Categorie: Editoriali NBA

Charlotte, missione compiuta

Qual è la più grande sorpresa della regular season NBA 2013-14? In molti, di primo acchito, risponderebbero i Phoenix Suns, ancora in corsa per i Playoffs nella non semplicissima Western Conference, smentendo tutti i pronostici degli addetti ai lavori. Qualcuno altro citerebbe i Toronto Raptors, incolori sino ad inizio Dicembre ed oggi in ballo per il vantaggio del fattore campo nel Primo Turno della postseason. A ben vedere, però, tra le “Cenerentole” della stagione, è facilmente individuabile un’altra pretendente a tale platonico titolo. Stiamo parlando dei Charlotte Bobcats, la franchigia che ha come proprietario un certo Michael Jordan.

Istruzioni per l’uso: è chiaro che la squadra, analizzandone il roster, non possa essere considerata una sorpresa a tutto tondo o in assoluto, data anche la relativa difficoltà della Eastern Conference. Lo stupore per la presenza di Charlotte da metà Aprile in poi sui canali televisivi è dovuta al poco illustre pedigree della più giovane franchigia della Lega. Quando vinci solo 28 partite in due anni (ivi compresa la peggior percentuale di sempre in termini di vittorie), cambi allenatore ogni stagione ed hai raggiunto solo una volta i Playoffs nella storia, è chiaro che siamo di fronte ad un’anomalia non proprio pronosticata da tutti quanti ai nastri di partenza.

Eppure i Bobcats sono stati una presenza fissa nei piani alti della Conference Orientale sin dalla prima palla a due, pur vivendo un periodo di flessione che sembrava averli proiettati verso i soliti bassifondi. Solo 4 affermazioni su 15 incontri a cavallo delle feste sembravano aver vanificato quando di buono fatto vedere sul parquet. Contrariamente alle altre annate, questa volta Charlotte ha reagito. Da Febbraio la squadra ha cambiato passo, riuscendo a valicare la fatidica quota 50% ed assestandosi, nel momento in cui scriviamo, sul record di 39-38. Dopo la vittoria alla Quicken Loans Arena, è arrivata la matematica qualificazione alla postseason, con la possibilità di chiudere con un record vincente la regular season.

Era dal 2010 che questo vero e proprio evento non si verificava, quando al timone della nave c’era il comandante Larry Brown. Dopo esser tornati ad essere la barzelletta della Lega, i Bobcats sono riusciti a ritrovare la retta via che era stata smarrita. Due nomi e cognomi ben precisi stanno dietro questa rinascita.

Il primo è quello del coach, Steve Clifford. Alzi la mano chi non pensava che si trattasse dell’ennesimo allenatore ingaggiato sotto la non sempre illuminatissima direzione di MJ. Ed invece l’ex assistente di lungo corso, alla prima esperienza da head coach, ha smentito tutti, diventando uno dei nomi caldi per il trofeo di Coach of the Year.

Il merito di Clifford è individuabile, principalmente, nella metamorfosi difensiva che ha investito come un uragano l’intero roster. I miglioramenti in questo settore, nell’arco di 12 mesi, hanno un qualcosa di metafisico, dal momento che la rosa è sempre la stessa, eccezion fatta per un’aggiunta di cui presto parleremo. Charlotte è, infatti, quinta per punti concessi di media (97,2) e sesta per defensive rating, laddove, non più tardi di un anno fa, arrancava rispettivamente in penultima ed ultima posizione. I Bobcats sono alle prime posizioni anche per quanto riguarda la percentuale concessa, un 44,2% che li pone a pari merito, per fare un esempio, con una squadra del calibro dei San Antonio Spurs.

Quello che sorprende è che ci siano sia margini di miglioramento (quartultimi per percentuali da tre punti permesse agli avversari), sia che il nucleo della squadra non è formato da grandi difensori individuali, soprattutto tra coloro che fanno la differenze nella metàcampo offensiva. Manca un intimidatore vero e proprio (miglior stoppatore Biyombo con 1,1, mai disponibile Brendan Haywood) ed anche nei recuperi Charlotte non spicca per numeri nell’apposita graduatoria.

Nonostante queste premesse, l’apparato difensivo funziona alla grande. Charlotte, col coltello tra i denti, ha fatto della propria area un fortino quasi inespugnabile, concedendo davvero poco sia al ferro sia nel resto della zona pitturata (36,3%, secondi). Con la coperta che, a volte necessariamente, deve essere corta, si intuisce come sia in controtendenza il dato dei tiri da fuori avversari, a volte sfidati a prendersi conclusioni dalla distanza piuttosto che penetrare dentro il cuore della difesa. Con un impegno costante da parte di tutti ed un sistema che funziona alla grande nella propria metà campo, spiccano per eccellenza le doti e le attitudini di Michael Kidd-Gilchrist. Alla sua stagione da sophomore, l’ex compagno di Anthony Davis al college si è fatto notare per defensive rating individuale e per percentuali concesse al diretto avversario. Per maggiori informazioni, citofonare a Paul George, soffocato in un paio di occasioni dalla marcatura competente di MKG. Non sarà probabilmente mai una stella, forse la posizione numero 2 al Draft verrà valutata eccessiva nei prossimi anni, ma in una squadra con certe ambizioni uno come l’ex Kentucky farà sempre comodo, nonostante le carenze offensive (7,2 punti e 11% dalla lunga distanza).

I Bobcats sono riusciti così a sopperire all’assenza per tutto l’anno dell’altro mastino designato, Jeff Taylor, dotandosi di un efficiente apparato difensivo e coprendo con cura le proprie plance. La squadra è infatti prima per percentuale di rimbalzi difensivi catturati. Per quanto detto fino ad ora, è curioso come i ragazzi di Coach Clifford siano incappati in due serate in cui hanno visto emergere protagonisti Carmelo Anthony e LeBron James, entrambi capaci di segnare un sessantello ad una delle migliori difese della Lega.

La propria metà-campo è la chiave di volta della stagione di Charlotte, il segreto poco custodito che ha permesso loro di emergere ad Est. Grazie ad essa, è stato possibile superare le carenze nella fase offensiva, che rappresenta forse il Tallone d’Achille della formazione della Carolina del Nord. I Bobcats sono alla posizione numero 23 per punti segnati ad incontro (96,7) ed alla 24 per offensive rating, giocando ad un ritmo alquanto basso (ventunesimi per Pace Factor). Anche le percentuali sono da bassifondi, con un 44,2% decisamente da migliorare. Il gioco mid-range non li vede grandi interpreti di una specialità che, tra l’altro, si sta sempre più diradando nella Lega di questa decade. Anche da tre manca uno specialista affidabile, sebbene Anthony Tolliver e Gary Neal, acquisizione di Febbraio, siano oltre il 40%. Nonostante un attacco a tratti molto prevedibile e sicuramente poco strutturato, ecco introdotto il secondo protagonista di cui parlavamo poc’anzi.

Al Jefferson. Ecco chi ha davvero spostato gli equilibri all’interno di questa squadra. Arrivato da Utah forse un po’ troppo in sordina, Big Al si sta meritando sul campo la possibile inclusione in uno dei primi quintetti della Lega tra qualche settimana. E’ l’unico giocatore ad Est a viaggiare con un 20+10 di media, più precisamente a 21,7 e 10,6 (ovviamente top di squadra in ambedue le categorie). Il sistema offensivo è predicato sulla sua presenza e ricerca spasmodica e, non a caso, figura ai primissimi posti per tocchi totali del pallone e in area (secondo dietro a Pekovic che ha però giocato meno partite). Confermando quanto si sapeva già da tempo, Jefferson si è dimostrato una vera e propria bestia in vernice, convertendo con oltre il 65% al ferro e colpendo con precisione col tiretto all’interno sempre della zona pitturata, vera e propria specialità della casa (50%). Per varietà di soluzioni e movimenti nei pressi del canestro avversario, sia spalle che fronte ad esso, Al è, probabilmente, il migliore della Lega, escludendo dalla lista Tim Duncan per ovvi motivi. E se in difesa, nonostante il primo posto a pari merito nelle stoppate, ha palesato i noti difetti, Jefferson è apparso più convinto e coinvolto nel sistema, contribuendo anch’egli ai grandi miglioramenti in tale settore. A conti fatti, l’acquisizione di Big Al potrebbe essere state una delle più importanti dell’estate 2013 e, soprattutto, nella storia non sempre illustre dei Bobcats.

Secondo realizzatore con 17,8 e miglior assistman a quota 6 è Kemba Walker, il piccolo playmaker giunto alla terza annata nella Lega. In grado di dare anche una mano a rimbalzo (4,2) nonostante le dimensioni, l’ex UConn è il catalizzatore dei palloni dell’attacco, al pari di Jefferson. E’, infatti, al numero 1 della Lega per tocchi totali ad incontro, davanti a veri e propri mostri sacri del ruolo. Tra i migliori anche per punti da penetrazione ed in palleggio arresto e tiro, Walker è chiamato a dare una scossa di adrenalina ed imprevedibilità ad una squadra che ne ha davvero bisogno, non mancando inoltre di prendersi le proprie responsabilità. Da quando è arrivato nella NBA, Kemba si è dimostrato un degno match-winner, risolvendo diverse partite nei finali in volata. Le percentuali sono ancora deficitarie, 39,7%, e, data la statura, ha una comprensibile difficoltà a chiudere al ferro. Ciononostante, il futuro della franchigia passa anche dalle sue mani e la possibilità di giocare la postseason gli garantirà un’importantissima esperienza per continuare a crescere.

Due altri uomini in doppia cifra per Charlotte: il metronomo Gerald Henderson (14,3) e l’acquisto di fine Inverno, il già citato Neal. A completare il quintetto, oltre alle due stelle, Henderson e Kidd-Gilchrist, ecco Josh McRoberts. Presenza fissa negli highlights di NBA.com, è stata la power forward titolare dalla prima partita stagionale. Dinamico, numero uno di squadra per punti da catch&shoot, McRoberts è l’altro elemento dotato di fantasia in attacco, in grado di effettuare notevoli passaggi ai compagni liberi; non a caso, è tra i lunghi con la più alta media assist, 4,2.

Dalla panchina alcuni nomi che abbiamo già menzionato: Neal, il tiratore Tolliver, lo stoppatore Biyombo ed altri due elementi della rotazione di Clifford. In primis Chris Douglas-Roberts, visto in Italia, che non sta affatto sfigurando come ala piccola di riserva. Infine, il rookie Cody Zeller, quarta scelta allo scorso Draft, dopo un avvio di stagione tutt’altro che esaltante è progressivamente emerso nell’ultimo mese, firmando anche la sua prima doppia doppia in carriera nella gara di Cleveland.

Con molta probabilità, Charlotte chiuderà col settimo seed ad Est. Questo significa un turno molto proibitivo contro Miami o Indiana, con ampie chance di uscita prematura in poche gare. Lo stesso sarebbe da considerare una vittoria, data che la mera presenza nella postseason è un tributo al lavoro ed alle qualità di gente come Clifford o Jefferson. Il nucleo della squadra sembra essere stato individuato e dovrebbe restare intatto anche nella prossima stagione. Se non dovessero esserci ricadute verso vecchie abitudini di cattivo gusto e contando su di una effettiva ma progressiva crescita del collettivo, i Bobcats potrebbero essere una presenza costante ai Playoffs nei prossimi anni.

Alessandro Scuto

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