Lo sport moderno a Miami è nato con i Miami Dolphins, franchigia dell’NFL ricordata per essere l’unica nella storia del football americano ad aver disputato una Perfect Season nel 1972. La squadra di Jake Scott vinse tutte le partite del campionato, compresi i playoff e il Super Bowl contro i Washington Redskins, ma quello fu uno dei pochi successi e per la città di Scarface e Miami Vice una sola lega professionistca era veramente troppo poco.
Fu così che nel 1988 l’armatore miliardario Ted Arison riuscì a portare l’Nba in South Florida, ed i Miami Heat venivano nominati expansion team insieme ad Orlando, Minnesota e Charlotte. Il nome Heat fu scelto grazie ad un sondaggio tra i tifosi che lo preferirono a quello di Miami Vice, nome del noto telefilm ambientato tra le palme di South Beach.
La squadra allenata da Ron Rothstein perse la prima partita contro i Clippers 111-91 e da li arrivarono 17 sconfitte consecutive ed una stagione tutt’altro che entusiasmante. Il pubblico della Florida rispondeva presente all’appello ma la risposta in campo tardava ad arrivare. Nelle prime sette stagioni Miami raggiunse solo due volte i Playoff venendo subito eliminata. Gli anni novanta erano quelli di Chicago e di Michael, South Beach doveva ancora attendere il proprio appuntamento con la storia.
Ci sono mosse o singole azioni che possono cambiare il destino di una franchigia, segnarne la svolta, e per gli Heat il turning point è stato il 1995, anno in cui alla guida della squadra arriverà Pat Riley accompagnato dall’ex centro di Charlotte Alonzo Mourning, destinato a diventare il giocatore simbolo della franchigia. Nel ‘95-‘96 si torna ai playoff, ma per Miami ancora briciole. Un cambiamento interno però c’è stato e lo si vedrà ancor di più con l’arrivo di giocatori del calibro di Tim Hardway, Kurt Thomas e Jamal Mashburn. Esplode così la coppia Hardway-Mourning e nella stagione 1996-1997 gli Heat si presentano alle finali della Eastern Conference venendo però letteralmente raffreddati dai Chicago della dinastia Jordan -Pippen.
Seguirono anni di ricostruzione dovuti anche all’improvviso allontanamento dai campi da gioco di Mourning, a causa di problemi di salute, che comportarono un netto ridimensionamento del roster di Miami. Nella storia dell’Nba nei momenti di difficoltà spesso è l’amico Draft a venirti in soccorso, e fu così anche per gli Heat che sbaragliarono il Draft 2003 chiamando alla quinta scelta Dwyane Wade da Marquette University. Arrivarono anche Udonis Haslem, Lamar Odom e in panchina Stan Van Gundy. Nell’estate 2004 Pat Riley, rimasto come general manager del team, avrebbe annunciato l’acquisizione del centro tre volte campione Nba, Shaquille O’Neal: si iniziava a sentire un certo profumo di titolo Nba tra le palme della Florida.
Purtroppo il profumo era destinato a rimanere tale per ancora qualche anno, si doveva aspettare la stagione 2005-2006, in cui gli Heat rafforzati dall’arrivo di giocatori di esperienza del calibro di Gary Payton, Antoine Walker e Jason Williams riuscirono a vincere la Eastern Conference e raggiungere così le prime, storiche, finali Nba contro i favoriti Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki. Miami riusci a ribaltare l’iniziale due a zero e vincere quelle finali per 4-2. Wade e compagnia erano riusciti a portare il primo titolo Nba tra le braccia di Miami.
Le stagioni successive non furono esaltanti e paradossalmente si chiuse un ciclo appena iniziato. Per rivedere gli Heat ai vertici della Lega avremmo dovuto aspettare l’arrivo di un certo Lebron e la conseguente nascita insieme a Bosh e Wade degli ormai celebri quanto discussi Big Three. Attualmente il palmares segna tre titoli vinti, di cui due consecutivi nelle ultime due stagioni, ma questa è una storia che tutti conoscete. Questa sarà la stagione dell’assalto al Three Peat per poter firmare il proprio nome affianco a quello dei leggendari Boston Celtic degli anni sessanta, dei Bulls di Jordan e degli invincibili Lakers, ma sarà anche probabilmente l’ultima stagione dei Big Three che potrebbero decidere di intraprendere strade diverse. Wade ha assicurato che la decisione sarà condivisa, ma le luci accese su di loro sono troppe e i general manager pronti al colpo a sorpresa ancor di più.
Lebron poteva fare grande la sempre eterna New York e prendere casa al Madison Square Garden ma all’epoca preferì il sole della Florida, a fine stagione probabilmente riprenderà in mano la cartina degli Stati Uniti, con destinazione ancora da decidere.
Ed è proprio qui che gli Heat dovranno tornare a fare ciò che storicamente gli è sempre riuscito meglio, cioè ricostruire. Dovranno essere in grado di ripartire da zero, fare le scelte giuste e far adattare il pubblico, abituato ormai ad un plot che vede come unica protagonista la propria squadra, ad un eventuale periodo di transizione, per poi tornare a grandi livelli, come hanno fatto con Riley e Mourning prima, con Wade dopo, e come certamente faranno in futuro.
Sapere quale sia la scelta giusta da fare ti rende una grande franchigia, ma solo fare quella scelta e ciò che ti renderà una franchigia vincente.