La migliore prestazione in carriera di Kawhi Leonard ha permesso ai San Antonio Spurs di battere i Miami Heat in gara-3 delle NBA Finals, portandosi così avanti 2-1 nella serie. Dopo due partite deludenti il prodotto di San Diego State ha risposto alla grande sul campo, aprendo la strada allo stupefacente primo tempo dei nero-argento, capaci di stabilire alcuni record storici per produttività offensiva. A nulla sono valsi i 22 punti a testa di LeBron James e Dwyane Wade per evitare la prima sconfitta casalinga nella postseason ai bi-campioni in carica. Il punteggio finale è stato 111-92 per gli Spurs.
Subito una novità in quintetto per coach Popovich: al posto di Splitter ecco Boris Diaw da ala forte. Nessuna sorpresa invece nello starting five della formazione della Florida. Sin dalle prime battute è chiaro che San Antonio ha intenti bellicosi. Penetrazioni dritte sino al ferro, grande intesa tra i lunghi nel pitturato, cambi sistematici e convinti in difesa. Chi è più aggressivo sin dal primo minuto è Leonard, che vuole scrollarsi di dosso due opache prestazioni casalinghe. Nei primi 4′ gli ospiti non sbagliano un tiro, preludio di quanto avverrà da qui a breve. Al primo timeout i Texani sono avanti 18-10, con Leonard già in doppia cifra. La difesa degli Heat è molto pigra, soffre la grande voglia di riscatto degli avversari e gli aggiustamenti voluti da Popovich. In più, Wade gioca molto male i primi minuti, perdendo banali palloni che vengono capitalizzati in contropiede dai nero-argento. Già dopo pochi minuti arriva il primo +10 dopo un lay-up di Diaw, ma gli Spurs non si fermano qui, continuando ad attaccare il canestro avversario con un energico Danny Green. Il vantaggio dei Texani continua ad incrementarsi tripla dopo tripla, con un Leonard davvero scatenato ed in versione mitragliatrice. Per Miami, supporting cast e stelle assolutamente nulle, solo James riesce a mettere una pezza contro la mareggiata avversaria. Il numero 6 segna 12 punti consecutivi per la sua squadra, dimostrandosi l’unico in grado di reggere l’onda d’urto. Spoelstra prova ad inserire James Jones per avere più attacco, ma l’ex Indiana commette tre rapidi falli. Oltre a non sbagliare davvero mai, San Antonio va moltissimo in lunetta (13 liberi nel primo quarto), sfruttando una grandissima circolazione di palla. I padroni di casa si dimostrano assolutamente incapaci di proteggere la propria area verniciata e devono soccombere contro un attacco da vera e propria antologia. Un’altra tripla di Leonard regala il +15 ai suoi, ma non è ancora finita. Proprio sulla sirena, di tabella, arriva la bomba di Manu Ginobili, che fissa il punteggio al primo mini-riposo sul 41-25. Era dai Philadelphia 76ers di Chamberlain nel 1967 che una squadra non valicava quota 40 nel primo quarto di una gara di Finale. Gli Spurs hanno tirato l’87% dal campo, 13/15, trascinati dai 16 di Leonard. Quota 14 per LeBron, poco supportato dai compagni.
In avvio di secondo quarto la musica non cambia. Con James in panchina, la squadra si disorienta ulteriormente. Wade e Chris Bosh sono totalmente nulli, gli Heat sono frastornati, in attacco ed in difesa. L’assolo di San Antonio continua indisturbato, toccando prima il +20 dopo una tripla di Patty Mills, poi addirittura il +25, con 10 tiri mandati a referto senza errori consecutivamente. D-Wade continua a giocare davvero male, in poco più di un quarto e mezzo è stato depredato già di 5 palloni, spesso ad opera di un attivissimo Green. Finora assente, si sblocca anche Tony Parker, ancora una volta riuscendo a concludere nel nulla della difesa nel pitturato avversaria. L’emorragia viene parzialmente fermata da un 6-0 frutto di due triple di Rashard Lewis, in concomitanza col primo errore al tiro di Leonard. Miami accenna ad una timida reazione, si porta sul -14 con la speranza di contenere il più possibile i danni. Gli Spurs non si disorientano, si affidano ai p&r tra Parker e Duncan e riescono nuovamente ad allungare il proprio vantaggio. Dopo due liberi a pochi secondi dallo scadere di Parker il punteggio è 71-50 per i nero-argento al termine del secondo periodo, dopo un vero e proprio clinic offensivo. L’ultima squadra a segnare 70 punti in un tempo di Finale erano stati i Lakers’87 contro Boston. L’astronomico 75,8% dal campo è record per una metà tempo alle Finals, superando i Magic versione 2009. Gli Heat non hanno tirato male dal campo, come testimonia il 56% e le 7 triple (come San Antonio) messe a referto. Penalizzanti, però, le 10 palle perse, spesso sinonimo di Spurs al ferro indisturbati.
In avvio di terzo quarto, i padroni di casa tentano il tutto per tutto per rientrare in partita. Subito un secco 6-0 per iniziare il periodo, con Popovich costretto al timeout dopo 45”. Ci pensa Leonard a togliere le castagne dal fuoco agli ospiti, superando già il totale combinato di punti delle prime due gare. Col quarto fallo di Green, San Antonio perde uno dei suoi uomini migliori, ancora immacolato dal campo. Miami prova a buttarla sul piano fisico, mettendoci molta più intensità rispetto ai primi due quarti. Lo testimoniano le tante palle a due di questi minuti ed alcune vere e proprie battaglie sotto canestro per assicurarsi i rimbalzi. James è raddoppiato in post, affrontando un Leonard molto più tonico anche nella propria metà campo ed uscendo leggermente dalla gara. Così, è Wade che prova a svegliarsi dopo 24 minuti orrendi ed a guidare la propria squadra. La difesa degli Heat sale di toni ritrovando un minimo di abbrivio e costringendo i nero-argento a 4 punti in 4’30”, un’inezia considerando quanto successo nel primo tempo. Per Miami arrivano anche i primi punti in contropiede e le palle recuperate, più in generale è il miglior momento della gara per i bi-campioni. Il tutto, a dispetto dell’ennesima prestazione anonima di Mario Chalmers, colpito presto dal quarto fallo. Gli Spurs in un primo momento riescono ad arginare i propri avversari, che sprecano buone occasioni per rintuzzare il divario. A furia di provarci, però, arriva un parziale di 10-0 che mette a dura prova la difesa Texana, fin qui ottima, che ha un momento di pericoloso sbandamento. Il vantaggio degli ospiti scende sotto la doppia cifra con un Wade molto attivo, addirittura un lay-up di Cole dà il -7 a Miami. A rimettere le cose a posto ci pensa una tripla molto importante nell’economia della gara di Marco Belinelli, tuttavia tenuto a lungo in panchina. All’ultimo mini-riposo il punteggio è 86-75 per San Antonio, che è riuscita a mettere una pezza al tentativo di rimonta avversaria.
Il quarto quarto si apre con alcune palle perse da ambo le parti, comprese alcune davvero sanguinose di James. Una tripla di Allen regala il -10 ai padroni di casa, ma sarà l’ultimo acuto della formazione di coach Spoelstra. Gli Spurs, infatti, non demordono, ribattono colpo su colpo e non hanno problemi anche contro il quintetto Heat con LeBron da numero 4. Una bomba di Parker dà il +15 agli ospiti, chiudendo di fatto i conti, anche perché San Antonio è nel bonus con più di metà periodo da giocare. L’aggressività di Miami si arresta di colpo, i giocatori non ci credono più e gli Spurs aumentano nuovamente il proprio vantaggio. James commette il quinto fallo di una gara che lo ha visto uscire prepotentemente di scena dopo l’ottimo primo quarto. Coi tiri liberi i nero-argento amministrano gli ultimi minuti di gara, con ampio spazio a purissimo garbage time. Il punteggio finale è 111-92 per gli Spurs, che vanno sul 2-1 ed interrompono una striscia di 11 vittorie casalinghe consecutive nella postseason per gli Heat. Questo inoltre è il successo esterno numero 38 di questa edizione dei Playoffs, nuovo record-all time (superate le 37 W del 2005).
Leonard chiude la gara a quota 29, massimo in carriera ed uno dei giocatori più giovani di sempre con un exploit del genere all’altezza delle Finals. 15+5 recuperi per un ottimo Danny Green, altro mattatore dell’incontro. 15 di Parker, con una prestazione matura, 14 per Duncan, meno coinvolto ma sempre presente, mentre Ginobili termina con 11.
22+5+7+5 recuperi per James, con numeri buoni ma una prestazione deludente dal secondo quarto in poi, amplificata dalle 7 palle perse. 22 per Wade, irritante nel primo tempo e con 5 turnover a suo carico. 14 di Lewis, autore di una discreta gara, e 11 di Allen, molto ondivago ma anche guardato a vista dalla difesa nero-argento. Solo 9 punti invece per Chris Bosh.
Nonostante un calo nel secondo tempo, San Antonio ha tirato meglio dal campo degli avversari, 59,4% vs 51,6%, ed a dispetto anche del 47,6% vs 45% da tre a favore di Miami. Vittoria per gli Spurs anche a rimbalzo, 29-26, e nei punti in the paint, 48-42.
Il primo tempo oltre il concetto di perfezione da parte degli Spurs ha fatto la differenza in questa importante gara-3. E’ stato molto demoralizzante per Miami tirare con quasi il 60% dal campo e trovarsi sotto di una ventina di punti. Merito delle mani roventi dei tiratori Texani, da Leonard in giù, e con un Green molto bravo nel reinventarsi penetratore una volta preclusa la tripla sugli scarichi. In attacco il pick&roll centrale ha avuto sempre i propri esiti positivi, con le ricezioni molto profonde dei lunghi di San Antonio che hanno messo in crisi la difesa avversaria. Con Duncan operante in post alto e Diaw appostato sull’arco, si sono aperte praterie per le affondate ospiti dritte al ferro, con poca opposizione degli Heat. Dove finiscono i meriti di un attacco cinque stelle extralusso, iniziano i demeriti di una difesa scesa molto molle e pigra, che ha avuto solo sprazzi di aggressività ed efficacia nel terzo quarto. Il tentativo di rimonta, frenato dalla tripla di Belinelli, ha fatto sprecare benzina a Miami, che infatti nel quarto quarto è andata in riserva, di zuccheri ed idee. In difesa San Antonio ha ritrovato un Leonard molto più attento ed efficace contro James, il quale peraltro dopo un ottimo primo quarto ha smesso di attaccare, non prendendosi nemmeno i jumper e non avendo ricezioni in post. Inoltre, sui p&r, i cambi hanno funzionato molto meglio per Popovich, con rotazioni efficaci e sempre nel momento perfetto. Vedremo ora se gli Spurs riusciranno ad allungare nella serie oppure no. Gara-4 è in programma nella notte italiana tra Giovedì e Venerdì.
Alessandro Scuto