forte soprattutto nella parte superiore del corpo, è in grado di prendere posizione col fisico vicino a canestro e con una ricezione profonda diventa sostanzialmente immarcabile, sia attaccando subito con movimenti di potenza, sia con un buon gioco spalle a canestro (finte, gioco di perno, spin move), o semplicemente con l’efficace gancione mancino; il suo gioco fisico inoltre genera molti contatti e frequenti viaggi in lunetta, che converte con buone percentuali. Temibile nei pressi del ferro, è comunque in grado di attaccare anche fronte a canestro grazie a mezzi atletici e a una velocità molto superiore alla media dei pariruolo, abbinata peraltro a una sorprendente proprietà di palleggio con entrambe le mani per un giocatore di quella stazza. Si intuisce quindi come diventi spesso un rebus per le difese avversarie contenerlo, potendo generare mismatch sia con avversari più piccoli, sia contro lunghi più grossi e lenti: “Julius Randle is hard to handle!” dicono negli States, in un’assonanza tanto scontata quanto veritiera.
Un ottimo attaccante quindi, che però non disdegna certo il gioco duro e il lavoro sporco: non a caso si distingue anche come eccellente rimbalzista, sia offensivo che difensivo, potendo abbinare la solita imponente struttura fisica a un grandissimo senso della posizione: in difesa taglia fuori molto bene e sa “farsi largo” se si trova dietro l’attaccante avversario, mentre in attacco ha una capacità quasi diabolica nel seguire il proprio tiro sbagliato e catturare il rimbalzo offensivo. Anche difensivamente è tutt’altro che un buco, specie nella difesa in post in cui tiene bene la posizione (anche se paga un po’ l’altezza), ma è anche piuttosto rapido coi piedi in scivolamento sulla palla, considerata sempre la stazza.
“Wow, ma questo Randle è il lungo perfetto!” Ehm, no, ovviamente anche il buon Julius ha qualche difetto e alcuni aspetti del gioco da migliorare, com’è normale per un ragazzo di nemmeno vent’anni. Il più evidente è riassumibile nell’ancora carente lettura di molte situazioni di gioco: tende ad esempio ad attaccare a testa bassa, anche quando la difesa, prevedibilmente, collassa su di lui (soprattutto vicino a canestro). Spesso non vede lo scarico, forza malamente, o se riapre lo fa talvolta con passaggi imprecisi o del tutto sbagliati: il tutto si traduce in oltre 4 palle perse a gara, un’enormità per un lungo. Non lo aiuta nemmeno la tendenza a fidarsi fin troppo delle sue pur buone doti di palleggio: non è raro che provi a condurre il contropiede dopo il rimbalzo, finendo spesso per perdere il pallone. Inoltre, se nonostante ciò rimane comunque dominante a livello di college, maggiori dubbi permangono sul suo adattamento al piano superiore: in primis per l’altezza, non certo eccelsa per gli standard NBA, in secondo luogo per un utilizzo eccessivo della mano forte (difetto peraltro comune tra i mancini) a discapito della destra, il che limita parecchio le sue soluzioni e lo può rendere prevedibile. Anche il jumper da oltre l’area piccola, pur affidabile, non è molto continuo e va assolutamente migliorato. Qualche dubbio l’ha posto pure, soprattutto nell’ultimo periodo, la sua tenuta mentale e la leadership: pur non essendo un ragazzo problematico, il calo di rendimento degli uomini di Calipari ha inghiottito anche lui, dimostrandosi spesso incapace di reagire da leader alle difficoltà della squadra e adattandosi all’andazzo generale.
PROSPETTIVE NBA
Altezza a parte, è chiaro comunque come su questi difetti si possa lavorare proficuamente, specie sul tiro, ed è per questo che gli scout seguono attentamente Randle, considerato già ora uno dei pezzi più pregiati di questa eccelsa Draft Class, nonché dotato di ulteriori margini di miglioramento. Possibilissimo numero 1 assoluto in annate di maggior carestia, nonostante una flessione nelle quotazioni il prodotto da Kentucky non dovrebbe comunque andare oltre la quinta chiamata: al momento sembrerebbe l’ultimo auspicabile dei Fab Four di questo Draft (Embiid, Wiggins e Parker gli altri tre). Un lungo con le sue caratteristiche e i suoi margini di miglioramento dovrebbe far gola un po’ a tutte le cenerentole della Lega che non siano già coperte nel ruolo, per quanto il suo impatto, come detto, potrebbe risultare forse al di sotto delle alte aspettative attuali: non a caso è stato spesso accostato ad altre ali forti mancine sottodimensionate del passato, come Derrick Coleman, o del presente, come Zach Randolph, in grado sì di costruirsi ottime carriere tra i pro, ma forse un po’ al di sotto delle previsioni iniziali. Difficile auspicare adesso quanto Randle riuscirà a portare alla causa, ma di certo non mancherà chi vorrà provare a scommettere su di lui. Con il forte rischio, se va bene, di sbancare il montepremi…