Categorie: Primo Piano

Il Geometra – John Stockton

Non sempre è facile scegliere la storia da raccontare, soprattutto se si vuol parlare di basket made in USA,  da sempre cantiere aperto di aneddoti e leggende. I grandi giocatori che si sono avvicinati al parquet americano, dai College all’ABA sino all’odierna Nba, ti costringono ad una scelta imbarazzante, da sempre  la parte più ardua del compito. Se poi ci aggiungiamo la mia naturale inclinazione verso l’indecisione, mista a quella voglia di far tutto che poi inspiegabilmente si concretizza nel far niente, la situazione non è delle migliori.

Mentre turbato pensavo a questo articolo mi divertivo a guardare l’arrivo della Bucchianico – Porto Sant’Elpidio, o meglio la sesta tappa della Tirreno Adriatico, in cui uno straripante Cavendish dominava una volata senza rivali, primo sul traguardo e mani al cielo.  Da quelle immagini avrei cercato di trarre ispirazione.

Volevo raccontare una storia intensa ed emozionante, un giocatore che avesse nelle sue doti principali quella grinta, quella aggressività, quella forza fisica e quella voglia di “mordere” il ferro degna dei migliori playground newyorkesi, un giocatore eccentrico ed egocentrico, fuori e dentro al campo, nella vita cestistica ed in quella privata, uno che amasse volare sopra al canestro e vivere al centro dell’Arena, o del Center, se preferite.

Ecco il nome: John Stockton! Bianco, piccolo, altruista, nato a Washington – attenti, Stato non città, – e con un taglio di capelli simile a quello dell’ex compagno di banco di vostro padre. Semplicemente uno dei migliori playmaker che il globo abbia mai avuto l’onore di veder giocare!

Cosa c’entra con la descrizione qua sopra? Esattamente niente. O almeno poco, pochissimo. Lui in realtà al centro dell’Arena, o meglio del Delta Center in questo caso, ci è sempre vissuto, solo che lo faceva a modo suo! L’asse Stockton-to-Malone è ormai entrata di diritto in quelle che sono le giocate più famose di questo sport, ma la spettacolarità di alcuni giocatori e l’eccentricità che li accompagna durante la loro carriera a volte rischia di far scordare o almeno far passare in secondo piano, ma so che questo non è il vostro caso, le gesta di altri come il buon John. Il non aver mai vinto un titolo Nba certo non aiuta, ma stiamo parlando di un vero mostro sacro del ruolo dedicato ai “piccoli” di questo sport.

John Stockton nasce a Washington, nord ovest degli States, nella cittadina di Spokane. Suo nonno, Houston Stockton è una vera celebrità sportiva da quelle parti, ma lo sport in questione è il football e non il basket. Il giovane John studia e gioca alla Gonzaga University, una college non certo conosciuto per il suo programma di basket. Negli anni ai Bulldogs mette in evidenza le sue migliori doti: quella strana genialità che gli consentirebbe di far segnare venti punti a partita anche a Bugs Bunny dei Looney Tunes accompagnata da quella precisione del tiro da tre che di solito termina con il “ciuf” della retina.

Assist man nato. Viaggia per tutta la carriera letteralmente tre secondi avanti a chiunque, capace di leggere il gioco come probabilmente nessuno mai.

A Gonzaga batte qualunque tipo di record, non che ci volesse molto in effetti, ma l’evento più importante di questi anni, ma qui forse John non sarebbe molto d’accordo,  è legato all’incontro con un altro futuro Nba, anche lui playmaker, anche lui bianco, ma biondo. Tale Steve Kerr. Il ragazzo era venuto a fare un provino -allenamento a Gonzaga trovandosi di fronte in 1vs 1 proprio John. Non vi sto neanche a raccontare come è andata a finire. “He kicked my butt” esclamò tempo dopo Kerr riferendosi al ragazzo che all’epoca nessuno conosceva.

In fondo Steve una bella rivincita se la prenderà anni dopo con la maglia di Chicago. Gli dei del basket!

Dopo essersi messo in mostra in un Try-outs organizzato dalla nazionale americana sotto la guida di Bob Knight, nel 1984 viene chiamato come 16° scelta assoluta da Utah, Salt Lake City lo aspetta.

Quello del 1984 è il Draft che passerà alla storia come uno dei più ricchi di talenti, “colpevole” di vantare nomi come Michael Jordan, Hakeem “The Dream” Olajuwon e Charles Barkley.

Ma la preveggenza non è dono dato a noi esseri umani, ed i tifosi dei Jazz rimangono perplessi da questa scelta non molto gradita, non potevano certo immaginare quale sarebbe stato il finale della storia!  I primi due anni è la riserva di Green, ma quello è un ruolo che poco gli si addice e pian piano conquista minuti e fiducia. In rampa di lancio la svolta nella sua carriera avviene nel 1985, quando al Draft Utah sfrutta la tredicesima scelta assoluta chiamando Karl Malone, quello che diventerà l’amico di una vita. L’intesa fuori dal campo spesso rispecchia quella sul campo ed insieme al “Postino” forma una delle coppie più devastanti della storia della Nba.

Stocktone – to – Malone

Nel 1992 ci sono le Olimpiadi di Barcellona e John prende il volo europeo insieme al centro di Utah. Stavolta gli States fanno sul serio: è la squadra del Dream Team e per John arriva il primo grande vero riconoscimento alla sua carriera. In finale c’è da battere la Croazia, ma lo stesso Petrovic poco può contro la strapotenza americana ed il punteggio è di 76 – 127 USA.

C’è un particolare: mancano pochi secondi al suono della sirena e Stockton chiede palla. Un ultimo tiro? No, non è roba che fa per John. Si ferma e palleggia, fino alla fine, portandosi così letteralmente a casa il pallone della vittoria.

Sguardo fisso e concentrato, una compostezza unica, una freddezza che gli ha permesso 4 anni dopo di ripetersi. Ancora finale olimpica, ancora vittoria USA, ancora pochi secondi alla fine e John che chiede palla e ancora non la gioca, ma palleggia. Al fischio con una tranquillità disarmante si mette la palla sotto il braccio e dà qualche “cinque” qua e là, un po’ come dopo un amichevole al campino!

Ormai è diventato quel leader “silenzioso” che trascinerà Utah alle finali del 1997. Ma il compito non è semplice e ad attenderli ci sono i Bulls di Jordan, Pippen e Rodman. Questa volta Chicago è più forte. In gara sei i Jazz possono agguantare il pareggio ma MJ non è d’accordo: ultima azione, penetrazione , raddoppio su di lui e scarico nell’angolo a Kerr – si quel Steve Kerr – che insacca. Vittoria Chicago.

L’anno seguente Utah torna in finale e tra loro e l’anello Nba trovano ancora i Chicago Bulls, stavolta tutt’altro che imbattibili e alle prese con vari problemi fisici. Utah parte con i favori del pronostico, ma ancora una volta Michael non è d’accordo. In gara sei prima segna il canestro del meno uno poi nella metà campo difensiva ruba palla a Malone in post basso e si dirige verso quella che è l’inevitabile conclusione di ogni sua partita: la vittoria. Tutti al Delta Center sapevano come sarebbe andata a finire quell’azione: Michael palleggia, esitazione, si beve Russel, e si alza in sospensione dalla lunetta! “ciuf”. La perfezione.

Utah avrà anche l’ultimo tiro ma stavolta Stockton manda sul ferro l’ultima preghiera accompagnata dall’ultima possibilità di vincere un titolo Nba……chissà cosa sarebbe successo se quel tiro fosse entrato.

L’11 Settembre 2009 viene ufficialmente inserito nella Basketball Hall of Fame, tutt’ora detiene il record Nba per numero di assist e palle rubate. Classe ed intelligenza.

Quella di John sul parquet era pura poesia, e per essere considerati dei geni del basket non serve sempre aver vinto un titolo….serve essere John Stockton!

Matteo Bianucci

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Pubblicato da
Alberto Calò

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