Categorie: playoffs 2014

Top & Flop Miami Heat – Brooklyn Nets, le pagelle di Gara 1

I Miami Heat hanno avuto vita fin troppo facile in questa prima puntata di una serie da molti indicata come equilibrata e non scontata, e probabilmente già da gara 2, in programma quando in Italia sarà la notte tra giovedì e venerdì, la musica dovrà necessariamente cambiare per una squadra, i Nets, che ha l’esperienza necessaria per raddrizzare subito le cose. Ma intanto vediamo i voti di questa gara 1.

 

MIAMI HEAT

Lebron James: 7.5. Serata in ufficio per il Prescelto: con Miami riposata e i Nets al contrario ancora con le scorie della gara 7 giocata solo due giorni prima non servono gli straordinari del leader del team per portare a casa la prima vittoria di questa semifinale di conference. Chiude con 22 punti con 10/15 ingranando forse la terza, ma quando accelera si sente eccome e per i Nets son dolori. Ah, raggiunge anche il traguardo dei 4000 punti ai playoff e stabilisce il record come giocatore più giovane ad arrivare a tale risultato (29 anni, 4 mesi e spiccioli); così, tanto per gradire e ricordare ai Nets con chi hanno a che fare.

Dwyane Wade: 6.5. Anche per il “secondo violino” (avercene) di Miami non una serata particolarmente impegnativa ma comunque efficace. Non segna moltissimo  ma sempre quando la squadra ne ha bisogno, non forza sostanzialmente nulla e coinvolge i compagni: non a caso il plus/minus con lui in campo è un ottimo +22, di gran lunga superiore a qualsiasi altro Heat sceso in campo, Lebron compreso. Questa squadra avrà anche un due volte MVP ma non può prescindere da Flash.

Chris Bosh: 7. Compitino anche per il lungo dei Big Three, che comunque non delude assolutamente: 15 e 11 rimbalzi aprendo il campo con il tiro ma attaccando bene anche in area. Non fa niente di eccezionale ma giocasse sempre con questa solidità già sarebbe grasso che cola per la franchigia di South Beach. Stravince anche il duello con Kevin Garnett, anche se più per demeriti del veterano ex Celtics che per meriti propri.

Ray Allen: 8. Paragone usato almeno un milione di volte ma sempre vero: come il vino buono, col tempo pare addirittura migliorare. Entra dalla panchina e, forse motivato dalla sfida con gli ex compagni di mille battaglie Pierce e Garnett, porta subito voglia, presenza, addirittura difesa, non certo la specialità della casa. E soprattutto, ovviamente, punti: l’anno scorso era stato a lungo criticato per le sue percentuali (il tiro in gara 6 di Finale ha un po’ ridimensionato quelle critiche), ieri invece pare lo Shuttlesworth dei tempi migliori, spara con una facilità e una pulizia disarmante e, cosa più importante, fa entrare il pallone con percentuali da vero cecchino (6/10 e 4/7 da 3 per 19 punti). Con gli spazi che aprono i vari Lebron, Wade e Bosh, se tira così è francamente complicato, per chiunque.

Heat supporting cast: 8. La vera chiave del successo della squadra di Spoelstra. Certo, la partita si indirizza tranquillamente sui binari giusti, i Big Three non devono strafare e c’è spazio e tiri anche per gli altri: ma se i Nets faticano a lungo a tenere la scia degli avversari molto del merito va ai gregari, abilissimi a farsi trovare pronti sugli scarichi e in generale quando c’è bisogno di loro, quasi senza eccezioni. Su tutti svetta il già citato Ray Allen, ma anche Chalmers e Cole non demeritano in regia, per non parlare del sempre prontissimo Shane Battier, con la solita accoppiata difesa/tiri pesanti, e dell’energia e il lavoro preziosissimo nei pressi del ferro di Andersen (addirittura 4 stoppate in 16 minuti per Birdman). Avevamo usato il “quasi” davanti alla mancanza di eccezioni non senza un motivo: l’unica nota stonata è Rashard Lewis, obiettivamente ormai impresentabile a questi livelli. Doveva prendere i minuti e le responsabilità lasciate da Mike Miller ma ormai da anni è l’ombra del giocatore ammirato ai Sonics; sicuri che l’ormai ammuffito Michael Beasley possa fare tanto peggio?

 

BROOKLYN NETS

Deron Williams: 6. Non si può dire che giochi una cattiva gara individuale, chiude con 17 punti, un ottimo 7/10 al tiro (3/5 da 3) e ben 2 buzzer “from downtown” alla fine del secondo e del terzo quarto. Eppure spesso pare sconclusionato, palleggia a lungo avanti e indietro senza creare nulla e mangiando solo secondi sul cronometro, non fa giocare la squadra come dovrebbe fare visto il ruolo e la posizione gerarchica che ricopre (solo 3 assist). I meri numeri individuali come detto non sono da buttare, eppure l’impressione rimane quella di non avere a che fare con lo stesso giocatore che metteva a ferro e fuoco gli Spurs in finale di conference ai tempi dei Jazz; i tifosi han già stampato i volantini per la sua scomparsa, e anche i soli 29 minuti concessigli da Kidd suonano come una mezza bocciatura, tanto più che è più giovane degli altri pilastri della squadra. Per pensare di battere i campioni in carica i Nets non potranno prescindere da un D-Will incisivo anche sul piano del gioco e non solo su quello delle statistiche.

Joe Johnson: 6.5. Il veterano ex Atlanta il suo mattoncino lo porta, chiudendo anch’egli a 17 con buone percentuali (7/11 e 3/6 dalla lunga) che è sostanzialmente quello che deve fare; peccato che in questa squadra non sia un semplice specialista e, come Williams, dovrà dare ancora di più per impensierire questi Heat, magari alternando le soluzioni (i Nets non hanno tirato male in generale ma hanno trovato pochissimi punti in area, e non è che Miami abbia esattamente le Twin Towers lì in mezzo…). Insomma, anche Joe la sufficienza e qualcosa in più la strappa, ma ci si attende di più.

Paul Pierce: 5. La Verità stavolta è che Pierce trova un paio di triple a inizio gara e poi sostanzialmente scompare nelle difficoltà generali dei suoi Nets: è sbarcato a Brooklyn proprio per portare esperienza nei playoff e leadership negli inevitabili momenti di difficoltà, mentre ieri è stato impalpabile proprio quando la squadra aveva più bisogno di lui. Sicuramente risente delle fatiche delle sette gare coi rampanti Raptors, ma già giovedì dovrà gettare il cuore oltre l’ostacolo e tornare il vero Truth: e se si parla di cuore, ha ancora poco da invidiare a chiunque.

Kevin Garnett: 4. La prima svirgolata di KG nella post season nella sua intera vita segna l’amara ciliegina in una ancor meno edificante torta che è la stagione assolutamente al di sotto delle aspettative disputata dal Big Ticket. Gli anni si sentono, ma come Pierce è partito da Boston direzione Big Apple proprio per queste partite in cui la pressione sale e serve gente abituata a sostenerla: nemmeno le motivazioni di incontrare una squadra che è stata acerrima rivale negli ultimi anni però riesce a dare consistenza a una prestazione da vero e proprio ectoplasma in quei 15 miseri minuti sul parquet. Ciò nonostante, occhio a gara 2: mai scommettere contro l’orgoglio ferito del campione…

Nets supporting cast: 5. Uno dei punti di forza della squadra di Prokhorov doveva essere la rotazione lunga: ok i veterani a far da pilastri della squadra, ma dietro tanti baldi ragazzi a supportarne le ormai inevitabili difficoltà atletiche. Kidd effettivamente ha provato a dar fondo alle proprie alternative in panchina, ma i risultati sono stati modesti: Blatche e Plumlee hanno concluso poco contro la non insuperabile frontline avversaria, Teletovic si è intestardito con tiri piuttosto complicati (che peraltro ha nelle sue corde, ma difficilmente risolvono le partite), Anderson ha messo un bel “canestro e fallo” ma quasi nient’altro, Livingstone qualcosa ha combinato ma il suo plus/minus segna un inquietante -23 ed è il peggiore della squadra. Nota a margine la merita Andrei Kirilenko: ha avuto una stagione piuttosto funestata da guai fisici ma doveva essere il sesto uomo designato e, in questa serie, il potenziale mastino difensivo da mettere sulle piste di Lebron visto anche il fisico e le braccia lunghe. Invece entra e fa 2 falli in 10 secondi: chapeau, AK47.

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Pubblicato da
Giacomo Sordo

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