Lo ammetto. Ieri notte, dopo l’ennesima giornata di nullafacenza, stavo per dirigermi verso le calde coperte del mio letto, evitandomi le First Four del Torneo NCAA.
Still dancin’: altri 40, sublimi, minuti per i Great Danes.
Ma mi sono fermato per un istante a guardare i primi minuti di #16 Albany vs #16 Mount St. Mary’s e non mi sono alzato dal divano fino alla conclusione della stessa. Non certo per il suo tasso tecnico. Non certo per i talenti in campo. Di sicuro nemmeno per il valore della partita in sé o per la cornice di pubblico. Ma per la poesia che c’era in quelle due squadre, le due considerate peggiori di tutto il tabellone NCAA. No, non c’erano rilasci alla Ray Allen o alla Steph Curry (14 su 46 da tre complessivo), non c’erano Lebron James da 25 punti in 12 minuti, grandi allenatori o trofei in palio. C’era semplicemente una partita di pallacanestro giocata per l’amore verso la stessa. Passione, un tiro a 20” dal termine che esce per una manciata di millimetri e rende vane le speranze di 12 ragazzi e del loro allenatore. La squadra vincente, Albany, può gioire, ma dovrà andare ad affrontare la numero 1 Florida nella giornata di domani. Il premio per la sua vittoria sarà quindi una sconfitta assicurata e in un caso come questo credo che non si possa nemmeno dire “beh ma scenderanno comunque in campo per vincere”: sono ragazzi di 20 e passa anni, sono anche loro consapevoli di non poter competere con una macchina quasi perfetta che in stagione ha battuto tre volte su tre una Kentucky con 5-6 prospetti NBA. D’altronde sarebbe persino riduttivo relegare alla vittoria il motivo della discesa in campo di una squadra, anche in una partita come quella di ieri: nei volti dei giocatori di Mount St. Mary’s a fine partita non c’erano le lacrime dello sconfitto, ma la delusione di non avere altri 40 minuti per stare in campo. Nessuna vergogna per gli sconfitti, nessuna gloria per i vincitori, semplicemente basket. E per questo tremendamente bello. Albany si gode così la prima vittoria al Torneo nella sua storia (solo tre apparizioni precedenti) senza la luce dei riflettori e con una sconfitta in arrivo come premio. Ma non forse tutte le vittorie sono prima o poi seguite da sconfitte? allora non ha forse più valore per DJ Evans (che ieri ha pareggiato il suo career high di 22 punti) e compagni il fatto di avere altri 40 minuti per giocare a pallacanestro? La vittoria sì, ma come mezzo per ottenere altro gioco, altre emozioni, non solo per la vanità della stessa. 40 minuti. 28 metri di parquet. Una sconfitta. Una piccola nota di margine nei libri di storia del basket collegiale. Will Brown e i suoi ragazzi non potrebbero chiedere di meglio. E noi nemmeno.
Playin’ their hearts out: NC State edition
Un’altra bella storia potrebbero scriverla i Wolfpack di North Carolina State: squadra che quasi nessuno, sottoscritto compreso, si aspettava al Torneo NCAA e che in molti abbiamo subito etichettato come quasi “non meritevole” di un posto nelle 68. Meriti o demeriti di certo i ragazzi di Mark Gottfried sono stati ben contenti di rispondere alla chiamata della commissione e non si lasceranno certo fermare dai dubbi che li hanno circondati e che, anzi, probabilmente saranno la motivazione più forte del loro viaggio al Torneo. Intanto hanno iniziato con un’ ampia vittoria su Xavier guidati dal solito TJ Warren che però è stato ben supportato dai compagni che hanno coperto la sua mancanza prolungata nel primo tempo per problemi di falli e un lieve infortunio. Beejay Anya, Ralston Turner, hanno svolto un ruolo altrettanto fondamentale, ben oltre le statistiche, ricordandoci quanto il basket sia uno sport corale, dove non basta il centravanti da 20 gol a partita per vincere un campionato o anche solo arrivarci vicino. North Carolina State è dove è e non è un one man show, ma una squadra, meritevole della sua posizione e che lotterà per mantenerla. Dubbi, certezze, previsioni. Tutto inutile, tutto vacuo. Ormai si è iniziato a giocare a basket: non resta che godersi lo spettacolo.