Con Gara 1 ormai passata agli onori delle cronache è il tempo delle valutazioni individuali relative a quanto accaduto nella notte fra Giovedì e Venerdì in terra Texana. Ecco le pagelle di Nbareligion.com della prima partita delle Finals 2014.
SAN ANTONIO SPURS
Tim Duncan: Di certo Christopher Lambert nel 1986 non avrebbe mai immaginato che sarebbe venuto qualcuno a privarlo del titolo di Ultimo Immortale. Eppure è successo. Il caraibico a 38 suonati e su una gamba sola dispensa ancora basket di categoria superiore. Il tabellino parla chiaro: 10 rimbalzi, 3 assist e 21 punti con un irreale 9/10 dal campo in 33 minuti di gioco e senza aria condizionata. Sorprendersi però, dopo tutto questo tempo, è per i pigri e gli stolti. Continuate a meravigliarvi, voi che avete tempo, mentre lui tiene il perno e si appoggia all’amico tabellone con la stessa efficacia di sempre.
Voto 7,5. HIGHLANDER.
Tony Parker: La caviglia non è al massimo e si vede. Perde qualche pallone di troppo e spesso impatta contro il muro della difesa di Miami non riuscendo a trovare le solite linee di penetrazione. Ciò tuttavia non gli impedisce di sporcare il foglio con 19 punti e 8 assist e calcare il parquet afoso dell’At&t Center per ben 37 minuti. Ancora una volta gioca più di tutti, ma sembra non accusarla più di tanto: «Sembrava di essere tornati a giocare in Europa, ci sono abituato». Et voilà, bienvenue à nouveau Monsieur Parkèr.
Voto 6,5. CIRQUE DU SOLEIL.
Tiago Splitter: Il brasiliano sta vivendo una metamorfosi inimmaginabile persino per Franz Kafka. Da anello debole ad arma in più del quintetto di coach Popovich. Migliorato sotto ogni aspetto del gioco, tiene a galla i suoi nel momento più difficile, a cavallo fra 3° e 4° periodo, ovviando con ottimi tagli alle numerose palle perse dei compagni di squadra. Alla fine della partita ne segna 14, ma il contributo dato alla causa va al di là delle cifre.
Voto 7. CIGNO NERO.
Kawhi Leonard: Il 22enne di Riverside è sicuramente quello apparso in maggiore difficoltà per tutto il corso di Gara 1. In 24 minuti riesce a mettere a segno solo 3 canestri per un totale di 9 punti e a catturare la pochezza di 2 rimbalzi. Il buon Kawhi, che nei Playoffs ci ha abituati a vederlo alzare non poco l’asticella del suo rendimento, candidandosi di diritto al pesante nickname “Big Game” del fu Worthy, non è apparso in grande spolvero tanto in attacco, quanto in difesa, dove spesso si è fatto battere da LeBron con troppa facilità. Difficilmente, sperano in Texas, ripeterà una prestazione del genere, ravvivata da una tripla pesante nel finale.
Voto 5. BELLO ADDORMENTATO.
Danny Green: Compagno di merende del suddetto Leonard, anche l’ex Tar-Heel ha trovato più infamia che lode in Gara 1. La sua è un’Odissea, ci prova in tutti modi, ma non ne azzecca una. I tiri non entrano, i palloni gli scivolano dalle mani come a un carcerato la proverbiale saponetta. Solo che dietro di sé il buon Danny sfortunatamente non trova il compagno di cella in astinenza, ma Gregg Popovich che lo striglia a dovere. Quando si ricompone sembra troppo tardi, i Proci si stanno abbuffando alla sua tavola e bramano sua moglie, ma con 2 triple e una schiacciata in contropiede, complice anche l’infortunio del James, li rimanda da dove sono venuti e chiude la gara nel 4° periodo, riconquistando patria e tifosi. Complessivamente, però, la prova rimane insufficiente, seppur di poco. Voto 5,5. CLOSER.
Un saggio del Ginobili in Gara 1
Manu Ginobili: L’ultima volta che ho controllato Che l’Argentino risultava morto nel 1967 a La Higuera in Bolivia. Secondo alcune religioni, tuttavia, esiste un fenomeno chiamato trasmigrazione delle anime e, dopo l’altra notte, temo non sia una fantasia. Il punto di riferimento è lui. Li ha in mano tutti. È ovunque e in grado di giocare con chiunque, portandolo oltre i suoi limiti. Son convinto che al suo fianco persino io e Beppe il barista faremmo una porca figura. Segna 16 punti in ogni maniera possibile: triple, sottomano in penetrazione. Non cambia nulla, la retina si muove sempre. Condisce tutto con 11 assist 5 rimbalzi e 3 recuperi. Se dovesse mantenere questo livello per tutta la durata della serie, il risultato dello scorso anno rischia un violento sovvertimento.
Voto 8. LIDER MAXIMO.
Marco Belinelli: Il Nostro gioca 18 minuti e diventa il primo Italiano a farlo in una finale NBA. Soffre un po’ in difesa contro Ray Allen e a volte gli tocca persino marcare quel mostro col numero 6. Quando però c’è da alzare il punteggio si fa trovare pronto e non spara al salve. Realizza 2 dei suoi 3 tentativi da dietro l’arco e mette a referto 9 punti. Buona la prima Marchino, buona la prima. Voto 6+. PIONIERE.
Boris Diaw: Il Francese è l’esempio vivente di come si possa dominare una partita senza praticamente guardare il canestro. Segna solo 2 punti, ma è totalmente padrone della partita. Nonostante la panza è quello più a suo agio nel difendere contro LeBron, quando poi si cambia metà campo non sbaglia una scelta. Il parquet è la sua tela e la imbratta in maniera celestiale, servendo ai compagni 6 cioccolatini pronti per essere scartati e mangiati. Pittore impressionista fuori epoca e fuori contesto, raccoglie anche 10 rimbalzi. A quel punto il quadro è completo e non resta che metterci la firma.
Voto 7,5. CLAUDE MONET.
Patty Mills: L’Australiano è una trottola, corre tanto e dappertutto. Segna 3 dei 5 tiri che prende, realizzando 7 punti, e non fa danni. Voto 6. DINAMO.
Coach Gregg Popovich: Ordinaria amministrazione per il Pop. La sua è una fuoriserie che si guida da sola, come Kitt di Supercar. Quando qualche ingranaggio non funziona, però, non si fa problemi ad intervenire. Per informazioni citofonare a casa Green e chiedere di Danny. Troppe le palle perse, che di sicuro non l’hanno fatto contento.
Voto 6. JEAN TODT.
MIAMI HEAT
LeBron James: Il Re in terra Texana vive la sua personale Rumble in the Jungle, nei panni, però, di George Foreman. L’atmosfera è rovente, il caldo soffocante, il pubblico nemico, ma il campione è lui e domina in lungo e in largo. Colpisce con forza e veemenza e mette l’avversario alle corde. San Antonio, nella parte di Alì, reagisce quel tanto che basta per tenersi a contatto, ma sembra non farcela. Poi il caldo e la fatica sfiancano il campione, che arriva alla fine esausto. A quel punto l’avversario prende il sopravvento, sferra un paio di colpi decisi e porta a casa l’incontro. Nel ’74 Alì con questa meraviglia tattica strappò la cintura a Foreman. 40 anni più tardi e in un contesto sportivo differente il campione continua ad essere il 6 e siamo convinti che in Gara 2 mostrerà i muscoli. Ah, by the way, Foreman, anche se oltre 10 anni e un ritiro più tardi, avrebbe poi riconquistato il titolo. Che questo voglia dire qualcosa?
Voto 7,5. GEORGE FOREMAN.
Dwyane Wade: Quando il suo compagno viene a mancare nel 4° periodo perde la bussola e fa la figura del bulletto di quartiere al quale venga meno il sostegno del guardaspalle grande e grosso. Per 3 quarti però rimane un rebus insolvibile per la difesa degli Spurs. In 33 minuti segna 19 punti con 8/18 dal campo. Il suo palleggio-arresto-tiro è una sentenza soprattutto dalla media, distanza dalla quale fa non pochi danni alla difesa dei nero-argento.
Voto 7. CUBO DI RUBIK.
Chris Bosh: Il nativo di Dallas conferma ancora una volta di essere un’arma tattica fondamentale per i suoi. In attacco è consistente e con un gioco da 4 punti dà a Miami il massimo vantaggio nel quarto periodo, confermando la sua costanza anche da dietro l’arco (3/4). In difesa, invece, contribuisce non poco a chiudere l’area alle penetrazioni di Parker e compagni e scherma il canestro con efficacia. Da segnalare anche la presenza a rimbalzo (9 i Rodman per lui), che nel corso della serie potrebbe diventare un fattore di una certa rilevanza.
Voto 7. NUMERO PERIODICO.
Mario Chalmers: La palma del peggiore sul parquet va a lui. L’Alaskano è in costante confusione. Fa più falli che respiri e perde palloni con la stessa facilità con cui un giocatore incallito perde stipendi al videopoker. La tripla in faccia a Duncan nel finale non serve a riscattare una prestazione scialba e dannosa.
Voto 4. PIAGA D’EGITTO.
Rashard Lewis: Spoelstra gli concede parecchi minuti (31), ma non riesce a sfruttarli benissimo. Sfidato al tiro, anche da 3 punti, spara spesso e volentieri al salve (2/6 il fatturato da dietro l’arco). Chiude con 10 punti, ai quali fa da contrappunto un -20 nel plus/minus. Dovrà recuperare in fretta, anche perché vista l’incosistenza di Battier nella metà campo offensiva, le sue doti di sharp-shooter minacciano di essere fondamentali per Miami.
Voto 5,5. CORRENTE ALTERNATA.
Volare a 39 primavere è possibile.
Ray Allen: Se Duncan è un Highlander, Ray è come il vino buono. Ogni anno si pensa che possa essere l’ultimo, che il suo rendimento calerà in maniera consistente e invece questo meraviglioso “ragazzo” di 39 anni risponde sempre colpo su colpo. Fatica, inusualmente, da 3 (“solo” 3/8 da dietro l’arco) e a quel punto stacca i piedi dal cemento e ci fa vedere perché nel ’97 ha anche partecipato alla gara delle schiacciate, piantandone una in contropiede dopo aver letteralmente spazzato via la marcatura di Belinelli.
Voto 7. BRUNELLO DI MONTALCINO.
Norris Cole: Trova più spazio di quanto si aspettasse a causa dei problemi di falli di Marione Nostro, ma incide poco. 2 punti in 29 minuti per il buon Norris. Alle difficoltà realizzative fanno però da contraltare i 5 assist e 3 recuperi. Nel complesso non malissimo. Voto 6. COMPITINO.
Chris Andersen: Si fa notare per due punti in penetrazione dopo essersi bevuto Duncan. Non esattamente il suo pane.
Voto 4,5. FANTASMA.
Shane Battier: s.v.
Coach Erik Spoelstra: Dirige benissimo l’orchestra per 3 quarti. Dopo l’intervallo riesce a trovare la prima contromossa difensiva della serie, chiudendo letteralmente l’area alle penetrazioni degli Spurs. Quando gli viene a mancare il primo violino, tuttavia, va in panne un po’ come il resto delle sue truppe.
Voto 6,5. MATITA SPUNTATA.
Simone Errante