Lebron James. Non si può e non si deve partire da qualcosa di diverso per raccontare la seconda partita andata in scena all’AT&T Center. Il più forte giocatore al mondo a lavoro e al massimo dello splendore in entrambe le metà campo. Troppo per chiunque, anche per degli Spurs più ordinati (passati da 23 ad 11 palle perse) e difensivamente meglio organizzati.
Tutto questo semplicemente non basta però. Perché alla fine c’è lui. E non per essere riduttivi con i vari Bosh, Lewis, Wade (a mezzo servizio) e compagnia. E’ rendere merito a chi è testa e spalle sopra gli altri 9 in campo. Un missmatch vivente in movimento sul parquet. Lasciatosi alle spalle i crampi e soprattutto la sconfitta di gara 1, il mare di verde che riempie la shot chart di fianco spiega più di mille parole quale sia stato il suo impatto nei 3 quarti finali di gara. Come fattogli presente anche da Doris Burke durante la premiazione delle scorse Finals, il suo tiro dalla media è la chiave di volta del gioco offensivo degli Heat. La squadra di coach Popovich lascerà fino alla fine della serie quel tiro, indipendentemente dal 8/11 dalla scorsa notte.
Come già messo in evidenza 12 mesi fa, mettere quel tiro vuol dire vincere l’anello (scusami Pat, ovviamente contano anche i rimbalzi). Anche perché stiamo parlando di un realizzatore senza senso, incontenibile nei pressi del ferro, ingestibile spalle a canestro. “You have to pick your poison” dicono dall’altra parte dell’oceano.
Ovviamente non chiedete a Popovich se c’è un rimedio.
Dall’altra parte invece Chris Bosh, sempre più silenzioso e sempre più decisivo nell’incidere, versatile come pochi altri giocatori del suo ruolo.
Capace di tagliare e chiudere al ferro con agilità da esterno, movimento indifendibile per qualsiasi tipo di “centro” (termine quanto mai obsoleto in una serie di questo genere). E da quest’anno in grado anche di mandare a bersaglio “Big shot” decisivi. Vediamo come.
Lebron James e i suoi 35 punti portano palla, terrorizzando letteralmente la difesa Spurs che pur di non concedergli penetrazioni al ferro, flotta tutta verso il pitturato. Quintetto atipico come pochi per gli Heat, con James da 4 (che gioca da playmaker), 3 esterni e Bosh (quindi facciamo 4 esterni, dai).
Il blocco allora lo porta Chalmers (ripeto, non è più l’NBA di una volta), bravo ad usare il corpo dello stesso Parker come ulteriore ostacolo alla rincorsa di un Leonard limitato anche dai 5 falli. Questo permette al numero 6 di crearsi lo spazio per l’ennesima conclusione.
La difesa stringe le sue maglie a protezione del ferro, lasciando il tiro dai 5 metri, ma togliendo la possibilità al Prescelto di andare al ferro. Nell’angolo però c’è Chris Bosh. Si, il vostro centro che, al posto di battagliare sotto le plance, è pronto con i piedi dietro l’arco a tirare da 3.
La palla pesa, ma l’ex Toronto Raptors non esita e segna il canestro ad oggi più importante della serie.
Decisivi anche i 14 punti (con 3 pesantissimi canestri dalla lunga distanza) di Lewis, linfa vitale per un attacco che riceve sempre troppo poco dalla panchina (12 i punti complessivi degli Heat, a fronte dei 19 messi a referto dal solo Ginobili dall’altra parte).
La serie adesso si sposta in Florida, col fattore campo passato di mano e i texani costretti a vincere almeno una volta all’American Airlines Arena. Il giorno in meno di riposo, il viaggio, il cambio di scenario. Ed altre mille sfaccettature che in una contesa così equilibrata possono fare tutta la differenza del mondo.
Noi siamo pronti a gustarci un’altra straordinaria sfida. Magari per ammirare King James di nuovo all’opera.