Atlanta, sei stata nominata. Continua l’avventura degli Indiana Pacers

Come il migliore degli illusionisti. Dopo essere sparita a tempo indeterminato per lasciare spazio alla gemella brutta, la vera Indiana è ricomparsa ieri sera. Elegante, prepotente, convincente al punto giusto, saggia nel controllo dei nervi e di un risultato mai in seria discussione. Ce la ricordavamo così, ed è servita Gara 7 contro Atlanta per ridare colore a una pellicola sbiadita. Onore agli Hawks, rivali usciti tra gli applausi da una passerella che li ha visti sfilare con il costume da gladiatori. I ragazzi di Budenholzer sono andati oltre i loro limiti e non smetteranno mai di maledire una sfortuna che, crudele, li ha privati ad inizio anno del talento di Horford. Il beneficio del dubbio resta, ma con i “se” non si scrivono pagine di storia. Alla fine delle danze in ballo ci restano i Pacers, consapevoli che la musica dovrà cambiare se si vorrà raggiungere l’anello in cima all’Everest.

Il racconto di Gara 7 si apre e si chiude con la pesantezza di un dato: 11 su 44. E’ il bilancio delle triple tentate da Atlanta, partita benino prima di deragliare nel secondo quarto. Korver è la locomotiva che guida i georgiani ad una partenza brillante: il californiano è micidiale in uscita dai blocchi, completa addirittura un gioco da quattro punti e invita Indy a stare sul pezzo. Un po’ di mostarda a saziare la fame di vittoria della Bankers Life FieldHouse ce la mette Paul George: il 24 si esibisce in un paio di schiacciate allucinanti, affiancandosi ad Hibbert nel tentativo di allungo. Il centro giamaicano sfodera l’occhio della tigre, azzanna il morbido Antic e sigla 8 punti nel primo periodo.

La partita scorre sul filo del rasoio, fino a quando Stephenson si offre volontario per scavare il vuoto. “Born Ready” si mette in proprio, penetra come una lama nel burro e taglia a fette la difesa non irresistibile eretta da Budenholzer. Lo scoglio al quale aggrapparsi si chiama Shelvin Mack: il jolly crea scompiglio entrando dalla panchina, consente all’intermittente Teague di rifiatare, e suggerisce agli Hawks il modo di tenersi a galla. Il tabellone però è impietoso e all’intervallo indica 42-34 per i campioni della Eastern Conference. Sconcertante la prima metà di Millsap in fase offensiva: 0 su 9 dal campo e soli 2 punti a referto figli di altrettanti viaggi in lunetta. Alla sirena per lui saranno 15 conditi da 17 rimbalzi, ma un ritardo così, per uno cui viene cucito il ruolo di trascinatore, non è tollerabile.

La ripresa ha poco da raccontare: Indiana è comprensiva ed evita ai suoi fans, almeno per una notte, antipatici sbalzi di pressione. Il sospiro di sollievo di Larry Bird di fronte ai guizzi di Paul George (sempre più stellare con 30 punti e 11 rimbalzi) sa quasi di liberazione. Tutti salvi: il posto di Vogel, la credibilità di Hibbert, la faccia dei Pacers. Se ne riparlerà lunedì, quando a tastare il polso dei giallo-blu interverranno i Washington Wizards. Un’altra scheggia impazzita di una griglia indecifrabile, capace di mietere vittime illustri dalle parti dello United Center (leggere alla voce Chicago Bulls). E’ il copione dei Playoffs più equilibrati di sempre, dove il lieto fine potrebbe (senza preavviso) assumere le sembianze di un orribile incubo.