Dopo l’entusiasmante GARA 1 allo Staples Center sono sorte non poche domande sulle due compagini che si sono affrontate in un primo duello all’ultimo sangue. Quasi tutti davano per favoriti i Clippers di Doc Rivers, che hanno tirato fuori la miglior regular season degli ultimi anni (con record di vittorie fissato a 57) e hanno convinto la folla con giocate e partite emozionanti. La verità però è che la squadra guidata in campo da Paul è troppo instabile e struttura il suo gioco su quelli che possiamo chiamare ‘momenti atletici’.
Nella partita di sabato i losangelini sono partiti a razzo e, come detto prima, hanno trascinato la folla e la gara stessa con le giocate di Griffin e Jordan, coadiuvate da un Paul che si è messo stranamente in gioco già dal primo minuto. Con il passare dei minuti, però, i Warriors si sono adattati e hanno dimostrato di avere un sistema di gioco ben più definito, che va oltre la mera prestazione di Steph Curry. Infatti, anche se il playmaker di Oakland è stato arginato praticamente sempre da raddoppi e pressing asfissianti, gli uomini del reverendo Jackson sono riusciti a dimostrare che il gioco non si ferma alla singola superstar, ma vive e muore con il movimento di palla e con l’altruismo generale dettato da scelte sagge e oculate. Sebbene i troppi turnovers (ben 23, 7 del solo Curry) e le troppe azioni in cui la palla si fermava in post da Thompson (accoppiato con Paul), i Warriors si sono adattati alle scelte degli avversari e hanno giocato facendo gruppo data anche l’importante assenza di Bogut e la partita a metà di Iguodala e Green (il primo per falli il secondo per un problema al ginocchio).
Un centro meno atletico ma più concreto e intelligente cestisticamente potrebbe fare la differenza. In foto la posizione sbagliata di Jordan.
I Clippers hanno messo in luce tante qualità durante questa annata, ma non poche sono le pecche che saltano all’occhio degli addetti ai lavori: Chris Paul è forse davvero l’unico della squadra con una mentalità tale da reputarsi contendente per il titolo. La coppia di lunghi che in determinati momenti della partita cambia l’inerzia a proprio favore con giocate di istinto e di forza, in troppi momenti soffre di amnesie fulminanti, soprattutto in difesa. Raddoppi telefonati, ovvi aiuti mancati e uscite al di fuori dell’area di competenza, senza dimenticare i troppi falli (per Griffin) che costringono il coach a tentare quintetti di fortuna.Chris Paul ce l’ha messa davvero tutta, facendo segnalare anche un insolito 5-9 dall’arco, ma una squadra guidata da un coach così esperto come Doc Rivers, deve avere più di un uomo in grado di sostenere la pressione della gara e di tenere alta la concentrazione superando anche i propri limiiti. Ovviamente l’innesto di Redick è stato un vero capolavoro e il giocatore ex Magic ha dimostrato il suo valore assoluto, ma perle di questo tipo possono valere ancora di più in un sistema legato a quel ‘commitment’ che tanto predicano le cime di questa lega. In una squadra da titolo ogni tassello deve combaciare e il puzzle di Rivers sembra ancora lontano dalla soluzione finale. Queste piccole grandi sfaccettature non sono emerse nella prima uscita nei Playoff 2014, ma sono state spaventose costanti che hanno dominato la regular season, coperte forse dall’euforia generale e dal cammino tutto sommato buono. La domanda quindi sorge spontanea: i Clippers, anche se dovessero superare i Warriors nel primo turno, possono davvero considerarsi presenti nella corsa all’anello?