Indiana spazza Atlanta, zittita la Philips Arena. L’ardua sentenza spetterà a Gara 7

Una ciascuno non fa male a nessuno. E’ la morale della favola che stanno scrivendo Atlanta e Indiana, protagoniste a fasi alterne di una serie ancora a caccia di un padrone. Servirà Gara 7, come sospettabile, per decidere chi si godrà l’happy end e chi invece sarà costretto a mangiarsi i gomiti per un’occasione buttata via.

Si comincia con i soliti quintetti. Nessuna novità, nemmeno nel copione: Hibbert è il solito zombie e dopo una manciata di minuti si accomoda in panchina appesantito dal fardello dei due falli. Vogel dà respiro alla pecora nera gettando nella mischia Copeland, con West nel ruolo di centro. Gli Hawks dimostrano subito una netta superiorità a rimbalzo, in particolare offensivo. Millsap scherza con i tagliafuori avversari e in un amen i georgiani volano a +10. Indy vede materializzarsi l’ennesimo incubo, prima che a scacciarlo intervengano un ottimo Stephenson e un super Watson. Il primo quarto si chiude con uno striminzito 22-20 appannaggio di Atlanta.

Nel secondo periodo i Pacers iniziano a macinare. George fa le veci dell’amico Roy, snocciolando qualche perla in post basso che accende il motore dei campioni della Eastern Conference. Atlanta risponde con qualche fiammata di Carroll, assecondata dai lampi di Teague che inchiodano il tabellone sul 35-35. L’efficacia degli attacchi è proporzionale all’impermeabilità delle difese, ossia mediocre. Si va a riposo con le ruggini tra Scott e George Hill e con la tripla sulla sirena del pupillo di Larry Bird.

L’intervallo rigenera i giovanotti di Budenholzer. La Philips Arena si accorge che Korver vive una notte in preda al panico e invoca di colpo il nome di Lou Williams. Proprio quest’ultimo, in tandem con Teague, consente agli Hawks di rimettere il muso avanti. Un controllo sul match che si protrae fino a tre minuti dall’epilogo, quando Millsap e compagni (sopra di 5) inscenano il suicidio. Sale in cattedra West, implacabile nello sfoderare gli artigli. I canestri in sequenza del 21 danno forza alla combriccola di Vogel, condotta a riva dalla mano ferma di un Paul George straordinario in lunetta. Il 95-88 finale è una sentenza più severa del dovuto, ma sintetizza a perfezione il messaggio da trascinare a Gara 7: Indiana c’è. Prima di celebrare qualsiasi funerale, sportivamente parlando, meglio aspettare.